Storie. Mauro Rostagno il dialogo con il Fdg e la verità che non bisogna smettere di cercare

(Venticinque anni fa moriva Mauro Rostagno. I colpevoli dell’assassinio del giornalista restano ignoti)

‘Via Mauro Rostagno, sociologo giornalista’. Non è mai facile condensare cosa e chi fu un uomo in una targa. Se quell’uomo è stato Rostagno, la cosa si complica ulteriormente. Mauro Rostagno, torinese di nascita, è un protagonista del ’68 a Trento, dove studia e si laurea in Sociologia, è tra i fondatori ed i leader di Lotta Continua fino al 1976, quando contribuisce allo scioglimento del movimento. ‘Per fortuna’, a detta sua, non viene eletto, per una manciata di voti, alla Camera candidato nelle liste di Democrazie proletaria, quando è assistente di cattedra di Sociologia all’Università di Palermo. Rimane quattro anni in Sicilia, la gira tutta in lungo e in largo, se ne innamora, ma forse non sa che ci sarebbe tornato, per sempre.

Intanto nel 1977 fonda a Milano ‘Macondo’, un gigantesco locale che farà molto parlare di sé, dove rifonda un’esistenza fuori dagli schemi, fatta di mostre, grafica e musica, offrendo un punto di riferimento alla gioventù della metropoli, alternativa a eroina e alienazione. Macondo è frequentato da tutti, anche da giovani di destra e Rostagno viene duramente contestato dall’Autonomia perché non metteva le classiche barriere manichee della rivoluzione, perché una delle regole dello statuto macondiano era non ridurlo ad un letamaio, insomma era proprietà privata e quindi una bestemmia per quegli ambienti.

Su Macondo esce anche un saggio di costume di Stenio Solinas ‘Macondo e P 38’ (Il Falco 1981). Quando Macondo viene chiuso, per una buffa storia di biglietti del tram ristampati da usare come filtri, Rostagno raggiunge l’India, dove inizia la meditazione Sannyas, poi il Brasile e gli Usa, dove impara nuove tecniche di guarigioni. Si allontana da un certo mondo dell’estrema sinistra e intervistato anni dopo sul ventennale del ’68 lo giudica un ‘insopportabile pisciata’, contestando l’affermazione di Capanna sugli ‘anni formidabili’.

Nel 1981 si trasferisce definitivamente in Sicilia e dona la sua vita a Trapani, cominciando col fondare a Lenzi (Tp), insieme a Francesco Cardella ed alla compagna Chicca Roveri, la comunità Saman che si occupa anche del recupero di tossicodipendenti. Chissà cosa pensavano di lui, con quel barbone nero e quegli occhi intensi, i tranquilli cittadini della Valderice. Soprattutto quando iniziò a lavorare a Radio Tele Cine ed appariva quotidianamente, spesso vestito di bianco, sempre più informato e impegnato nella battaglia contro gli intrecci tra mafia, politica, massoneria. Dava voce a tutti e scavava nel profondo di una provincia che sembrava addormentata, di un territorio poco controllato. Si occupa per esempio dell’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, ne segue tutti i processi e ad uno di questi il boss imputato Mariano Agate fa avvicinare proprio la troupe di RTC dicendo che ‘quell’uomo vestito di bianco aveva scassato la minchia’.

Nel frattempo Rostagno rompe ogni steccato, parla con tutti, anche con i missini e nel marzo ’88 sul mensile Avanguardia, vicino al Fronte della Gioventù, esce una sua intervista, un dialogo sulla vita piena e vivace di quest’uomo che si sentiva più trapanese degli altri, perché aveva scelto di esserlo. Rostagno è un forte elemento di rottura in quella realtà, entra a gamba tesa nello status quo ben organizzato di rapporti con la criminalità al quale non si sottraeva nemmeno la categoria dei mass media. Rostagno piace, vanno tutti da lui, perché ha inaugurato un modo diverso di fare informazione. La mafia dalle minacce passa ai fatti e il 26 settembre del 1988 viene freddato vicino all’entrata della Comunità Saman.

Beppe Niccolai, che polemizza con Fini per la mancata presenza al suo funerale (c’era Craxi, al quale Rostagno si era avvicinato), lo tratteggia come un personaggio da ammirare, un simbolo di libertà a prescindere dalla sua storia politica.

Da allora non si è ancora fatta giustizia, nelle piste possibili, oltre a quella mafiosa, si è parlato di Gladio, massoneria, Somalia e Ilaria Alpi, Lotta Continua e Calabresi…

La pista mafiosa, con gli unici imputati Vito Mazzara e Vincenzo Virga, potrebbe portare a qualche risposta, ma siamo lontani da una sentenza, dopo anni di depistaggi, prove sparite e strani intrecci. A venticinque anni di distanza non c’è giustizia, rimane quella barba nera negli occhi di molti e la consapevolezza che Mauro Rostagno fa parte del pantheon degli uomini liberi. Borsellino, in un’intervista a RTC, ricorda come la Magistratura da sola non può combattere e vincere la mafia, e Rostagno lo aveva capito.

@barbadilloit

Alessandro Amorese

Alessandro Amorese su Barbadillo.it

Exit mobile version