Libri. “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles”. La vera storia di Tullio Moneta

La copertina del volume su Tullio Moneta, edito dalla Ritter
La copertina del volume su Tullio Moneta, edito dalla Ritter

(Per gentile concessione degli autori, pubblichiamo del libro  “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles.La vera storia di “Chifambausiku” Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo Milano-Ritter, la postfazione firmata dallo stesso Moneta)

Non ho mai voluto parlare con giornalisti, né con amici, o estranei, e neppure con familiari, delle mie vicende militari in Congo, alle Seychelles e in altre parti del mondo. Né ho mai scritto personalmente qualcosa. Non dovevo giustificare con alcuno una scelta di vita. Però, tornato in Italia, mi sono confidato per circa tre mesi con Giorgio Rapanelli, autorizzandolo a scrivere fatti della mia vita militare per due motivi.  Il primo, perché Giorgio non mi “giudicava”, rispettando le mie scelte. Il secondo motivo è stato perché Giorgio ha preso appunti, sottoponendomi poi se quanto trascritto aveva la mia approvazione.

Ciò a cui teneva Giorgio era ristabilire la verità. La verità per i miei figli e i miei  nipoti, per gli amici sinceri – malgrado tutto – rimasti, per i Maceratesi che mi conoscevano e per la città di Macerata, in cui avevo passato la mia adolescenza e la mia prima giovinezza.

Ciò che ho raccontato delle mie azioni militari – e che Giorgio ha trascritto – è la pura verità. Non devo nascondere nulla, poiché ho avuto il coraggio delle mie azioni, che non rinnego e di cui, quindi, non mi pento, poiché le feci razionalmente con un obiettivo ben preciso e non per istinto. Non ho raccontato – in quanto non vere e frutto di fantasia – le storie di massacri di civili, o di uomini, donne, bambini e perfino di “cani”, che avrei ordinato dopo aver visto il cadavere di un bimbo bianco ucciso dai Simba, come una giornalista scrisse in un articolo apparso su di un settimanale e ripreso da altri giornalisti in vena di scoop per denigrare la mia persona e gli altri mercenari che operavano in Congo.  Altri giornalisti scrivevano che il comandante del Quinto Commando, il colonnello Mike Hoare, era un donnaiolo, un giocatore d’azzardo, un ubriacone razzista, che lavorava in un garage di Johannesburg, e che era andato in Congo per fare soldi ammazzando i poveri Simba che lottavano per la libertà del popolo congolese, oppresso dai colonialisti.  Hanno anche scritto che il tentato golpe alle Seychelles era stato fatto da un gruppo di mercenari al mio comando e che era stato respinto dalla “coraggiosa” reazione dei soldati delle Seychelles.

Il Colonnello Hoare ha scritto un libro in proposito. E pure sulla “campagna” congolese. Comunque, quanto ha scritto Giorgio di me è la mia storia, che chiunque – giornalista e scrittore e storico – può accettare, o contestare. Se dirà cose diverse da ciò che Giorgio ha trascritto è affare suo, ma dovrà svelare le “fonti” dell’informazione, poiché ho detto “basta” alle bugie. Per quale motivo ho fatto il mercenario?

Non per denaro, poiché guadagnavo molto bene in un posto di responsabilità in una compagnia commerciale francese che operava nell’Africa occidentale. Dopo qualche anno d’Africa sarei stato trasferito a posti di maggiore responsabilità a Manchester, o a Parigi, o negli USA. E’ stato il mio destino a portarmi in Congo, addestrarmi militarmente con i parà belgi per assecondare il mio spirito di avventura?

Poi, iniziai a combattere con i mercenari. Li definisco così, e in tal maniera mi autodefinisco, solo perché è la definizione comune che ci danno giornalisti e storici, e che la gente conosce. In effetti, eravamo truppe formate da militari di carriera e da soldati, provenienti pure dalla Legione Straniera francese. Quindi, soldati della Francia. Eravamo inquadrati nell’esercito ufficiale del governo congolese, sostenuto dalle potenze occidentali e dall’ONU.

I mercenari erano pagati dall’ONU alla pari delle truppe dell’ONU, che, purtroppo, restavano al sicuro nelle caserme e dei soldati dell’esercito congolese, che, quando potevano, si comportavano come i Simba.

Il Quinto Commando, in cui ero inquadrato, era comandato da ufficiali britannici, rodesiani e sudafricani. Erano anglosassoni, e la disciplina militare era quella dell’esercito britannico: dura e spietata. E gli eventuali eccessi nella truppa e tra la popolazione da parte di militari erano repressi con durezza, qualora fossero avvenuti. A me ne risulta uno solo, fatto pagare al soldato colpevole di stupro ed omicidio in un modo “originale” e spietato dal Colonnello Hoare.

Il territorio assegnato al Quinto Commando durante la mia ferma era lungo tutto il lago Tanganika. Eravamo in tutto 300 soldati, al massimo, e dovevamo “bonificare” dai Simba e “controllare” un territorio più vasto dell’intera Italia del nord. Lo abbiamo potuto fare perché avevamo il sostegno della popolazione congolese della zona, che ci avvisava dove erano i villaggi e gli accampamenti dei Simba, e là ci guidava, portando pure le munizioni e le vettovaglie. Poi, eravamo noi che combattevamo e morivamo…

Come mai la popolazione civile congolese era dalla nostra parte? Lo era perché aveva subìto le angherie e gli orrori dei Simba. Con i mercenari si sentivano al sicuro, alla pari dei civili bianchi e dei missionari, che vivevano nelle zone liberate.

da sinistra-ten.Bruce Alexander, Serg. Swanepoel e cap.Tullio Moneta

Dopo poco tempo che ero nel Quinto Commando ho avuto la consapevolezza che non ero in Congo solo per spirito di avventura. Ero diventato un soldato che, insieme ad altri, mi battevo contro l’espansionismo marxista e comunista attuato con la violenza dai paesi dell’Est e dalla Cina maoista nello scacchiere africano. Noi mercenari eravamo soldati addestrati e ben pagati, poiché eravamo gli unici a saper combattere col metodo della guerriglia contro i Simba, pseudo marxisti, e contro i mercenari castristi – perché di soldati pagati si trattava –  al servizio di pseudo marxisti, futuri padroni del Congo, usciti dalle Università marxiste dei paesi dell’Est. Eravamo mercenari diversi dai mercenari tradizionali, ossia da quei soldati di ventura al soldo di chi pagava di più, come avveniva nel Medioevo.

Noi del Quinto Commando siamo stati sempre dalla parte dell’Occidente, pure quando, terminata la campagna del Congo, abbiamo poi lavorato per la difesa dell’Occidente e della nostra Patria. In quanto cittadino sudafricano, la mia Patria era – ed è – il Sudafrica. A quei tempi era circondata da terroristi che si ispiravano al marxismo e che mettevano le bombe nei luoghi pubblici, luoghi di culto, bar, ristoranti, frequentati da civili, bianchi e neri; erano quindi contro la mia ideologia liberista e libertaria, che era poi quella dei cittadini sudafricani.

Oggi, in Sudafrica non c’è il marxismo. C’è la democrazia, come c’era ieri all’epoca dell’apartheid. Ma c’erano veramente apartheid e razzismo? I Boeri, e tutti i cittadini provenienti da ogni parte del mondo, quindi anche dall’Italia, erano razzisti e fautori dell’apartheid, una volta divenuti sudafricani? Non è forse servita l’accusa di apartheid come giustificazione per mettere con le spalle al muro gli ultimi Stati indipendenti, provenienti dell’era colonialista, per inserirli così nel novero dei nuovi Stati africani “democratici”? Qualsiasi fosse stata all’epoca la situazione, oggi in Sudafrica vigono le libertà democratiche e i diritti umani e si sta meglio di molto che qui in Italia.

Sono anche cittadino italiano e la mia Patria è pure l’Italia. L’Italia degli Uomini illustri dell’Arte, della Poesia, della Letteratura, della Scienza, l’Italia delle bellezze monumentali e naturali. L’Italia dalla Storia millenaria, “faro” di civiltà nel mondo.  Come ero pronto a difendere il Sudafrica, sono pronto a difendere l’Italia. Oggi pure qui non esiste più il pericolo marxista. C’è, invece, una grave crisi politica e una forte crisi economica, aggravata da leggi pesanti per l’economia e da una burocrazia elefantiaca. Forse non esistono ancora pericoli per la democrazia. Ma di sicuro ci sono forti tensioni a causa della mancanza di lavoro, di giustizia socioeconomica, del costo della vita sempre più esoso e di un futuro incerto. E ci sono nemici esterni alle nostre frontiere che potrebbero lavorare per il caos.

E’ compito però dei cittadini italiani riuscire a risolvere con determinazione e senza più illusioni questa grave crisi. E dovremmo farcela, solo se siamo uniti, con la consapevolezza di essere cittadini di una Patria unitaria.

Macerata, 21.03.2013

@barbadilloit

Tullio Moneta

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