Editoriale. L’Istat conferma disoccupazione giovanile record e ritorno del lavoro nero

Cresce la disoccupazione giovanileEvitare la crisi per non mettere a rischio la ripresa: l’ordine dei media italiani è chiaro e preciso. E, finalmente, ci sono anche segnali di crescita reale. Peccato che si tratti di quelli della disoccupazione. A livello giovanile, secondo l’Istat, il governo Alfetta è riuscito a stabilire un nuovo record, perché ad agosto si è finalmente sfondato il muro del 40% di disoccupati: 40,1%, tanto per essere precisi. Con un aumento dello 0,4% su base mensile e del 5,5% su base annua.

Ma non è che per i meno giovani la situazione sia ottimale. La disoccupazione complessiva si attesta al 12,2%, con un incremento sia della componente maschile sia di quella femminile. In altri termini il disastro è totale. E non bastano le menzogne sulla luce in fondo al tunnel per rasserenare gli animi di chi non vede prospettive per il presente e neppure per il futuro. Perché i disoccupati, quelli veri, non mangiano alla fine del tunnel. Mangiano tutti i giorni.

Non a caso i consumi sono crollati. Prima nel settore dell’abbigliamento, poi anche nel comparto alimentare e pure in quello sanitario. I disoccupati non riescono più a curarsi, ma i mercati ci chiedono di tagliare gli ospedali. I disoccupati non riescono più a mangiare. Ma i mercati ci chiedono ulteriori sacrifici. Con il brillante risultato di leggere i dati di Unioncamere relativi alla chiusura di bar e ristoranti. Consumi voluttuari, certo. Ma i baristi, i cuochi, i camerieri ricevevano uno stipendio grazie a questi consumi voluttuari. E quando rimangono a casa, senza occupazione, anche loro riducono i consumi, compresi quelli essenziali. Provocando altri tagli occupazionali. Una spirale infernale, da cui non si esce senza investimenti. Invece la soluzione che sta prevalendo è la fuga delle aziende. Trasferite non solo nei Paesi a basso costo del lavoro, ma anche nella vicina Svizzera.

Dove i lavoratori vengono pagati regolarmente, e con salari decisamente più elevati rispetto all’Italia. Ma dove le tasse sono accettabili. Dove Equitalia non arriva. E sono altre migliaia di posti di lavoro che si perdono. Ma, tanto per concedere al prossimo governo di superare l’Alfetta, l’Italia si sta impegnando per cedere Telecom ed Alitalia. Con migliaia di posti di lavoro che verranno eliminati grazie all’inevitabile riorganizzazione che seguirà l’accorpamento.

In realtà, però, i dati dell’Istat sono meno drammatici di come appaiono. Perché in Italia è tornato il lavoro nero. Una massa di giovani senza prospettive e di anziani disperati rappresenta una base ideale in cui reclutare lavoratori senza tutele, senza garanzie, senza diritti. Pagati poco e male. Che non cambiano le statistiche perché non risultano. Giovani e anziani che, in questo modo, sopravvivono. Ma che, ovviamente, non hanno la capacità di spesa per acquistare prodotti italiani. Dunque non fanno ripartire l’economia italiana sana, ma solo le importazioni di prodotti senza controllo in arrivo da chissà dove.

Quanto alle professionalità più elevate, la strada è solo quella dell’estero. Cominciando dai Paesi più vicini, per poi accettare le offerte, sempre più convenienti, in arrivo dall’America, dalla Cina, persino dall’Africa. Quell’Africa che ci esporta manodopera disperata e senza professionalità e che sta incominciando ad importare i nostri tecnici, i nostri laureati, i nostri professionisti.

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Augusto Grandi

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