Giornale di Bordo. Riforme? La destra si occupi (prima) di Pnrr, denatalità e immigrazione senza limiti

Il monito del prof. Nistri agli ingegneri costituzionali: "Con Annibale alle porte servono soldati, non legulei"

La battaglia di Canne

Debbo ammettere di seguire con molto scetticismo il gran parlare che si sta facendo della riforma istituzionale, o meglio che si stava facendo, perché le tragiche vicende dell’Emilia Romagna hanno costretto la politica a occuparsi di problemi più impellenti, e anche più seri. Sono scettico per almeno due motivi. 

Il primo è che oggi esiste una priorità ben più urgente che giocare al Meccano con l’ingegneria istituzionale e consiste nello spendere presto e bene i fondi europei. Non spenderli sarebbe un errore, spenderli male sarebbe un errore ancora più grave, soprattutto quelli che in futuro dovremmo restituire. Spenderli bene significa evitare di buttare via soldi in opere faraoniche (per esempio il ponte sullo Stretto, in zona sismica: qualcuno si ricorda del terremoto e maremoto di Messina?) o dannose, finendo di rovinare capolavori dell’architettura novecentesca come lo Stadio Franchi, già Berta, di Firenze, perché i tifosi non si vogliono bagnare quando piove, o grottescamente clientelari. Spenderli bene significherebbe occuparsi seriamente del dissesto idrogeologico, intervenire sulla sanità, migliorare la rete del trasporto pubblico urbano e regionale, scoraggiando l’uso dell’automobile, evitando di concentrare le risorse sull’Alta Velocità, che favorisce chi vive nei grandi centri e ha il biglietto rimborsato dallo Stato o dall’azienda, ma penalizza chi vive nei capoluoghi dove un tempo fermavano i vecchi espressi. Oggi se da Firenze devo andare a Roma impiego con un Freccia Rossa un’ora e 40 minuti; ma per andare a Viareggio ci metto lo stesso tempo per percorrere appena 103 chilometri. La ferrovia tirrenica da Ventimiglia a Roma fa pena, e non parliamo del Sud. Migliorare e rendere più economico il trasporto su rotaia farebbe bene all’ambiente più dell’imposizione delle auto elettriche, perché molti oggi usano l’auto non per scelta peccaminosa, ma per risparmiare o perché il servizio ferroviario regionale funziona male e dopo una cert’ora non ci sono più treni. Per utilizzare presto e bene i fondi sarebbe bene che il governo sottraesse quanto possibile i poteri ai Comuni, prigionieri delle pressioni clientelari (che cosa c’entrano con la “resilienza” i campetti di paddle?) e del pressappochismo burocratico, istituendo qualcosa di simile alla Cassa del Mezzogiorno, naturalmente pro tempore. 

Il secondo motivo è che oggi la seconda emergenza per l’Italia è costituita da una pressione migratoria che si manifesta in tre forme. 

La prima è quella, diretta e allarmante, degli sbarchi, contro cui, sia detto con tutta onestà, questo governo ha fatto meno del dicastero giallo-verde. D’accordo, le condizioni sono cambiate, ma il tanto promesso blocco navale non c’è stato e in sostanza ci siamo limitati a redistribuire i migranti fra le varie regioni.

La seconda è quella del cosiddetto potere morbido, che ci sta sempre di più abituando all’idea che l’avvento di una società multietnica, multiculturale, multireligiosa sia non solo inevitabile, ma auspicabile. Si incominciò trent’anni e passa fa con gli United Colors of Benetton, oggi le grandi piattaforme televisive ci propongono una Cleopatra di colore. Ci inducono a sognare un’Italia meticcia, proprio mentre con i conflitti razziali negli Stati Uniti appare evidente il fallimento del melting pot. Il ministro Lollobrigida è stato crocifisso per aver parlato di identità etnica. Allora eliminiamo dalle antologie Manzoni, che in Marzo 1821 sognava l’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie di sangue e di cor”! So che è difficile lottare contro un soft power internazionale, ma la Rai, servizio pubblico, potrebbe fare qualcosa, promuovendo per esempio sceneggiati che esaltino l’identità italiana e proponendo figure positive della nostra storia, magari Marcantonio Bragadin, i martiri di Otranto, che preferirono morire piuttosto che abiurare la fede cristiana, o i marinai di tutte le regioni d’Italia che a Lepanto impedirono che l’Adriatico divenisse un lago ottomano.

Il terzo motivo è che alla pressione migratoria dall’esterno corrisponde la pressione di quanti la favoriscono dall’interno, considerandola una riserva di braccia indispensabile per i lavori del terziario cosiddetto “basso” e dell’agricoltura. La questione è molto sottile, perché sulla carenza di manodopera in molti settori influiscono molte concause.

Una è legata alla denatalità, e il governo Meloni fa benissimo a promuovere politiche favorevoli alle famiglie. Il problema, però, è che se queste politiche favorissero solo le famiglie con un basso reddito Isee, come già avviene per molti servizi pubblici, dagli asili nido alla sanità, il risultato sarebbe controproducente. A essere penalizzato sarebbe il ceto medio risparmiatore, mentre la possibilità di usufruire di ulteriori sussidi non solo attirerebbe col meccanismo dei ricongiungimenti familiari crescenti flussi migratori, ma accrescerebbe la tendenza di molti italiani a rifiutare il lavoro, aggravando il problema. Faccio un esempio: una donna che ha un impiego – e avrebbe davvero bisogno del nido gratuito per i figli – ha un Isee più alto di una madre che sta a casa e, avendo un reddito ufficiale più basso, gode gratuitamente del servizio, pur avendo tutto il tempo necessario per accudirli. A tutto questo si aggiungono gli effetti perversi del reddito di cittadinanza. Il governo Meloni lo ha abolito, o meglio riformato dandogli una nuova denominazione. È una scelta opportuna, a parte le perplessità suscitate dall’esonero per gli over 59 dell’obbligo di accettare un lavoro, in una nazione in cui l’età pensionabile è stata elevata a 67 anni. È tutt’altro che imprevedibile però “l’attrito” che l’applicazione delle nuove misure conoscerà, soprattutto nel Mezzogiorno. Un provvedimento di indubbio valore morale potrebbe essere sin d’ora che lo Stato facesse causa non tanto ai percettori abusivi del reddito, spesso insolvibili, ma ai Caaf che hanno avallato le loro dichiarazioni, facendosi complici di una grande truffa ai danni di quegli italiani, e sono tanti, che si alzano alle sei di mattina per svolgere un lavoro magari modesto, ma onesto e dignitoso. In uno Stato liberale, non si può certo costringere i cittadini a lavorare, tranne il caso di detenuti con sentenza passata in giudicato, ma non è giusto incoraggiare con provvedimenti clientelistici l’accidia. È onesto aggiungere che compito dello Stato sarebbe anche vigilare sul rispetto dei contratti collettivi di lavoro da parte di molti imprenditori spregiudicati, che per altro non è detto votino tutti a destra. Promuovere la piena occupazione degli italiani, maschi o femmine, sarebbe il modo migliore per scoraggiare il ricorso ai flussi migratori.

Queste – la gestione dei fondi europei, il dissesto idrogeologico e l’immigrazione incontrollata – sono secondo me le vere emergenze per l’Italia (e lascio da parte, per carità di patria, le spinose questioni della politica estera), non discettare se sia meglio un presidenzialismo alla francese o un cancellierato alla tedesca. Con Annibale alle porte servono soldati, non legulei.

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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