Libri. “Il dolore pazzo dell’amore” di Buttafuoco e un sentimento che è caos

il dolore pazzo dell'amoreBisogna credere sempre ai cunti degli anziani, alle preghiere, ai diavoli, ai santi, alle ninfe, ai malatini, a Giufà, alla menzogna, ai re e alle regine, ai vescovi e ai barbieri, alla cronaca, a Palermo, al musicante, ai racconti dei librai, all’amore dei soldati, e alla foto dei militari, alla sabbia, a chi sta per morire, ai morti, alla morte mai, alla verità bisogna credere alla realtà no, al dolore dei vedovi, al destino, alla luce vera, all’amore bisogna credere, sempre, all’innocenza, al profumo, ai fiori selvatici, alla campagna, e infine al mondo di ieri. Tracciando un elenco delle cose alle quali credere Pietrangelo Buttafuoco segna i binari della sua storia, costruisce ferrovia e stazioni nel deserto dei sentimenti e del disamore che è il presente, recupera e racconta, ristabilisce verità, e procede lento e con molta poesia al cunto de “Il dolore pazzo dell’amore” (Bompiani). Componendo un libro dispari, fatto di ricordi e invenzioni, piccoli e grandi pezzi di composta umanità familiare e lontana, scomodando santi e dee, belle fimmini e guerrieri, quasi una favola moderna di cento pezzi diversi che però si incastrano a perfezione. Si serve delle storie del passato per arrivare al presente e scardinarne le chiusure, e lo fa con una lingua viva, mai banale, che non indugia ma avvolge, che non offende ma riprende. Il risultato è un breviario sull’amore di ogni tipo che ne contempla ogni piccolo stato d’animo, ogni dettaglio, tentativo, stupore. È un libro che fa della religiosità poesia e della poesia una religione, ci sono tali e tante tenerezze da bimbo, donna, uomo, e una tale attenzione ai punti di vista che ci si perde dallo stupore, perché “L’impasto umano è troppa poca cosa rispetto alla responsabilità di maneggiare il vero, e solo il sapere – qualunque forma di sapere, foss’anche il sapere di avere in dote solo menzogna – possiede l’ideale di una cristallina verità”. Tanto che gli consente di unire il mondo da una barberia di paese in Sicilia fino alla Siria, perché “La parabola insegna che la giustizia trova le proprie strade. E sono inesorabili. Come quelle della non assenza in luogo della non presenza. Come il pennello che genera, con la fatica del ragionamento, la schiuma”, e fuori, fuori dalla barberia: gli anni magnifici prendono la rincorsa. E Buttafuoco gli corre di fianco per darcene conto, e non tralascia nulla, perché “pure il profumo era gloria”. E se della favola ha i canoni, gli incipit, è della circolarità del tempo che si serve per girare in tondo, raccontando, e girando ci fa avanzare, ci porta dentro i cuori e i corpi, ci fa scoprire i pensieri e le intenzioni, le voglie e i fallimenti, con una musicalità da opera lirica, perché è prepotente la sua voce, non lascia spazio a distrazioni, incalza, coinvolge ma non è mai possessiva, prende con la cortesia che hanno i reduci con le signore perché conoscono l’assenza, perché hanno visto la morte, il vuoto e sentito il mancamento del respiro, visto la vita passare senza nessuno da salutare, avendo sbagliato lato e paese. Per tutto questo Buttafuoco canta, per chi è rimasto indietro, per chi ha avuto poco tempo, per chi non ha sentito e per chi ha fatto finta di non vedere, straccia l’ipocrisie, dice alla timidezza di lasciar perdere, e concede un campo di battaglia dove vivi e morti stanno insieme, perché tutti volevano solo amore, che è pure possibile che certe esistenze non le abiti proprio. Perché l’amore e il suo dolore pazzo è caos, almeno fino a quando non trovano un barbiere che li cunta. (da Il Mattino)

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Marco Ciriello

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