Il caso. Da De Gregori a Moreno. Come i partiti, senza più sogni, appaltano quelli degli altri

morenoNegli ultimi anni un pensiero fisso si è radicato nelle teste dei reggenti di tutti i partiti italiani: “Come fare ad avvicinare i giovani, nell’epoca del disimpegno ideologico, senza avere la necessità di dire loro nulla di concreto”. Questa esigenza, nata con il fine propagandistico di mostrare orde di ragazzi (che sono, notoriamente, il futuro) intenti ad accalcati tra gli stand di tristi fiere di partito, ha trovato soddisfazione ricorrendo all’invito di ospiti pop molto amati dai più giovani, a totale scapito dei contenuti. L’esempio del rapper Moreno Donadoni, invitato dal Partito Democratico per chiudere la festa di Genova, è soltanto il più recente ma non è l’unico. “La mia musica non c’entra nulla con il Pd” ha detto il cantante in un’intervista a La Repubblica, prima di precisare che “il mio concerto e la Festa democratica sono due cose diverse”. E non ha mica tutti i torti la nota promessa musicale, sfornata da uno di quei talent show prima osteggiati dalla sinistra colta (ma almeno le critiche avevano un contenuto) e poi blanditi da Matteo Renzi, con tanto di comparsata in studio vestito da Fonzie.

Ma tutti i torti, dal loro punto di vista, non possono essere dati nemmeno a quelli del Partito Democratico o agli altri partiti che si sono giocati, in passato, la carta del volto noto per far finta di piacere ai giovani. Questo perché sia la sinistra che la destra hanno da sempre creato musica per far sognare. Principalmente, questi sogni a occhi aperti servivano a tradurre in note le utopie di possibili mondi nuovi da costruire con percorsi collettivi. Erano utili per creare un bagaglio culturale comune in cui riconoscersi e, non per ultimo, per attirare nuovi ragazzi. Ma in questo caso, i futuri militanti, venivano attirati a partire da un contenuto che doveva essere, almeno in parte, condiviso e non grazie ad una trappola luccicante, che più che a militare, ha l’unico scopo di trasformarli in comparse esibite per i telegiornali del giorno dopo. Il guaio, per i partiti, è che la vecchia via della canzone politica militante gli è rimasta preclusa. Non ci sono più cantautori disposti a raccontare il loro sogno, semplicemente perché non hanno più un sogno. E quindi non rimane che appaltare a terzi l’incarico di venderci le proprie note con la speranza, almeno, di accaparrarsi i figuranti dei sogni altrui.

Federico Callegaro

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