Salviamo il Comandante Todaro: mito e realtà di un eroe italiano (senza buonismo)

L'ufficiale italiano si distinse poi nel suo ruolo di comandante di unità d’assalto della Decima Flottiglia MAS, sia nelle operazioni in Mar Nero che nel Mediterraneo, dove trovò la morte in azione il 14 dicembre 1942 mentre era incaricato dell’organizzazione di una serie di missioni contro il porto di Annaba in Tunisia

Il comandante Todaro tra film e foto d’epoca

Ha aperto l’80a edizione del Festival del Cinema di Venezia l’atteso film “Comandante”, diretto da Edoardo De Angelis e scritto dallo stesso regista con il romanziere Sandro Veronesi e con protagonista Pierfrancesco Favino nel ruolo di Salvatore Todaro. 

I primi entusiasmi su un film finalmente celebrante un eroe italiano della seconda guerra mondiale si erano per molti rapidamente raffreddati nel leggere le dichiarazioni di Veronesi e della casa di distribuzione O1 Distribution nei mesi scorsi, reiterate a Venezia dal regista e da Favino (“Mi espongo politicamente: italianità è anche salvare gli uomini in mare”) con diversi attacchi diretti al governo Meloni e al Ministro Salvini portati persino “rivalutando” il “fascista Todaro” (in realtà semmai monarchico), aggancianti il noto salvataggio dei naufraghi del mercantile Kabalo all’attuale attività in Mediterraneo delle ONG verso i migranti, con tanto di citazione faziosa dello sbarco dei naufraghi nel “porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare”. 

Si è quindi sviluppato un acceso dibattito sia sui mezzi d’informazione che sui social, dove alle prese di posizione immigrazioniste di cui sopra è stato spesso risposto in maniera eccessivamente retorica, rischiando di arrecare un danno uguale e contrario alla figura del comandante Todaro in particolare e alla realtà storica in generale. 

I fatti: il 16 ottobre 1940 il sommergibile Cappellini del Capitano di Corvetta Salvatore Todaro, partito dalla Spezia e destinato a Betasom, la Base Atlantica dei sommergibili italiani a Bordeaux in Francia, affonda con il cannone – lanciando nel contempo anche tre siluri che fallirono il bersaglio probabilmente per “forti irregolarità della traiettoria verticale a causa del mare agitato” – il piroscafo belga Kabalo, di 5.186 tonnellate, che vistosi inseguito aveva aperto il fuoco per primo contro il sommergibile italiano, come riportato dal rapporto di missione di Todaro. Una lancia con parte dei naufraghi è quindi presa a traino dal Cappellini, e poi i naufraghi stessi direttamente presi a bordo a causa delle avverse condizioni meteo marine; il sommergibile navigherà quindi in emersione per centinaia di miglia marine sino all’isola di Santa Maria delle Azzorre, dove saranno sbarcati. 

A Betasom, questo atto di Todaro e l’affondamento di questa e delle due altre navi mercantili con l’impiego primario del cannone da ponte in attacchi in superficie ricevono la netta disapprovazione dell’Ammiraglio Angelo Parona, comandante della base italiana in terra francese e dello Stato Maggiore della Regia Marina (Supermarina) e dell’Ammiraglio Karl Dönitz, comandante degli U-Boot tedeschi. Questo perché raccogliendo i naufraghi aveva sì compiuto un atto cavalleresco, ma aveva anche evidentemente messo a rischio non solo la sua vita, ma il suo sommergibile e il suo equipaggio, elementi vitali nella conduzione della guerra navale dell’Asse contro le ben più forti Marine da guerra Alleate.

Ricordiamo tra l’altro come le leggi del mare e le convenzioni internazionali fossero mal conciliabili con l’impiego di un’arma come il sommergibile – vedi la norma dell’ispezione a bordo prima del siluramento nel caso di naviglio mercantile, risalente alla Convenzione dell’Aia del 1899 – e furono infatti quasi subito disattese da tutte le Nazioni in guerra. Tuttavia perlomeno nei primi anni di guerra i comandanti di sommergibili – compresi i massimi affondatori dell’Arma degli U-Boot come Otto Kretschmer (44 navi per complessive 274.333 tonn.) – diedero spesso una prima assistenza ai naufraghi, fornendo acqua, cibo, e talvolta carte e bussola; famoso inoltre il salvataggio di centinaia di naufraghi del transatlantico-nave trasporto truppe britannica RMS Laconia – in parte prigionieri di guerra italiani, molti dei quali lasciati rinchiusi nelle stive da parte dell’equipaggio Alleato – da parte dell’U-Boot 156 dell’“asso” Werner Hartenstein, che lo aveva silurato il 12 settembre 1942. I naufraghi furono salvati anche da altri due U-Boot e dal sommergibile Cappellini, già comandato da Todaro e destinato dopo l’Armistizio a servire prima nella Kriegsmarine e infine nella Marina Imperiale giapponese (!), e nonostante la chiara situazione di emergenza e salvataggio in corso l’U-156 fu attaccato da un bombardiere Liberator americano – dopo questo incidente l’Ammiraglio Dönitz emanò l’ordine di non prestare più assistenza ai naufraghi, rendendo ancora più stringenti le disposizioni in tal senso  precedenti.

Tornando a Todaro, è comunemente riportato come il sommergibilista italiano abbia risposto alle osservazioni di Dönitz con la frase “Un comandante tedesco non ha, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”, riportata però solo da fonti memorialistiche o superate dalla saggistica storico-militare navale più recente, che solitamente evita di riportarla quando è ricostruita questa vicenda; è invece assodato da più fonti ufficiali sia l’apprezzamento per il gesto di Todaro del comandante del Kabalo e di una ignota ammiratrice portoghese giunta all’epoca via canali diplomatici al Ministero della Marina a Roma e la stima per le sue caratteristiche umane e di marinaio dei suoi colleghi, sia il rimprovero formale di Parona e di Supermarina citati sopra e la nota di Dönitz “Peccato che questo Ufficiale non comandi una cannoniera”, stigmatizzante il frequente ricorso del comandante italiano all’artiglieria e non al siluro per ingaggiare le navi avversarie, cosa che portò anche a gravi danni al suo sommergibile, e conseguenti vittime tra l’equipaggio.

Questi rimproveri non impediranno tuttavia al Grand’Ammiraglio tedesco di lodare nelle sue memorie le azioni dei sommergibili italiani in Atlantico e dei loro comandanti nel loro complesso, osservando però come siano più portati alle azioni ardite ma individuali – anche più degli stessi equipaggi tedeschi, sottolinea Dönitz – che al cooperare con altri sommergibili, come per esempio nella tattica dei “branchi di lupi” impiegata dagli U-Boot.

Sul frequente uso del cannone da parte del comandante Todaro, c’è inoltre da rimarcare come la tattiche d’impiego d’inizio guerra dei sommergibili italiani affidassero un ruolo importante in tal senso al pezzo d’artiglieria sul ponte, nonostante la mediocre efficienza di questo metodo d’attacco per un’unità subacquea rispetto al siluro, lanciato peraltro dai sommergibili italiani da regolamento in lanci singoli, e la vulnerabilità del sommergibile quando in emersione – i comandanti di U-Boot invece erano istruiti a ingaggiare bersagli paganti con salve di più siluri, massimizzando le possibilità di un centro, e di impiegare il cannone solo contro piccole imbarcazioni o per “colpo di grazia” a navi già gravemente danneggiate con i siluri. 

Queste tattiche d’impiego e attacco più moderne, come pure delle notevoli modifiche alle strutture dei sommergibili italiani stessi per renderli maggiormente efficienti nella reale situazione operativa della guerra sui mari, furono adottate e implementate proprio grazie all’Ammiraglio Dönitz e alla Kriegsmarine, dando un contributo di un certo rilievo ai successi dei maggiori affondatori italiani di Betasom, tra i quali primeggiarono i comandanti Gianfranco Gazzana Priaroggia  (1912-1943) con 90,601 tonnellate di naviglio nemico affondate e Carlo Fecia di Cossato (1908-1944) con 86.545 tonnellate); i successi del comandante Salvatore Todaro furono invece di tre navi per complessive 17.687 tonnellate.

Il comandante Todaro si distinse poi nel suo ruolo di comandante di unità d’assalto della Decima Flottiglia MAS, sia nelle operazioni in Mar Nero che nel Mediterraneo, dove trovò la morte in azione il 14 dicembre 1942 mentre era incaricato dell’organizzazione di una serie di missioni contro il porto di Annaba in Tunisia. Todaro sarà quindi insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria. 

Dopo l’8 settembre 1943, la figura e le parole di Todaro ispirarono la creazione dell’emblema della Decima MAS del nord, come testimoniato dal suo comandante Junio Valerio Borghese:

“Todaro era il mistico di un determinato tipo di vita, che cercava più che la vittoria, la bella morte: non importa, ci diceva, affondare la nave nemica. Una nave viene ricostruita. Quello che importa è dimostrare al nemico che ci sono degli italiani capaci di morire gettandosi con un carico di esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario”.

Parole che spiegano anche il contrasto tra la visione strettamente militare e operativa del “comandante tedesco” e quella della Medaglia d’Oro Salvatore Todaro, certamente affascinante e patriottica e diffusa tra molti giovani Ufficiali italiani dell’epoca ma oggettivamente poco adatta, purtroppo, alla conduzione della guerra moderna tra nazioni avanzate.

*L’autore è editore e saggista storico militare

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Andrea Lombardi*

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