Il punto. Perché fare un bilancio del ventennio mancato da Berlusconi e il centrodestra

media berlusconiVogliamo provare, al di là dei facili giudizi di schieramento, ad abbozzare un’analisi critica dell’esperienza del centrodestra, in Italia, dal 1994 ad oggi ? Il momento è favorevole, sia  perché comunque, sentenze alla mano, il percorso politico di Silvio Berlusconi è ad una svolta,  sia perché, da destra, qualcosa si sta muovendo per uscire fuori dal suo cono d’ombra. Partiamo da un dato di fatto:  il Ventennio del Cavaliere (Nero ?) è una bufala. Intanto perché, calcoli alla mano, Silvio Berlusconi ha governato, di fatto, solo una parte  dei vent’anni che lo hanno visto calcare la scena politica italiana.

A ricostruire, giorno per giorno, l’alternarsi dei governi, succedutisi tra il 1994 ed il 2013, è stato un lettore de “il Giornale”.  Il risultato ?  L’Italia è stata governata per 1.013 giorni da esecutivi tecnici (Dini, 486; Monti 527). Il centrosinistra ha guidato sette governi (Amato-uno, 304 giorni; Ciampi, 377; Prodi-uno 887; D’Alema-uno, 427; D’Alema-due, 125; Amato-due, 412; Prodi-due, 725) per un totale di 3.254 giorni. Praticamente lo stesso periodo di tempo, 3.337 giorni, nel quale ha governato il centrodestra con i suoi quattro esecutivi Berlusconi.

Diverso il discorso sul reale peso politico di quelle esperienze. I vent’anni trascorsi dalla prima “discesa in campo” del Cavaliere non hanno rappresentato un fattore di discontinuità rispetto ai cinquant’anni precedenti, quelli della Prima Repubblica. Soprattutto, al di là della minuta azione di governo, per   alcune questioni di fondo, che vanno riportate al centro del confronto interno sia del centrodestra che del centrosinistra.

A indicarcele, con grande efficacia, è Roberto Chiarini, che, nel suo recente saggio Le origini di una strana democrazia – Perché la cultura politica è di sinistra e il Paese è di destra (Marsilio) fissa tre vizi d’origine della nostra Repubblica, perpetuati  anche nel ventennio 1994-2013: il mancato  “accordo sui fondamenti”, per cui il gioco politico si è sviluppato costretto tra due opzioni delegittimanti estreme, l’antifascismo e l’anticomunismo; la difficoltà,  da destra e da sinistra,  ad  avanzare una candidatura autonoma alla guida del Paese;  la mancata risposta ad  una  stridente asimmetria esistente tra “paese reale” e “paese legale”, tra una società politica connotata da una presenza culturalmente egemonica della sinistra e una società civile che funge da sotterraneo contrappeso, destinato a bloccare ogni possibile svolta politica in senso progressista.

L’analisi di Chiarini ha evidentemente un valore non solo storico, in quanto questi “vizi d’origine” continuano a pesare sull’attualità politica, bloccando il confronto sui programmi, delegittimando il rispettivo avversario, impedendo quella “pacificazione culturale”, necessaria per rendere normale la nostra vita civile.

Per uscirne “in positivo” occorre lasciarsi alle spalle ogni interpretazione  “di schieramento” sul percorso fin qui compiuto (da una parte con la bufala del “ventennio nero” dall’altra con  la retorica del “buon governo”) e  lavorare per quella discontinuità generazionale e culturale che tra Prima e Seconda Repubblica non  siamo riusciti  a realizzare. Al di là delle belle affermazioni di principio è questo il vero compito per una destra che voglia essere effettivamente nuova e perciò capace di evitare gli errori del passato, muovendosi per un reale rinnovamento nazionale.

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Mario Bozzi Sentieri

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