E così, quando, a venti minuti dalla fine di una partita campale (ma non troppo), il giocattolo si rompe e l’incantesimo pure, permettendo agli avversari di ribaltare la situazione, al nostro non rimane che deformarsi in uno sguardo di dolore e lasciare affiorare le lacrime. In fondo, chi non conosce misura non sa piegarsi con serena disciplina al destino infausto, ma solo passare dalla gloria al tracollo. Dagli sfottò beffardi alla curva avversaria al pianto bambinesco. Non serve un grecista per capire che quello di Conte è un peccato di hybris, cioè di smodatezza, di “dismisura”, una colpa imperdonabile che nel mondo antico lo avrebbe reso uomo detestabile agli occhi degli dei e della polis. Oggi, invece, la colpa è divenuta merito nonché indice di tempra e carattere. Lo spirito fanatico di Conte è, in piccolo, proprio quello dell’intero sistema nel quale siamo immersi, è il motore del famoso treno sparato a mille all’ora contro il muro della Storia nella fiera certezza che il freno sia un orpello inutile o una roba da codardi.
Avanti, dunque, Conte e tutti noi. Con una leggera differenza. La Juve l’anno prossimo cambierà allenatore perché i giocatori, giustamente, non ne possono più e chiedono che qualcuno tiri quella maledetta leva del freno. E saranno accontentati. Noi no.