Laziali a Varsavia. La verità dei tifosi: “Quali teppisti? Noi vittime di abusi”

polizia_120_fermi_polonia-2-2Non siamo tifosi-teppisti, la verità è un’altra!“. Arriva la versione dei laziali sullo ‘strano’ caso di Varsavia: una lettera, indirizzata alle redazioni dei maggiori quotidiani italiani tra cui Repubblica e il Tempo, racconta il fine-settimana da incubo vissuto dai tifosi al seguito della squadra di Petkovic per l’incontro contro il Legia.

La missiva racconta di processi sommari e veri e propri soprusi che sarebbero stati operati dalle forze di polizia polacche. Tutto è cominciato intorno alle 16, quando il corteo dei tifosi provenienti dall’Italia – che si erano dati appuntamento all’Hard Rock Cafè di Varsavia – si è messo in marcia verso lo stadio del Legia.

E’ iniziato tutto così. “Una volta iniziato il corteo, probabilmente qualche lancio di oggetti su delle camionette da parte di alcuni individui (fatto tutto da verificare in quanto l’unica testimonianza è un filmato diffuso dalla polizia polacca non datato e sfocato in cui si vedono solo oggetti volare e non da chi partano questi lanci ndr) ha fatto scatenare le cariche della polizia”, si legge nella lettera firmata da uno dei ragazzi laziali fermati a Varsavia. Che prosegue così il suo racconto: “Ovviamente si è diffuso il panico e tutti i 700 tifosi hanno iniziato a scappare. Mentre alcuni sono riusciti a fuggire per delle vie del centro, alla maggior parte è stata tesa un’imboscata e senza che si sia potuto identificare alcun colpevole, circa 200 persone sono state fatte stendere a terra, perquisite e spogliate di tutti gli averi personali compresi i telefonini e poi condotti nei vari commissariati cittadini”. Poi è arrivato il trasferimento coatto: “Sono stati tenuti nelle celle dei commissariati o in altri edifici alcuni per una notte e altri per due notti. Senza alcuna reale prova di sorta (foto, filmati) sono stati scelti nel mucchio dei colpevoli, che non sono stati rilasciati sotto il pagamento di ammende, ma condotti a un processo per direttissima sabato mattina. A questi ragazzi, per i quali i capi di imputazione variano da aggressione alla polizia, a resistenza a pubblico ufficiale, sono stati fatti firmare dei documenti interamente in polacco, con i quali, a parole, si garantiva ai ragazzi che avrebbero avuto un processo breve al termine del quale sarebbero stati liberati”.

La realtà, stando a quanto si legge nella lettera, è ben diversa: “Questi documenti, firmati da ragazzi tra i 17 e i 22 anni, erano in realtà delle assunzioni di responsabilità in cui si rinunciava anche alla difesa legale. In tutto questo l’ambasciata italiana a Varsavia era totalmente impreparata ad affrontare la situazione, anche per numero di impiegati, non avendo idea dei tempi dei processi, delle eventuali pene, e sconsigliando addirittura ai genitori di recarsi nella capitale polacca. Fortunatamente alcuni genitori sono partiti autonomamente e hanno potuto assistere al processo di sabato 30 novembre. Si è trattato di 8 processi svolti in contemporanea, interamente in lingua polacca, con un solo traduttore assegnato dal tribunale e senza alcun funzionario dell’ambasciata presente in aula. I processi hanno visto protagonisti esclusivamente i poliziotti che hanno sfilato uno dopo l’altro testimoniando contro i ragazzi, senza per altro poter riconoscere precisamente nessuno di loro, per via del buio, delle giacche e dei cappelli che molti indossavano per il freddo. Di nessun ragazzo c’erano foto o filmati ben visibili. L’ambasciata aveva assicurato la presenza di avvocati, interpreti o quanto meno funzionari. Tutto ciò non si è verificato, anzi, i ragazzi sono stati abbandonati a loro stessi e costretti a firmare dei fogli in cui non sapevano nemmeno cosa ci fosse scritto. Alla fine del processo, durato più di 8 ore, sono state emesse le sentenze, con pene per circa 22 ragazzi di tipo detentivo, dai 2 a sei mesi”.

Insomma, un caos incredibile al di là delle minime condizioni di diritto imposte dalle convenzioni europee ed internazionali. Il tifoso della Lazio che ha voluto diffondere, urbi et orbi, la verità sui fatti di Varsavia, rivela anche che: “E’ bene ribadire che si è trattato di un processo senza legale, con la presenza di un solo traduttore, e nel quale non erano chiari nemmeno i capi di imputazione. Non è stata mostrato alcun materiale foto o video come prova, ma solo testimonianze di agenti presenti per altro, come riferiscono le persone presenti al processo, molto confuse. I ragazzi, tutti giovani, studenti universitari, lavoratori, anche minorenni (c’è un ragazzo di 17 anni), sono stati condotti immediatamente in carcere, senza alcun contatto con l’ambasciata o la possibilità di contattare un legale. In tutto ciò gli organi di stampa italiani fornivano notizie sporadiche e inesatte, dando per scontato che i ragazzi sarebbero stati rilasciati dietro il pagamento di una cauzione, cosa che non è poi avvenuta per tutti. I ragazzi condannati sono stati in larga parte scelti a caso nel mucchio e indicati come colpevoli di presunte aggressioni mai verificatesi. Adesso l’ambasciata si sta muovendo cercando di fare ricorso per queste pene ingiuste e frutto di soprusi, scaturiti probabilmente da problemi interni alla polizia polacca, accusata recentemente di non essere in grado di mantenere l’ordine durante manifestazioni pubbliche. In questo caso però si è trattato di una ritorsione su dei cittadini italiani, non delinquenti comuni, ma ragazzi di buona famiglia tutti fermati senza alcuna ragione reale e comunque documentata”.

Perciò, prima del commiato, arriva la sacrosanta richiesta da parte del gruppo dei ragazzi di Varsavia: “Non è giusto che all’opinione pubblica vengano fornite le solite storie sui tifosi/teppisiti, quando non si è verificato alcun incidente o scontro, ma è stato messo in atto un grave abuso da parte della polizia in un paese, come la Polonia, che fa comunque parte dell’Europa“.

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Enrico Albertosi

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