Letta e Napolitano non ci credevano che tolto Berlusconi sarebbe sbarcato “un altro Berlusconi” a rischiare di far saltare il tavolo di una maggioranza che credevano «più compatta» dopo l’uscita del Cavaliere. E invece l’arrivo del sindaco di Firenze in una posizione scomoda (per lui) come quella alla guida del Pd non poteva che portare a questo: a una campagna elettorale permanente dato che l’accordo con Enrico Letta significherebbe inevitabilmente rafforzare un governo – e quindi un potenziale avversario alle primarie per la premiership – nato senza la sua impronta.
Per questo motivo la trappola del rimpasto offerta dal premier per sancire la tregua Renzi intende evitarla a tutti i costi. Anzi rispetto a «dieci mesi di fallimenti» targati Letta e Alfano “l’alleato” del rottamatore si chiama Silvio Berlusconi. È con il Cavaliere che Renzi intende dialogare per una legge elettorale che smonti i desiderata neoproporzionalisti ma soprattutto è grazie al Cavaliere che il leader del Pd intende far saltare i nervi ad Angelino Alfano che, messo così nell’angolo da un sistema iper-maggioritario, potrebbe a questo punto essere lui a far cadere il governo.
Non è solo Alfano ad opporsi all’intesa tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale. Il fatto che sia la minoranza della “sinistra Pd” a condannare (ipocritamente) la visita del “pregiudicato” Berlusconi a Renzi dimostra come sul sistema di voto si stia disegnando la prima esperienza politica della Terza repubblica. Il motivo è semplice: il sistema spagnolo concentrerebbe nelle mani del segretario di ogni grande partito un ampio margine di manovra sulle candidature. Un affare per Renzi, l’ennesima rinascita per Berlusconi.