Skagboys, prequel di Trainspotting, racconta la ribellione al mantra “consumisti e felici”

Un salto all’indietro nella Scozia delle periferie urbane al tempo di Margaret Thatcher per scoprire come i guai del liberismo possano essere il fuoco di un genere letterario che è ormai un cult globale. Irvine Welsh, scrittore scottish di stanza a Dublino, ha realizzato con i suoi romanzi un ritratto choc di una generazione disperata, tra la fine degli anni settanta e il decennio successivo, un periodo storico nel quale la crisi economica mise in ginocchio la piccola borghesia della Gran Bretagna: dopo l’elezione della Lady di ferro, nella primavera del 1979, il tasso di disoccupazione triplicò, passando da più di un milione fino a oltre tre milioni e mezzo. “Attraverso tutte le controversie politiche di quell’epoca – ha analizzato Welsh – un fattore rimane inoppugnabile: centinaia di migliaia di giovani del Regno Unito si trovarono con meno soldi nelle tasche e molto più tempo nelle mani”. E’ questo il contesto nel quale si sviluppa la trama di “Skagboys” (pp.618, euro 20, Guanda, traduzione di Massimo Bacchiola), il prequel di “Trainspotting”, successo planetario grazie anche alla trasposizione cinematografica di Danny Boyle. Tra la depressione delle classi medie anglosassoni al tempo e quella che viviamo oggi in Italia ci sono innegabili similitudini e più dei trattati di sociologia, questo romanzo, i cui personaggi hanno sfumature caratteriali che rimandano ai grandi classici russi, può fornire una spiegazione del malessere giovanile e dei suoi eccessi, ad Edimburgo come nelle piazze di Roma.

Le vite dissolute di Mark, il capobanda, Spud, Sick Boy, Tommy, Lesley e degli altri protagonisti della vicenda diventano la tela su cui dipingere i percorsi adolescenziali impervi negli anni della recessione e non è un caso che uno dei ragazzi si strappi dal giubbotto di jeans l’adesivo con scritto “Carbone non disoccupazione” e sia spaurito quando riflette sul futuro: “Sto pensando che abbiamo perso, e che abbiamo davanti tempi brutti, e mi chiedo: che cazzo ci farò col resto della mia vita?”. E un altro dei diavoli del racconto, Rents, in un discorso sui massimi sistemi commenta amareggiato la condizione di precarietà nella quale sono immersi: “E’ quello lì il mio problema: sono troppo fighetto per essere un vero tosto di Leith, troppo topo di corea del cazzo per fare lo studente di lettere. Tutta la mia vita è in mezzo, né di qua né di là”.

Welsh scrive in un linguaggio gergale, ma efficace nel rendere il profilo nichilista della gioventù scozzese sulla quale la politica non ha mai scommesso e perciò la via più breve, per dimenticare l’opprimente spaesamento, passa dall’alcol e dalle droghe. Renton, uno dei più riflessivi del clan, sintetizza senza giri di parole: “Se essere scozzese si identifica in qualcosa, quella cosa è farsi. (…) L’ha detto anche Robert Burns: whisky e libertà sono compari. Qualsiasi cosa succederà in futuro all’economia, qualsiasi cazzo di governo andrà al potere, te stai sicuro che noi continueremo a sbronzarci e bucarci di m…”. Oltre le mattanze notturne e le maledizioni rivolte alla leader Tory “Maggie”, “Skagboys” è anche un romanzo dell’amicizia come ribellione al sistema che disegna gli uomini come “consumisti e felici”, e per questo Sick Boy ricorda a Mark il senso del loro cameratismo, liberi dalla schiavitù dell’eroina: “Io so che qualunque roba succede, qualunque cazzata combiniamo io e te, saremo sempre noi due, ci copriremo l’uno con l’altro”.

In una intervista, l’ideatore del mondo di “Trainspotting” ha delineato la chiave politica dei suoi libri: “Per me “Skagboys” ha a che fare con le scelte che facciamo. Un ragazzo che vive in un alloggio popolare deve fare tutti i giorni scelte più dure di quelle che fanno i politici ipocriti”. La letteratura che incrocia la realtà giovanile e le dinamiche del mondo del lavoro non può nascondere la realtà. E qui emerge il volto “terzista” di Welsh: “Socialismo e capitalismo, come erano intesi tradizionalmente, sono entrambi morti. Il regime che abbiamo oggi è una corporation transnazionale, basata su una dittatura monopartitica, in Cina, o su un sistema bipartitico, in Usa e Gran Bretagna. In modo diverso queste forze esprimono la negazione dell’ autentica democrazia e intontiscono la gente con eventi patriottici alla panem et circenses”. L’alternativa, però, non può essere rappresentata dalla fuga nell’eroina o nelle tante dipendenze postmoderne (dai cellulari al web fino alle slot machine): “Se esiste un’altra via, non è certo il New Labour di Blair che era solo il volto servile del neo-liberalismo thatcheriano. (…) La speranza è nei giovani, – ha concluso lo scrittore – è che non si fottano, non si vendano, non si facciano macinare come le generazioni precedenti. Eliminerei tutti quelli al di sopra dei 40 anni, per lo più sono una perdita di tempo e sono troppi, anzi siamo troppi, e non abbiamo altro scopo che svuotarci le tasche, stuprare il pianeta e impedire il cambiamento. Tutti i giovani hanno vitalità e idealismo”.

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Michele De Feudis

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