L’intervista (di M.Cabona). Pietro Comelli: “Trieste archetipo della destra smarrita”

Lasorte Trieste 18/12/10 - Piazza Unità ghiacciataNel novembre 1953 giovani triestini – Piero Addobbati, Leonardo Manzi, Erminio Bassa, Saverio Montano, Francesco Paglia, Antonio Zavadil – cadevano sotto il fuoco della polizia del Territorio Libero di Trieste (Tlt), cioè della volontà britannica di avere una Hong Kong nell’Adriatico: ma esattamente un anno dopo Trieste tornava all’Italia ed esattamente tre anni dopo il canale di Suez tornava all’Egitto. Quanto a Hong Kong tornava alla Cina quarantaquattro anni, presente chi scrive a una cerimonia indimenticabile tutta sotto la pioggia, le cui gocce si univano alle lacrime dell’ultimo governatore britannico, Christopher Patten. Se “la fine dell’Inghilterra” annunciata dalla Canzone di Giarabub (1940) era stata solo un auspicio, nel 1947, con l’indipendenza indiana, la fine dell’Impero britannico era cominciata. E Trieste sarebbe stato il secondo passo verso il tramonto.

Per un’egemonia che muore, un’egemonia rinasce. Perse le guerre che doveva vincere, la  Germania ha vinto quella fredda (1948-1989). L’ha vinta più di ogni altro Paese in Europa, umiliando di rimbalzo Francia e Gran Bretagna. Così oggi gli equilibri di potenza nell’Adriatico settentrionale somigliano più a quelli del 1914 che a quelli del 1954. Avere alla frontiera il sub-imperialismo tedesco, che ha già spaccato Cecoslovacchia e Jugoslavia, è un cupo preludio per le commemorazioni della Grande guerra. In Alto Adige esse saranno minime e comunque sgradite alla popolazione di lingua tedesca; nel resto d’Italia esse passeranno nell’indifferenza senile e nell’ ignoranza giovanile. A coalizzarle hanno contribuito decenni di idiozie in tv, specie questa: che in Europa tutti si vogliano bene tra loro e che tutti vogliano bene agli italiani.

Gli italiani poi non si stimano nemmeno tra loro, per ostilità politiche, ma anche per rivalità di campanile che il tifo degli stadi rende evidente. Fenomeno in controtendenza: mentre le Triestina è significativamente in serie D, in serie A il Cagliari ha giocato le gare “casalinghe” a Trieste, sola città rilevante tra quelle rimasteci come frutto della vittoria nel 1918. Ma poche fermate di tram ora separano dalla Slovenia. Eppure qui ragioni storiche hanno reso gli abitanti un unicum nel nord.

Il giornalista e scrittore Pietro Comelli

Come Genova, Trieste è città portuale, tributaria del commercio estero, quindi immune dal localismo padano. Ma, a differenza di Genova, è più patriottica che insurrezionale. Del suo patriottismo Pietro Comelli, giornalista al Piccolo, è stato animatore per un ventennio, raccontato, con le sue radici più lontane,  da lui e da Andrea Vezzà in Trieste a destra (Il Murice, pp. 425, euro 22).

Signor Comelli, un movimento neo-separatista intitolato “Territorio Libero di Trieste” ha una bella sede in piena vista e in pieno centro. E ciò mentre mezz’Italia va fallita. Come mai?

“Il neo-separatismo triestino indica il declino nazionale, ma la decadenza di un’ex città di frontiera – dopo caduta dei confini e ingresso nell’Ue dei Paesi dell’Est – deriva dalla sua incapacità d’adeguare il patriottismo ai tempi”.

Ovvero?

“Trieste si piega di nuovo su se stessa, affidandosi a schemi del Novecento, che la vide – dopo l’arrivo dei tedeschi e la calata dei titini – occupata fino al 1954 dagli angloamericani, prima di tornare all’Italia”.

Si può mitizzare perfino un amaro dopoguerra?

E’ strano, ma è così. Il Territorio Libero di Trieste, di fatto mai nato, per alcuni è diventato uno strumento affascinante da rispolverare”.

A ognuno il suo vintage. A Hong Kong non incontro mai nostalgici degli inglesi, ma arrivo a Trieste e scopro che c’è chi aspira a esser ri-colonizzato. Infatti il Territorio di Trieste tutto potrebbe essere, men che libero.

“Sono degli scontenti che cercano salvezza in tempo di crisi economica e di valori, cavalcando sentimenti anti-italiani latenti, capaci di aggregare e allo stesso tempo dividere una città piena di associazioni e partiti, le cui sedi rimangono vuote”.

Le amministrazioni locali del centro-destra sono rimpiante?

«La nostalgia è sentimento centrale nei triestini: nostalgia dell’Austria-Ungheria dei film di Sissi quanto della romanità evocata da Benito Mussolini”.

Restiamo al passato prossimo.

“Ma è uguale. Si sono rimpianti i dieci anni del sindaco Riccardo Illy. Ora, quando in municipio è tornato il centrosinistra, si rimpiange Roberto Dipiazza, che non a caso ha raccolto il maggior numero di preferenze alle scorse elezioni regionali, in una lista civica”.

Lei è certo che sia nostalgia e non masochismo? Masoch era un austriaco…

“L’egemonia del centrodestra, in cui la destra aveva un ruolo importante, in effetti è finita per divisioni interne – specie nella componente postfascista – arrivando a scissioni simili a quelle nel resto d’Italia”.

Logica comunale: comitati d’affari appoggiano il candidato X; se X vince, un comitato d’affari prevale sugli altri; questi ultimi fanno perdere a X le elezione successive. 

“A Trieste però la destra è stata, fin dal dopoguerra, azione, partecipazione, forza, laboratorio, egemonia giovanile, oltre che bacino elettorale capace di raggiungere anche il 25% dei voti”.

Il neo-fascismo s’è ridotto a estrema destra, poi a centro-destra. Un declino ideale nel declino locale che deriva dal declino nazionale?

“Venuta meno la componente movimentista, effettivamente è rimasta solo la gestione, che ha rubato il tempo alla politica. Ma non si vive solo di marciapiedi rifatti…”

Di qui la destra da marciapiede che dice lei; di là, l’altezzosità di Magris, la sovra-rappresentazione di Pahor, l’intelligenza di Pressburger. Ecco Trieste secondo il Corriere della sera.

«Oltre che ai marciapiedi, occorreva pensare a un nuovo patriottismo, superando lo scontro etnico, coniugando passato e presente, dando un messaggio dopo la fine della Jugoslavia e il crollo del comunismo”.

Perché questa è stata una pia intenzione?

“In tutto ciò, con Trieste è stata matrigna – più che l’Italia – la Regione Friuli Venezia Giulia, che non ha puntato sull’unica sua città che attiri turisti, pur offrendo pochi servizi”.

Eppure Trieste ha avuto in Massimo Greco.un vero assessore alla Cultura.

“ll filone del Novecento tracciato da lui era un percorso vincente, in chiave sia turistica, sia culturale. Metteva al centro il Novecento che Trieste può raccontare in modo unico. Prevedeva visite – anche di studenti – al centro di documentazione della foiba di Basovizza, al museo del Risorgimento, alla Risiera, la fruizione della collezione de Henriquez…”.

E dopo?

“C’è stato il recente successo – con polemiche e tentativi di condizionamento di storici e amministratori – dello spettacolo di Simone Cristicchi sull’esodo dall’Istria”.

Il caso della libreria Saba è stato gonfiato di significati in un Paese dove centinaia di librerie hanno chiuso nell’indifferenza.

«Accanto alla vicenda della libreria antiquaria c’è stato il fallimento della storica libreria Fenice-Italo Svevo, che ha visto la corsa all’acquisto dei libri a prezzo stracciato da parte dei cittadini – indispettendo, anche giustamente, altri librai – a dimostrazione di una voglia di cultura che permane…’”.

… Anche perché la crisi economica è qui meno grave che altrove.

“La crisi si fa sentire solo adesso, ma il triestino dice no alle attività industriali, come si vede dalla bocciatura del  ri-gassificatore (sarà realizzato in Croazia), mentre in Slovenia c’è una centrale nucleare risalente ai tempi di Tito”.

Dunque?

“I nodi triestini rimangono nel Porto nuovo, con la concorrenza di Capodistria, e nel riuso del Porto vecchio, forse unico elemento che consente ai fautori del Tlt di essere guardati con simpatia per lo scontro fra ‘palazzinari’ e per la salvaguardia del punto franco e dell’attività degli spedizionieri”.

Anche qui la destra economica – moderata, che a destra ha solo il portafogli – ora è estremista, mentre la destra nazionale ora è moderata. Perché?

“La destra nazionale aveva la piazza per esternare le idee. La destra moderata l’ha sempre invidiata per questo e ha ovviato alle sue carenze con scenate in tv. Vuotatesi le sedi, datasi alla gestione, la destra nazionale ha lasciato campo libero alla destra moderata. E ha perso il suo popolo”.

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Maurizio Cabona

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