Crisi. E Letta dà ancora due giorni al governo e ai frondisti del Pdl: “Chiedo la fiducia”

lettante«Non ho intenzione di governare a tutti i costi». Enrico Letta ha chiuso a Che Tempo che fa il secondo giorno di passione dalle dimissioni dei ministri del Pdl che, di fatto, segnano la crisi del suo governo anche se forse non è detta l’ultima parola…. Il premier si è mostrato calmo dopo l’irritazione che ha provocato lo spostamento della decisione sul rinvio dell’Iva: la mossa che ha accelerato la decisione di Berlusconi. «Chiederò la fiducia non per tre giorni per poi ricominciare come prima, ma per andare avanti e applicare il programma – ha spiegato Letta – Se non c’è, tiro le conclusioni». Due giorni di tempo: questo l’estremo tentativo emerso dall’incontro con il presidente della Repubblica Napolitano – che gli ha consigliato di aspettare l’assemblea dei parlamentari del Pdl oggi – con il quale «valutata una situazione molto complicata e complessa, abbiamo deciso di andare in Parlamento al più presto».

Ciò significa che con il passaggio in Parlamento Letta intenderà far uscire allo scoperto che cosa si muove nel centrodestra. Proprio gli scricchiolii all’interno del Pdl-Forza Italia infatti (con la fronta dei “diversamente berlusconiani”) sembrano poter aprire uno scenario inedito: «I ministri del Pdl hanno posto delle valutazioni e sento che in parlamento c’è incertezza – ha rilanciato Letta – Per questo vado in Parlamento a chiarire». Proprio per questo motivo le dimissioni dei ministri di centrodestra non sono state ancora formalmente accettate: per lasciare uno spiraglio di vita al governo (le stesse parole di Berlusconi sul “votare una legge di stabilità realmente utile al Paese” lasciano anch’esse spiragli).

Allo stesso tempo il premier ha chiarito che non intende però accettare ipotesi di “governicchio”. E lo ha fatto volta utilizzando ancora una volta un’espressione figurata: «Non voglio essere un re travicello». In ogni caso, se le cose dovessero precipitare, Letta ha manifestato quale debba essere la priorità di un eventuale governo di scopo: «Con il Porcellum non si può votare, non si deve votare» perché al Senato «non ci sarebbe maggioranza».

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