Cinema. “Something Good”: Barbareschi e i rischi della sofisticazione alimentare in Cina

something good barbareschi01Something Goog, qualcosa di buono, il nuovo film di Luca Barbareschi, sembra essere un superstizioso invito rivolto ai cineasti italiani. Ma questo film è davvero qualcosa di buono? Andiamo con ordine. Something Good esce il 7 novembre nelle sale italiane, pellicola dalle ambizioni e dal respiro internazionale che vede il protagonista invischiato in un losco traffico di alimenti per l’infanzia adulterati. Prodotto da Casanova Multimedia in collaborazione con Rai Cinema e realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il film è stato girato tra l’Italia e Hong Kong, richiedendo un approfondito studio preventivo sul mondo delle sofisticazioni alimentari, che produce un giro d’affari illegale miliardario in tutto il mondo.

Secondo la direzione generale alla lotta alle contraffazioni presso il Ministero dello Sviluppo economico in Italia, attualmente il danno dovuto alla contraffazione alimentare nel mondo è stimato a circa 1.700 miliardi di dollari, un dato impressionante che fa ben comprendere la gravità della situazione. Non a caso nel film si citano i pesci di Fukushima e il latte “povero” dato per le missioni in Africa.

Barbareschi che ha scritto, diretto, e interpretato il ruolo di protagonista (non nascondendo esigenze di “budget”) è un uomo d’affari senza scrupoli che lavora per il misterioso Mr. Feng, leader di una ramificata multinazionale cinese coinvolta nel traffico di cibo contraffatto, che miete vittime tra i bambini del paese. Tra questi innocenti c’è anche il figlio di Xiwen, interpretata dall’incantevole star cinese Zhang Jingchu.

Il film tratto liberamente dal libro “Mi fido di te” di Francesco Abate e Massimo Carlotto è un thriller slow food, come ribattezzato da qualche critico, che procede lento e senza grosse pretese di marketing – vedi l’esclusione dal Festival di Roma – per altro verso ha prodotto buone impressioni a livello internazionale, soprattutto per l’uso di una fotografia scura e ben studiata che richiama l’atmosfera anni 80’ (riferimento chiaramente voluto all’ascesa economica dei Paesi Occidentali nella macro-finanza). Lo stesso Steven Spielberg, a Los Angeles, si è espresso positivamente in occasione di un’anteprima del film. La presenza nel cast della star Gary Lewis, noto per il film Billy Elliott e Gangs of New York, e di altri visi “noti” come Frank Crudele, fanno di questo ambizioso progetto un faro nella notte del cinema contemporaneo made in Italy.

Certo, qualche malpensante osserverebbe che si è andato a girare in Cina per esigenze anche di risparmio generale, un film sulla contraffazione, che equivale a girare un film sulla mafia a casa di Totò Riina, ma Something good non ha pretese di denuncia e neanche filo-complottiste. Anzi. Il tema post-riflessivo della contraffazione alimentare resta sempre sullo sfondo, poiché il film, interamente girato in inglese e costato neanche tanto (5 milioni di euro), è la relazione tra i due protagonisti che poggia sulle dicotomie amore-sacrificio, Oriente-Occidente e redenzione-errore. E nonostante i trailer pulp-action-movie, non è neanche tanto “azione e pistole”. Peccato ogni tanto si ricalchi troppo il ruolo-stereotipo del cattivo all’americana, forse per esigenze di copione o di storyboard, ma in fondo la sceneggiatura è un corpus pieno di sentimenti e citazioni, lavoro impeccabile e studiato a riprova dell’esperienza di un Barbareschi che nasce e vive nel teatro presente, lontano dalla sua esperienza discutibile in Parlamento.

Un film italiano all’americana girato in Cina. Roba grossa o flop? Questo lo diranno gli italiani ma, le premesse per definire Something good qualcosa di più che “buono”, ci sono tutte.

@barbadilloit

Santi Cautela

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