L’obiettivo – sulla carta – è un governo di legislatura che duri fino al 2018. In realtà la carne al fuoco messa da Renzi è il tentativo di qualificare il suo come un “governo del fare” e non come il governo del ribaltone (che è stato). Detto ciò le incognite per il premier appena designato sono tante. A partire dalla compagine di governo dato che Angelino Alfano – che, non fidandosi del feeling tra capo del Pd e il Cavaliere, richiede un patto alla tedesca come contratto di coalizione – si è già visto scavalcato senza troppi complimenti dal motu proprio del rottamatore.
Altra gatta da pelare è la scelta della squadra che dovrà comporre l’esecutivo. Autodefilati i nomi pop di Baricco e Farinetti, Renzi vorrebbe che l’attenzione si concentrasse sui punti del programma (ha ironizzato sulle fatiche dei cronisti impegnati nel “totoministri”). In realtà, più che sulle quote o su quanti “leopoldiani” impareremo a conoscere, è sulle caselle pesanti – Giustizia, Lavoro e soprattutto Economia – che si giocherà il profilo del nuovo governo con l’Europa e gli osservatori interessati dell’Italia.
Anche per questo motivo i tempi della composizione si allungano. Ma Renzi – che ha già ricevuto una pesante stroncatura da l’Osservatore romano – non potrà tergiversare più di tanto. Perché se è vero che la mattinata – dopo essere stato ricevuto al Colle – era iniziata con un giudizio positivo dal fronte finanziario (lo spread aveva aperto in ribasso a 195 punti), sono bastate poche ore affinché Fitch facesse sapere che le dimissioni di Letta e la sua sostituzione con Renzi «evidenziano la volatilità della politica italiana». Insomma, da questo momento la palla – e l’onore – ce l’ha il rottamatore e solo lui. Adesso sì che Enrico Letta #stasereno.
@rapisardant