Ma poiché in politica mai dire mai ecco accadere l’imprevedibile. Alfano mostra il quid e si prende, di fatto, il Pdl con Berlusconi che non ha più i numeri per rovesciare il tavolo e spingere il paese alle elezioni anticipate. Né oggi e né domani. Perché c’è di più. Dopo aver intravisto la meta, il governo Letta riprende fiato e si rafforza come non lo era mai stato. E non ci sarà decadenza che tenga. Spazzate via le vicende giudiziarie del Cavaliere, le vere mine sulla strada del governo, davvero Letta può arrivare tranquillo al 2015 superando il semestre di presidenza Ue e tirare le somme solo alla fine dei 18 mesi, tempo minimo indicato alla nascita dell’esecutivo.
E così quella che per Renzi sembrava la tempesta perfetta si è rivelata, con la fine della monocrazia di Berlusconi, solo un’operazione che rafforza l’asse “democristiano” Letta-Alfano. Perché a differenza del Cavaliere, che deve fare i conti con suoi processi e sperava di avere garanzie dalle larghe intese, il segretario del Pdl non ha nessun interesse a creare fibrillazioni al governo. Anzi, adesso ha tutto l’interesse di portare a casa risultati e consolidare la sua leadership. Anche con riforme sistemiche (vedi riforma della Costituzione e legge elettorale) in grado di chiudere la seconda repubblica e la “guerra dei 20 anni” che l’ha caratterizzata.
In uno scenario del genere a Renzi non resta pertanto che prendersi il partito a fine anno e attendere. Il rischio per Letta è che i problemi non vengano più da destra ma da sinistra. Perché i successi del governo, se ci saranno, prima che del Pd saranno del Presidente del Consiglio. Che potrà rivendicarli, eccome. Provocando inevitabilmente dualismi e frizioni col sindaco. Perché la lealtà al governo, di cui Renzi si fa portatore oggi, non prevede troppe lungaggini. La rincorsa è iniziata da tempo.