Libri. “Decima Flottigla Mas” di Borghese e la nobiltà di una scelta controcorrente

decimaRespirare la polvere dei libri è la sorte dei professori di storia. Poi i libri sembrano tutti eguali negli armadi delle biblioteche. Ma ne cade uno da un palchetto. Il titolo è inaspettato, “Decima Flottiglia Mas” di Junio Valerio Borghese. Cavolo! E’ un’ edizione  rara del 1965. E’ uno scoppio di memorie. E nella mente arrivano i ricordi. Borghese, il comandante di sommergibili. Il suo processo per collaborazionismo. La presidenza del Msi nel 1951. Il suo golpe nel 1970.

E il libro caduto chiede di parlare. Parlare di storia. Decidi, allora, di parlarne in classe. Ai tuoi studenti. Ai quali raccontare, senza ideologismi, di Junio Valerio Borghese. Forse, in un’altra lezione, riferirai di Carlo  Borsani o di Amedeo D’Aosta. Di sicuro vuoi raccontare storie di un’altra Italia. Tanto lontana dai diciottenni di facebook.

Apri, quindi, in classe il libro del comandante Borghese. Gli studenti ascoltano la prima frase,“…la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. » (Decima Flottiglia… pag. 39)

“Cos’è la Decima Flottiglia?” domanda un allievo. Quale risposta dare? Ora va bene questa, “Ragazzi, nel 1943, il comandante Borghese progetta di attaccare New York. Attaccare l’America con i sommozzatori d’assalto. Egli vuole entrare nella baia del fiume Hudson con il sommergibile Leonardo da Vinci. Un progetto pazzesco. Un progetto intrepido per gridare che tutto è perso ma non la forza d’animo, la quale è sempre la stessa, la stessa del primo giorno.

Ai ragazzi del 2013 non basta. Chiedono altro. Leggi, dunque, altri passi del libro sulla Decima. Comprendi che  l’Italia di quel tempo è un paese pulito: il paese in cui  il comandante Borghese, dopo le sue vittorie, non chiede nulla per lui; al suo Stato Maggiore egli chiede tutto per i suoi equipaggi uniti da dieci regole. E ai tuoi ragazzi leggi una di queste regole,“Sii serio e modesto.” Poi un’altra, “Non sollecitare ricompense.” E non ti fermi; leggi tutte le regole,..“Devi avere il coraggio dei forti non quello dei disperati” e qui i tuoi allievi si risvegliano, come se una secchiata d’acqua fredda fosse giunta sui loro volti.

In aula i ragazzi ti ascoltano ancora. Con attenzione. Loro devono studiare il fascismo e l’antifascismo; devono anche conoscere gli eventi storici di chi non abbandona la partita: quelli del sommergibile Scirè, del battello di Borghese, “…tutti legati da un vincolo infinitamente più stretto  di quello imposto dalla disciplina…Era la stima che ci univa, la stima nelle reciproche qualità.” (Decima Flottiglia… pag. 59)

Il libro di Junio Valerio Borghese non è un testo fascista. E’ prima di tutto un racconto di guerra. Come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque. Come Tempo di uccidere di Flaiano.

La letteratura esiste perché suscita emozioni. E, nelle memorie del principe nero, molte descrizioni realistiche suscitano commozioni; sono descrizioni queste che fanno pensare ai film U-Boot 96 o Caccia a Ottobre Rosso.  Sono pagine che portano dentro l’odore del mare, “…marinai usciti allora da un’improba fatica, il volto ancora solcato dai segni della maschera, magnifici ragazzi, cuori generosi, muscoli d’acciaio, polmoni a tutta prova,.. con i polpastrelli  rugosi per la lunga permanenza in acqua.” (Decima Flottiglia… pag. 61)

Oggi queste narrazioni sono smarrite, poiché l’antifascismo militante spazza via tutto. Ragazzi, leggete questo libro di memorie! Leggetelo perché quasi avvertirete il fracasso dei motori dei sommergibili italiani. Ascolterete parole di solidarietà militare mescolate al pianto per i colleghi militari annegati.

Nell’immaginario storico, tuttavia, gli uomini della Decima sono solo quelli delle retate del 1944.  Ma i marinai di Borghese sono pure quelli che sparano sui tedeschi il 9 settembre 1943. Sono i marò che, a La Spezia, non consegnano mica le armi; e non vogliono affatto ammainare la bandiera italiana in quei giorni ingloriosi di fine estate.

Piacerebbe scrivere un romanzo, Il romanzo della Decima. Scriverlo in un presente storico da mostrare, a muso duro, a chi racconta sempre l’Italia peggiore. In questo senso, agli studenti parli di marò orgogliosi. Racconti gli uomini che affondano corazzate con le mani e con il tritolo. Come ad Alessandria nel 1942. E descrivi gli occhi scintillanti del comandante Borghese nel momento in cui egli progetta di bombardare New York. Sei convinto che, in quei mesi del 1943, i soldati d’Italia non sono tutti simili: non camminano unicamente come “cenci grigio-verdi, tutti a piedi, in gran parte scalzi, pallidi in volto, senza ufficiali, senza ordini…”(Decima Flottiglia… pag. 345)

Allora, vorresti frasi da mettere in bocca a quei soldati dei primi anni quaranta. Prima, però, dovresti scrivere la frase con cui aprire Il romanzo della Decima.  E il romanzo potrebbe avere come suo incipit il grido di battaglia della Decima; un grido di una comunità di eguali; cioè un saluto, questo, da trascrivere sulla prima pagina del tuo romanzo, “Decima, comandante!” A cui risponde il  capo, “Decima, marinai!” mentre già soffia un fresco vento di mare.

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Renato de Robertis

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