Ritratti. Sergio Nesi il coraggio di un leone della Decima Mas che scelse di non arrendersi

sergio nesiSuona il soldato le note del ‘Silenzio’. Suona al tramonto. E la musica è per il marò che guerreggiò tanti decenni fa. La tromba suona per il comandante Sergio Nesi. Che ha lasciato la terra il 13 dicembre 2013. E’ morto un uomo della Decima Flottiglia Mas che pensò di non arrendersi in quel lontano 8 settembre 1943. Egli ripeteva “Che quell’ armistizio fosse una tragica bufala, che nascondeva una resa senza condizioni, lo abbiamo appreso tanto tempo dopo e, nella sua integrale versione, dopo la fine della guerra.” (‘Intervista in 10 domande a Sergio Nesi’, da ‘Associazione Combattenti X Flottiglia Mas’).

Così spiegava quegli eventi Nesi. E così ricordava che, nei giorni terribili del 1943, non si difendeva un Mussolini scomparso e perdente, si difendeva invece la dignità di una nazione. Nesi aveva un’idea: con le sue lontane scelte aveva difeso, prima di tutto, la Marina militare italiana, una forza navale intatta dopo tre anni di conflitto. Per questi motivi, i giovani marò della Decima rifiutavano, “Un paese intero allo sbando, un esercito in fuga nelle campagne, divise gettate nelle discariche, migliaia di uomini, di giovani serrati dentro carri bestiame, una Flotta integra – con un pennello nero di resa in testa d’ albero – che si arrende a Malta, senza sparare un solo colpo di cannone. Una vergogna incancellabile” (Intervista…)

Qui – e in sintonia con la più recente storiografia – si ricorda che gli ufficiali come Sergio Nesi compresero chiaramente che il ‘sistema badogliano’ era pasticcione e politicamente inadeguato. Poi è altrettanto noto l’impegno intellettuale di Nesi che, nel dopoguerra, si impegnò contro i giudizi storici sommari: quei giudizi che cancellarono il ruolo della Marina, di una forza militare che restò vigile e armata, con i suoi ufficiali, i quali non volevano consegnare la flotta agli Alleati, nel settembre del 1943; e tra quegli ufficiali c’era Sergio Nesi, mentre l’esercito sbandava o mentre il sovrano scappava dalla capitale.

A questi ufficiali, i comandanti inglese strinsero la mano dopo la sconfitta. Ai reparti della Decima gli Alleati offrirono l’Onore delle armi. E questi eventi  perché non sono raccontati nei libri di storia? Perché nei manuali di storia dei nostri studenti non vi sono spazi per raccontare le vicende dell’orgoglio nazionale? O le storie di coraggio nazionale e coerenza umana come quelle di Nesi?

C’è la necessità critica di collocare diversamente una generazione di uomini. Uomini che non pensarono mai alla ‘morte della patria’. C’è il bisogno storiografico di allontanarsi dagli opportunismi di chi scrisse libri di storia solo per fare politica. E c’è pure  l’urgenza di una narrazione storica diversa e pronta a spiegare che “Si può scegliere la strada sbagliata per nobili motivi e quella giusta per calcolo e opportunismo.” (C. Mazzantini, ‘L’ultimo repubblichino’).

Allora, soldato, suona la malinconica tromba! Suona per il comandante Nesi! Che ci ricorda che la storia è un luogo pieno di attualità. Un luogo tutto da raccontare per salvare la memoria dei giovani della Decima, quei giovani degli anni quaranta che non abbandonarono la  tragica battaglia. Come quella volta, a Pescara, nel 1944. Quel giorno, con la sua imbarcazione, Sergio Nesi venne riconosciuto e investito dal fuoco delle mitragliatrici inglesi. Prima di essere catturato, egli ebbe solo il tempo di gettare in mare alcune bottiglie fasciate dal tricolore. Come fece Gabriele D’Annunzio, sul cielo di Pola, nel 1918. E in quelle bottiglie c’erano i messaggi di dalmati e di istriani, cioè di uomini che non volevano arrendersi al comunismo e alla patria italiana svenduta.

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Renato de Robertis

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