Libri. Gianfranco de Turris ovvero storie possibili per mondi impossibili

Fotor0304152855Oggi parliamo di due libri di recente uscita dovuti alla penna inossidabile di Gianfranco de Turris, Futuro Anteriore dato alle stampe da Psiche e aurora editore, e Il vecchio che camminava lungo il mare, edito da Tabula Fati.

Futuro anteriore, è una raccolta antologica di parecchi racconti, scritti da Gianfranco de Turris a partire dai primi anni Sessanta, che trattano fondamentalmente due aree dell’immaginario: il genere weird, nella miglior tradizione delle fanzine e dei magazine americani alla Weird tales,  e quello propriamente detto fantascienza. Ora se la prima categoria dell’immaginario deturrisiano, ovvero, lo stravagante, il bizzarro, ha per missione quello di meravigliare, sorprendere ed inquietare: la sua fantascienza, riesce ad essere, autentica letteratura d’anticipazione, nel senso che precorre i tempi raccontando con efficacia un mondo che ancora non c’è.  

Volendo trovare tre aggettivi per la sua opera direi: innovativa, anticipatrice, inquietante. Innovatrice perché, l’autore crea le sue storie, e le sue invenzioni letterarie, a partire dai primi anni Sessanta, quando molte delle consuetudini e dei temi della moderna fantascienza, semplicemente non esistevano. Egli ci parla di robot senzienti, che vogliono divenire umani, come nel caso di Sigma 9 in Racconto di Natale; quando bisognerà attendere il 1976, anno in cui l’accoppiata Asimov Silverberg, scriveranno a quattro mani L’uomo bicentenario, da cui la fortunata pellicola omonima del 1999. Ne Il fuggitivo, ci si imbatte in un androide dalle sembianze quasi umane, che sfugge ai suoi costruttori, e s’avventura nel mondo degli umani: un’idea sorprendente, che sembra anticipare il film Blade Runner (1982) di Ridley Scott.

Tutto ciò appare sorprendente come già accennato, in considerazione del periodo in cui queste storie venivano scritte, fra il 1961 1 il 1986. Erano ancora lontani i grandi film di fantascienza dell’era moderna. Nessuno aveva mai visto vulcaniani colle orecchie puntute, George Lucas era all’università, quando de Turris scriveva Missione nello spazio, un bell’esempio di Space military opera: come Kubrick non pensava ancora al dottor Stranamore (impegnato com’era con Lolita), quando veniva alla luce il Diagramma.

Ma è colla fantascienza introspettiva de Il silenzio dell’universo (racconto da cui prese il nome l’antologia edita da Solfanelli nel 1988), che de Turris è ancora di più nel solco dell’innovazione. L’opera di de Turris è inquietante perché, ci narra fra l’altro d’un tempo particolarmente angoscioso, quello della guerra fredda.

Insomma storie e protagonisti in largo anticipo coi tempi e pertanto di grande attualità. I suoi personaggi, sembrano assolutamente incompresi, eroi solitari che cercano di lottare contro un destino ineluttabile, ma indeterminato nel tempo: una interminabile attesa d’un oscuro nemico. Così questi uomini, ricordano il tenente Giovanni Drogo, in perenne attesa nel deserto dei Tartari, che per nostra fortuna non sono mai arrivati.

Si è molto parlato di letteratura e cinema post-atomico, ma mai di romanzo pre-atomico: ecco la fantascienza apocalittica di de Turris è di questo tipo, è pre-atomica. Ma le sue storie, inquietano anche per motivi altri, spesso più reconditi, più misteriosi, e quindi per dirla con Lovecraft, ancora più spaventevoli.

Oggi nel 2014 cosa rimane de Il silenzio dell’universo? A questa domanda si può dar risposta invitando alla lettura di questi racconti che a tanti anni dalla loro prima pubblicazione, sollecitano ancora interesse, tanto da venir riproposti in nuova veste editoriale. Forse per questo, ci appare molto moderna, la figura solitaria e romantica dell’astronauta, che dalla superficie di Miranda, desolata luna d’Urano, rimirando il vuoto cosmico, sembra sussurrarci:

“Se fossimo soli nell’universo, sarebbe un vero spreco di spazio”

Leggendo il titolo della seconda opera di de Turris che presentiamo, Il vecchio che camminava in riva al mare, viene alla mente quello del capolavoro di Ernest Hemingway, ci si può interrogare sul contenuto di quelle poche pagine,  e di cosa l’autore noto soprattutto per la sua passione per l’immaginario, possa avervi trasfuso. Il tema centrale della narrazione è il viaggio, anche se non di tipo convenzionale, che implica cioè uno spostamento fisico; ma se mai metafisico, capace cioè di travalicare i confini del reale.

La vicenda narrata, ha come nel romanzo dello scrittore americano, due personaggi che occupano tutta la scena: un giovane apprendista e il suo anziano mentore; che in qualche modo assomigliano all’indomito Santiago e al suo piccolo discepolo Manolin. La storia invero semplice e nel contempo complessa; narra di un giovane in vacanza che si incuriosisce, fino all’ossessione per gli strani rituali di un vecchio dottore, che si rivelerà una sorta di Robinson Crusoe moderno naufragato dalla società.

Il ragazzo dopo lunghe e infruttuose indagini e speculazioni, decide d’affrontare i suoi tormenti interiori, giungendo all’eremo sabbioso del suo anfitrione. Sarà quello un incontro fatale, in cui ogni certezza troverà il suo dubbio, e ogni dubbio la sua certezza. Un viaggio iniziatico cui tutti noi siamo chiamati, in ossequio ad una promessa originaria, che poi è il nostro vero destino, la nostra ricerca più naturale, che porta oltre la morte e la vita e che le religioni hanno chiamato: paradiso, eden, valhalla, nirvana, campi elisi.

Così l’uomo quando ha affrontato l’ignoto: varcando le colonne d’Ercole, scoprendo le Americhe, o esplorando lo spazio; in realtà ha sempre ricercato se stesso e il suo personale paradiso. In tal modo il misterioso dottore che imperterrito lascia la sua impronta sulle sabbie della battigia, assomiglia sorprendentemente a Neil Armstrong e al suo celeberrimo passo lunare. Ma il vecchio cercatore, non s’affida alla scienza: alla possanza tecnologica di un’astronave, alla filosofia, alla matematica e neppure alla religione intesa come istituzione, ma a semplici cocci di vetro, vetusti e consunti frammenti di bottiglia. Si, quelle che i naufraghi alla Defoe, hanno per secoli lanciato tra l’onde speranzosi che qualcuno un giorno ne potesse leggere i testamenti in veste di messaggi. Ma qui le bottiglie sono distrutte, ridotte in minuscoli pezzi rilucenti al sole, a frammenti di un cosmo molecolare.

In realtà il vecchio come pure, anche se inconsapevolmente il giovane, sono alla ricerca del paradiso perduto, che non è tanto quello biblico della cacciata; ma uno privato, individuale. Si tratta in verità d’un paradiso laico, e per questo il più religioso in assoluto, in cui l’uomo s’unisce a Dio in un modo inaspettato, e quindi assolutamente autentico, mistico, gioioso. Questa è dunque una storia particolare, inconsueta, semplice e imprevedibile: un autentico viaggio iniziatico verso un eden perduto e personale.

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Max Gobbo

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