L’attualità di Dino Buzzati conservatore rivoluzionario

Come non pensare, rileggendo lo scrittore di Belluno, al nostro tempo in cui un po' tutto si basa sulla velocità, sul movimento, sull’essere immersi da un continuo flusso di informazioni

Un autoritratto di Dino Buzzati

Su Dino Buzzati molto si è scritto, discusso sull’originalità della sua poetica per cui potrebbe sembrare un po’ superfluo riparlarne. Vorrei tentare però di sottolineare senza alcuna pretesa di novità che cosa possa dirci ancora oggi a 51 anni dalla morte. Egli è attuale, contemporaneo perché nei suoi scritti affronta com’è noto temi che vanno al di là di contingenze storiche quali lo scorrere del tempo, l’attesa, la realtà, il mondo come Mistero che si cela dietro le apparenze del quotidiano come un’entità metafisica.

Proprio sul concetto di tempo, Buzzati scrive in “Autoritratto”:

“La cosa che più mi ossessiona è il tempo che passa e che divora… L’uomo non è mai pari al tempo: in questo senso poi arrivano le delusioni.Il tempo precipita su di lui con una velocità che l’uomo non può ottenere per quanto sia attivo ed intraprendente e forte e inesauribile”.

Come non pensare al nostro tempo in cui un po’ tutto si basa sulla velocità, sul movimento, sull’essere immersi da un continuo flusso di informazioni, in cui tutto cambia repentinamente, in cui anche nelle cose di uso quotidiano si evidenzia il fatto del consumo veloce e della poco durata del bene che si usa. La fretta, il voler fare questo e quello con ansia anche con il fine di raggiungere sempre di più correndo e poi trovandosi di fronte anche al fallimento, alle delusioni che negano le aspettative. Buzzati vedeva la realtà quotidiana come Mistero e in questo senso vi sono luoghi in cui esso si manifesta con più forza e sono le montagne e il deserto.

In “Barnabo” dalle montagne scrive:

“Le montagne sono nascoste ma si sentono vicine; sono immobili e solitarie, sprofondate nelle nubi”.

Sono come simbolo della tensione verso l’alto, la trascendenza. Anche il deserto che è all’opposto di quelle, simboleggia lo sconfinato, l’ignoto . A questo proposito egli scrive:

“Secondo me quello che fa soprattutto impressione nel deserto è il senso dell’attesa. Uno ha la sensazione che debba succedere qualcosa da un momento all’altro. Proprio lì ,scaturito dalle cose che si vedono”. (Da un Autoritratto. Dialoghi con Yves Panafieu. Mondadori).

Tempo, attesa sono due categorie fondamentali del pensiero di Buzzati, sono come quasi un’ossessione, vissuti con angoscia: In il “Deserto dei Tartari” scrive:

“Non ci si può fermare un attimo, neppure per un’occhiata indietro. “Ferma, ferma”! Si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile:; Tutto fugge via, gli uomini, le stagioni,le nubi”.

Ci si può ancora chiedere quali siano altri esempi del suo essere attuale ma in un senso certamente non di adesione al modello di vita corrente. Potremmo definirlo un conservatore rivoluzionario, un anticipatore sui tempi, come quando intuì l’invenzione del cellulare chiamandolo “teletino” e il suo uso maleducato. Non solo, fu inventore del Poema a fumetti, e poi com’è noto collegò la parola al disegno, la scrittura all’immagine.
Come Luciano Bianciardi nella Vita Agra, capì i risvolti negativi della vita delle grandi città, la routine, la massificazione. In questo autore l’arte e quindi la scrittura, il disegno sono come una via di salvezza, uno sfogo, un’analisi di sé stesso. In un quaderno del febbraio 1962, annota: “Ricordarsi che l’unica possibilità non dico di successo ma di vera soddisfazione, di gioia, sensazione ,di sentirmi vivo, è qui sulla carta, nei segni che la penna traccia”.

La scrittura come salvezza, per poter vivere. La poetica di questo giornalista-scrittore principalmente di racconti più che di romanzi si basa su concetti, come detto, di tempo, di attesa, di mistero in una mescolanza di cronaca e di vicende inverosimili in cui emergono quelli che sono i suoi timori, paure, insoddisfazioni, come se si mettesse a nudo.

Che cos’è il mistero, quell’entità metafisica che sta dietro le apparenze, che si cela dietro ogni aspetto, luogo del quotidiano? Non va inteso come il Dio cristiano, quindi come una persona anche se sull’adesione a tale fede non si può dire con certezza che la rifiutasse. Nel Deserto dei Tartari, il tenente Drogo consuma i propri giorni, la sua vita nell’attesa che arrivi il nemico così da riscattare una vita militare monotona, ripetitiva, senza senso che secondo il nostro autore non era solo tipica di questo ambiente anche se più rappresentativa ma che poteva estendersi anche alla vita non militare.Quale sarà l’epilogo della vicenda del romanzo? Il protagonista dopo aver atteso invano il nemico, l’occasione per riscattarsi, viene mandato in città perché malato.
Nell’ultimo capitolo Buzzati scrive:

“Andava a morire in una locanda mentre i battaglioni andavano incontro alla gloria”.

Ecco il punto cruciale che darà al tenente la vera occasione della sua vita che non è la gloria, così come la carriera letteraria dello scrittore. E’ il sentire da parte di Drogo una speranza diversa, quella di aprirsi al mistero cioè Drogo vede una “ luce” al di là “ dell’immenso portale nero”. Che cosa vuol dire? Vuol dire che il mistero si può rivelare in varie modalità, può essere una porta, un ostacolo, un muro al di là dei quali c’è Qualcuno. Buzzati credente? Diciamo di no se lo si intende come cattolico praticante ma un uomo religioso sì cioè che cerca al di là della realtà terrena e che quindi capisce che la nostra ragione è insufficiente a dare conto della realtà. Egli trascorse gli ultimi giorni della sua vita in clinica e poco prima di spirare chiamò la suora che l’assisteva e le chiese di portargli il crocefisso che baciò. E’ stata trovata tra le sue carte una sorta di preghiera dal titolo Dio che non esisti ti prego. 

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Pasquale Ciaccio

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