Torino. Un giorno dentro la rabbia di una città tra forconi disoccupati ultras e studenti

torinoEcco la cronaca del cronista di  Barbadillo che ha seguito ieri la giornata di protesta organizzata dal coordinamento spontaneo del “nove dicembre” a Torino, la piazza più calda d’Italia.

Piazza Castello

In piazza Castello a Torino, alle 9, ci sono già migliaia di persone. I presidi periferici di piazza Derna e piazza Pitagora, nati – secondo gli organizzatori – per bloccare la città negli snodi nord e sud, sono già iniziati alle 5 e 30 e hanno fermato il traffico periferico di auto e merci. Lo stesso succede in centro, nel punto di raccolta più “politico”. Quello nato per contestare i palazzi che rappresentano il potere locale e fermare le stazioni ferroviarie. In strada, tra centinaia di bandiere tricolori, le uniche consentite dagli organizzatori, ci sono persone eterogenee per età e professioni. Ci sono i piccoli imprenditori andati in rovina, quelli che in rovina ci stanno andando, i pensionati che non arrivano alla fine del mese, i giovani disoccupati, i ragazzi delle curve (che non si vergognano a rimarcare l’appartenenza perché «sono ben altre le cose di cui si dovrebbe vergognare chi ci  criminalizza»), gli studenti e i mercatari.

Il tempo di cantare l’inno d’Italia e ci si muove dividendosi in due serpentoni, da una parte quelli diretti alla stazione di Porta Nuova e dall’altra quelli che vanno a Porta Susa, la stazione che sorge ai piedi del grattacelo voluto dalla Banca San Paolo. È dopo il blocco dei binari, che costringe Trenitalia a cancellare arrivi e partenze, che succede una cosa insolita per una manifestazione: reparti della celere, su invito dei manifestanti a solidarizzare con la protesta, decidono di togliersi i caschi.

Le prime tensioni, però, iniziano a registrarsi quando il corteo raggiunge la sede di Equitalia. È a questo punto che vengono sparati diversi lacrimogeni. Il gas, favorito dalle strade strette, satura l’ambiente rendendo l’aria irrespirabile. E  quel punto che un folto gruppo decide di tornare in piazza Castello ed è qui che, dopo altri lacrimogeni tirati dalla polizia, i manifestanti costruiscono una barricata con le reti di protezione di un cantiere vicino alla Regione Piemonte e iniziano una fitta sassaiola, usando mattoni e pietre del cantiere, in direzione della polizia che decide di arretrare. Da quel momento inizia un’ora di scontri fatta di cariche dei carabinieri, arrivati in piazza, e lancio di oggetti da parte dei ragazzi.

Piazza Pitagora

A bloccare le strade di Torino sud ci sono, parcheggiati di traverso, i camion di chi ha aderito alla protesta. È in piazza Pitagora che al pomeriggio, insieme ai disoccupati e ai camionisti, arrivano i militanti dei gruppi politici organizzati per dare man forte alla protesta. Anche qui, nonostante le rispettive appartenenze, l’unica bandiera che sventola è il tricolore.

Fulminea

Non si chiama zona Fulminea. Ufficialmente si chiama Pozzo Strada ma per i ragazzi del quartiere è Fulminea, come la squadra di calcio della parrocchia. Qui, sulla carta, non doveva succedere nulla. E invece i ragazzi della periferia di Torino hanno deciso di prendere i cassonetti dell’immondizia e fare le barricate in corso Francia, il corso più lungo d’Europa. Bloccano il traffico e, come fossero vigili urbani, decidono chi può passare e chi no. «Oggi, qui, comandiamo noi», dicono agli automobilisti che si mostrano restii a collaborare con la protesta e, per un giorno, anche a loro è permesso mostrare quel lato impegnato che normalmente è appannaggio dei coetanei di sinistra dei licei bene cittadini. A chi gli chiede per quanto continueranno, rispondono: «Siamo tutti disoccupati, ai voglia quanto possiamo andare avanti!».

@barbadilloit

Federico Callegaro

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