L’occasione per tracciare un bilancio di questa esperienza è colta dal saggio “Vent’anni e una notte” (Castelvecchi) di Mauro Mazza e Adolfo Urso che hanno ripercorso tutte le tappe dallo scongelamento dei voti del Msi alla polverizzazione della destra, certificata dalla mancata rielezione in Parlamento di Gianfranco Fini con Fli.
Nella fotografia del ventennio di Mazza e Urso emergono come giganti i pugliesi Mimmo Mennitti e Giuseppe Tatarella. Il brindisino, fin dagli anni ottanta con la rivista “Proposta” e l’omonima corrente del Msi, aveva creato i presupposti per un dialogo con le forze dinamiche presenti nel paese, rafforzato sinergie con l’area socialista sensibile alla riforma presidenziale dello Stato, ma soprattutto aveva immaginato la destra come forza che dalla difesa degli esuli in patria diveniva il volano di una aggregazione modernizzatrice. Mennitti, dopo aver tentato la svolta “entrista” con l’elezione di Pino Rauti alla segreteria del Msi (l’operazione risultò elettoralmente fallimentare), andò a dirigere il “Roma” e poi fu il primo ideologo della nascente Forza Italia nel 1994. “Tatarella – racconta al Corriere Adolfo Urso – ebbe il coraggio di scommettere sull’opzione delineata da Domenico Fisichella su “Il Tempo”, nell’editoriale del 19 settembre del 1992, nel quale affermava la necessità di una “alleanza nazionale” alternativa all’alleanza democratica di Nando Adornato e Willer Bordon. Mennitti aveva disegnato culturalmente la destra del futuro, Tatarella, puntando su Gianfranco Fini, individuò il leader che avrebbe poi interpretato quell’idea”.
Ricco nel libro è il catalogo di aneddoti su un mondo attualmente diviso in mille fiammelle. Urso rammenta i successi del lontano 1971, quando il Msi guidato da Nino Buttafuoco e Dino Grammatico, divenne primo partito a Catania e Trapani con slogan nazionalpopolari come «La casa e la terra non si toccano»; poi rivela i passaggi terribili degli anni di piombo (da dirigente del Fuan i Nar volevano eliminarlo e Francesca Mambro lo salvò) e la genesi del libro “L’età dell’intelligenza”, scritto a quattro mani con Maurizio Gasparri, volto a connettere la destra con l’imminente rivoluzione legata all’uso dei computer.
Mazza, oltre a tratteggiare il valore della famiglia del “Secolo d’Italia” e lo spessore culturale e umano di Pino Romualdi e Giorgio Almirante, fotografa l’ingresso rovinoso sulla scena della destra di Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Fini: “Il ragazzo vuole produrre programmi per la tv. Fini mi chiede di dargli una mano. Ma Tulliani non si accontenta. Ha fretta e smania. Esagera. Una volta, al telefono, è addirittura sgarbato. Gli rispondo per le rime. Mando a Fini un biglietto, gli chiedo di risparmiarmi ogni ulteriore contatto con il «cognato»”. Qui, aggiunge Mazza, finisce la trentennale amicizia con l’allora presidente della Camera.
* dal Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera