Calcio. Arriva l’autobiografia di sir Alex Ferguson tra regole e strategie vincenti

ferguson“Ci sono quelli che vanno in vacanza vicino casa, quelli che vanno un po’ più lontano e quelli che vorrebbero andare sulla luna. Tutto dipende dalle ambizioni personali”. Già, le ambizioni: tra i tanti valori che l’hanno reso grande protagonista del calcio britannico ed internazionale, sono quelli da lui decantati in questa frase il segreto di Sir Alex Ferguson, pluridecorato tecnico dell’Aberdeen prima e, soprattutto, del Manchester United poi.

Qualche giorno fa, cinque mesi dopo aver lasciato la panchina dei Red Devils e con essa la sua carriera da manager, ha presentato a Londra “My autobiography”, 402 pagine di aneddoti, retroscena, invettive e racconti che in pochissime ore hanno fatto parlare tutto il mondo del calcio, assurgendo irrimediabilmente al ruolo di cult book del mondo pallonaro. Non ha mai amato mostrare i suoi punti deboli, Sir Alex, nel campo come nella vita. E anche nel libro in cui racconta i suoi cinquantacinque anni da sportivo, non poteva fare altrimenti: ci consegna senza filtri l’immagine di un leader orgoglioso, stratega, autorevole, a tratti ironico ma apparentemente senza difetti. E chi, d’altronde, racconterebbe i propri, specie quando ci sono quarantanove trofei in bella mostra in bacheca da raccontare al pubblico.

Ha studiato da vincente sui libri di storia, Ferguson, imparando tecniche, tattiche e strategie del potere. Così ne ha potuta attuare una, quella del mind games, nel suo rapporto con Arsene Wenger, tecnico del rivale Arsenal, interferendo nei suoi affari e rendendolo mentalmente debole nei momenti cruciali dei loro duelli. Nessuno meglio di lui ha saputo gestire uno spogliatoio che ha visto avvicendarsi campioni incredibili quali Cantona, Beckham, Keane, Van Nistelrooy, Cristiano Ronaldo,  Rooney e l’amato Giggs.

Alcuni fenomeni, è vero, ma tutti esseri umani, tutti uomini alla pari, tranne lui, unico vero leader della squadra. “Quando ha pensato di poter essere più importante di Alex Ferguson, ho dovuto cederlo”, ha detto a proposito del suo pupillo David Beckham, golden boy del calcio inglese più avvezzo alla fama che a migliorare il suo già immenso talento. Le regole, insomma, erano le sue. E i calciatori le accettavano volentieri, perché è sempre stato autorevole, mai autoritario, sir Alex, anche grazie alla sua ironia, che gli ha fatto più volte dichiarare, a proposito della possibilità mai realizzatasi di allenare la nazionale inglese, di aver avuto un’occasione eccezionale dalla federazione calcistica dei tre leoni: quella di affossare l’Inghilterra. Perché lui, orgoglio scozzese, non avrebbe mai potuto rimettere piede in patria se mai avesse contribuito ai successi degli odiati rivali. E’ vero, ha smesso di allenare Sir Alex Ferguson, ma pur concentrando tutto il suo tempo sulla famiglia, sulla passione per i vini e per la lettura, troverà sempre anche quello per far discutere di sé, dell’uomo della storia del Manchester United.

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Alessandro Patella

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