Segnalibro. Il processo a Giovanna d’Arco “ragazza in armi”

Marsilio pubblica gli atti di condanna della diciannovenne visionaria, santa e combattente. Il diario di un'"insubordinata"

Il saggio di Teresa Cremisi du Giovanna d’Arco

Certi documenti di processi medioevali restituiscono benissimo il clima e la cultura dell’epoca: quanto nei processi incida l’opinione pubblica, i pregiudizi, le scelte politiche del tempo. Il potere esprime sempre la propria forza. Un libro particolarmente interessante, edito da Marsilio e curato da Teresa Cremisi, Il processo di condanna di Giovanna d’Arco, riporta nei verbali delle sei udienze e dei sei interrogatori complementari, dai quali poi scaturirà la condanna a morte sul rogo a Rouen, per eresia, un serrato dibattimento dove pare proprio che i giudici avevano già deciso la condanna di Giovanna d’Arco (1412-1431). La ragazza, proclamata santa nel secolo scorso,  seguiva un suo sentire che prescindeva dalle regole del tempo. Le questioni teologiche, religiose, di obbedienza verso la Chiesa di Roma, le decisioni per la guerra c’erano, ma sullo fondo. A ricorrere negli interrogatori erano le accuse contro lo spirito di insubordinazione della diciannovenne pulzella d’Orléans, il taglio corto dei capelli, i vestiti fin troppo mascolini che indossava e che non cambiava neppure quando avrebbe potuto. Facile pensare che una “ragazza in armi” trovasse più comodo, per cavalcare un destriero, per condurre un assalto, per combattere contro un nemico forte (debellò l’esercito inglese in Francia), vestirsi secondo la foggia militare ma i giudici la interpretarono come una stranezza forse causata dalla volontà del diavolo. La sua dichiarazione “l’abito non ha importanza” restò senza ascolto. Una scelta che – come sottolinea la curatrice Teresa Cremisi – non fu mai negata da Giovanna che “non dismetterà mai quest’abito maschile” anche quando era a corte e non c’era necessità di vestirsi con abiti in uso dall’altro sesso. Ma poi, talvolta, non disdegnava il lusso evidente e ostentato. Quindi non c’entravano l’ascetismo e una sorta di penitenza, come avveniva spesso in sette eretiche e in alcuni ordini confessionali. C’era, in Giovanna d’Arco, la necessità di asserire la sua missione e il suo modo di rappresentarsi. Come se portare i capelli corti, vestirsi con abiti mascolini e non deflettere di un centimetro dalle proprie convinzioni fossero un’unica realtà.

Ripercorrendo i testi degli atti processuali, riportati nel libro, Cremisi sottolinea la dimensione della personalità di Giovanna che prioritariamente non riconosceva autorità, gerarchia e spesso – nelle risposte – si poneva sullo stesso piano dei suoi accusatori con assertività, forza, determinazione nel sostenere le proprie idee. Non riconosceva l’autorità religiosa e quella militare, riconosceva solo il volere di Dio che – secondo lei – le veniva comunicato direttamente dall’Alto.

Questo curato da Cremisi è il testo definitivo, arricchito da documenti tradotti dal francese e dal latino, cronache e lettere coeve che illustrano bene il carattere di questa forte personalità che suscitava perfino nei suoi accusatori ammirazione quando non soggezione.

Il processo di condanna di Giovanna d’Arco, di Teresa Cremisi (a cura), Marsilio ed., pagg. 269, euro 17

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Manlio Triggiani

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