La “Spe Salvi” di Benedetto XVI tra Fede e Ambiente

Le riflessioni di Sandro Marano, ecologista, esponente di spicco dell'associazione "Fare Verde", su una enciclica del papa emerito Ratzinger

Papa Benedetto XVI

Uno dei tratti salienti dell’ecologismo è la critica puntuale dello scientismo, che è la pretesa della ragione fisico-matematica di conoscere e manipolare a suo piacimento la realtà. Col corollario, che ne segue, che i problemi cagionati dallo sviluppo della tecnica possano risolversi esclusivamente con la tecnica. Ma questa è un’illusione perniciosa, come ognuno può facilmente constatare. La Natura non è il nostro luna-park. Le sue leggi non rispondono a logiche economico-finanziarie. Mari, fiumi, spiagge, boschi esistono a prescindere dagli interessi dell’uomo, hanno ritmi e vita loro propri, una loro sacralità che un tempo veniva riconosciuta nelle culture tradizionali e che li preservava dall’aggressione dell’uomo.
La ragione vale, come aveva intuito Ortega y Gasset, solo se si ricollega a quel più vasto ambito che è la vita, se si fa ragione vitale e non solo scientifica. La scienza in quanto tale non ha niente di preciso da dire sui grandi temi dell’esistenza. «L’umano – scriveva il filosofo spagnolo – sfugge alla ragione fisico-matematica come l’acqua da un canestrino».
Questo tema della ragione, del suo rapporto con fede, è centrale sia nell’enciclica Spe salvi sia nel famoso discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Il pontefice poneva a questo proposito una domanda che ci tocca tutti, che riguarda la nostra vita e la nostra morte, giacché «il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è cosi grande da giustificare la fatica del cammino».
Possono gli uomini vivere senza la speranza? E in che cosa consiste questa speranza che deve soddisfare insieme l’intelligenza e il cuore e deve coincidere con una ragionevole certezza? Per Benedetto XVI non ci sono dubbi: «Dio è il fondamento della speranza non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine».
La risposta che egli dà come teologo, come filosofo, come capo di una religione, può essere accettata o respinta, ma non si può ignorare, non si può con sufficienza alzare le spalle, non foss’altro perché ha riempito e dà un senso alla vita di milioni di uomini ed è stata sostenuta da filosofi dello spessore di un Agostino e di un San Tommaso, di un Pascal e di un Marcel.
A questa risposta Benedetto XVI giunge attraverso l’analisi della situazione esistenziale dell’uomo e della sua storia. Il desiderio di pienezza, di felicità che ognuno di noi porta in sé non trova rispondenza in tutto ciò che si può sperimentare o realizzare: l’amore, il successo, l’ideale politico, la scienza stessa sono risposte parziali, non pienamente soddisfacenti. E qui si pone, come accennato, il tema affascinante del rapporto tra la ragione e la fede, tra la verità scientifica e la verità tout court. La ragione scientifica non è tutta la ragione. La fede nel progresso, che si è affermata nel tempo moderno, non può, secondo Benedetto XVI, sostituire la speranza cristiana: «non è la scienza che redime I’uomo», afferma con forza. Non è forse vero, sosteneva il papa citando Adorno, che «il progresso, visto da vicino sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba»?
È, di tutta evidenza la problematicità del progresso, che può farsi, e spesso si è fatto, minaccia per l’uomo e per il mondo: «la scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa». E qui, nella critica dello scientismo, il discorso Benedetto XVI si ricongiunge all’istanza ecologista. Se la fede infatti è un dono, anche la nostra condotta non è indifferente: infatti «possiamo scoprire e tenere pulite le fonti della creazione».

Sandro Marano

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