Marò. L’Italia ricorre alla Corte suprema indiana contro lo spettro della pena di morte

marò1L’Italia ricorre alla Corte suprema indiana e invia una missione parlamentare a New Delhi per cercare di uscire dall’impasse sul caso dei marò e soprattutto per allontanare lo spettro di un rischio pena di morte per i due militari.

Dopo il nuovo rinvio per la presentazione dei capi di accusa nei confronti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, Roma ha scelto la strada di un appello urgente alla massima istanza indiana, organismo che fra l’altro ha sotto tutela i due fucilieri di Marina fino all’inizio del processo per la morte il 15 febbraio 2012 di due pescatori indiani al largo del Kerala. Si tratta dell’iniziativa “iniziativa decisa e forte”  preannunciata dall’inviato del governo Staffan de Mistura.

L’agenzia statale indiana Pti ha diffuso la notizia che il ministero dell’Interno deve trovare una via d’uscita all’impasse perché la Nia per statuto non può non utilizzare una legge indiana per la repressione della pirateria (il ‘SUA Act’) che prevede la pena di morte, mentre il governo indiano ha assicurato in modo formale all’Italia che il caso non è fra quelli “rarissimi” per cui tale pena è richiesta.

Infine i presidenti delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato hanno annunciato l’invio di una delegazione «rappresentativa di tutti i Gruppi parlamentari» per visitare a New Delhi i due marò e incontrare i loro omologhi indiani.

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Rui Barros

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