Caso Pasolini. Abbatino può anche aver partecipato al furto delle bobine di “Salò”, ma al regista non servivano più

PPP, per andare all’Idroscalo di Ostia (nel 1975 notorio luogo di prostituzione e spaccio), non aveva bisogno di esche di sorta, dato che lo conosceva a menadito da anni, se non altro per averci girato un mediometraggio (La Terra vista dalla Luna del 1967) e per essere un frequentatore abituale di una trattoria sita proprio all’Idroscalo

Pier Paolo Pasolini

Foto d’epoca della morte di Pasolini

Questo articolo, che pubblichiamo per gentile concessione dell’autore, è uscito sul quotidiano “La Verità” il 21 dicembre 2022 con il titolo “Un film rubato per uccidere Pasolini. L’enigma della Banda della Magliana”. Al seguente link è inoltre possibile ascoltare l’audio dei circa 6 minuti di colloquio tra la giornalista Raffaella Fanelli e l’ex boss della Banda della Magliana Maurizio Abbatino riguardanti il furto, avvenuto in un periodo compreso tra il 14 e il 18 agosto del 1975 presso gli stabilimenti romani della Technicolor in via Tiburtina, di alcune bobine di tre film allora in lavorazione: “Il Casanova” di Federico Fellini, “Un genio, due compari, un pollo” di Damiano Damiani e “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini. L’audio, il cui contenuto – ribadito lo scorso 24 febbraio da Abbatino in un’audizione della Commissione Parlamentare antimafia – era stato solo in parte trascritto da Raffaella Fanelli nel suo libro-intervista ad Abbatino “La verità del Freddo” (Chiarelettere, 2018), è stato concesso in esclusiva a “La Verità” da Giuseppe Pollicelli, il quale lo inserirà nel suo lavoro d’inchiesta sul delitto Pasolini “Io muoio, ed anche questo mi nuoce”, attualmente in fase di ultimazione.

https://www.laverita.info/un-film-rubato-per-uccidere-pasolini-lenigma-della-banda-della-magliana-2658989451.html

«Avete ragione, non se ne può più di Pier Paolo Pasolini. Mostre su mostre, convegni su convegni, spettacoli su spettacoli, paginate su paginate in questo centenario pasoliniano». Con queste parole, Marcello Veneziani ha aperto un suo editoriale apparso su La Verità lo scorso 16 dicembre. Difficile dargli torto: la quantità di tributi a Pasolini, in questo 2022 in cui cadono i cento anni dalla nascita del poeta, è stata eccessiva, tanto da generare inevitabilmente ripetizioni e repliche. Ma se di Pasolini si continua a dibattere – non semplicemente a celebrarlo – vuol dire che la sua è una presenza ancora viva nella società italiana (e non solo), e che la sua vita e le sue opere seguitano a parlare con una forza obiettivamente straordinaria. Tra i tanti omaggi, però, ce n’è almeno uno che gli è stato negato, e sarebbe stato invece il più importante: quello della verità. La verità a cui ci riferiamo è, ovviamente, la verità intorno alle circostanze del suo assassinio, avvenuto nella notte del 2 novembre 1975 in uno slargo sterrato all’estrema periferia del quartiere romano di Ostia, a pochi metri dal mare. Beninteso: nessuno, e di certo non noi, pretende di conoscere da chi si occupa della morte di Pasolini i particolari esatti di quel tragico evento; quello che si chiede, e a questo punto si pretende, è che almeno non lo si intorbidi ulteriormente con inesattezze, tesi risibili o vere e proprie menzogne. A fronte di una marea sempre crescente di affermazioni prive di qualunque fondamento, è arrivato il momento di stabilire alcuni punti fermi, ed è questo ciò che faremo con il presente articolo, nella speranza che possa servire a qualcosa. 

Foto di cronaca della morte di Pasolini

È notizia di questi giorni che la Commissione Parlamentare antimafia ha rilasciato una breve relazione in cui, sulla scorta delle audizioni della giornalista Simona Zecchi (autrice di due saggi sul caso Pasolini editi da Ponte alle Grazie, l’ultimo dei quali è L’inchiesta spezzata) e dell’ex boss della Banda della Magliana (nata come sodalizio criminale nel 1977) Maurizio Abbatino, si ipotizza – tesi per nulla nuova, circolando dal 2005 dopo alcune dichiarazioni, invero poco puntuali, del regista Sergio Citti, amico e collaboratore di PPP scomparso nell’ottobre di quello stesso anno – che Pasolini si sia recato all’Idroscalo di Ostia, la sera del 1° novembre 1975, per recuperare alcune pizze del suo film Salò o le 120 giornate di Sodoma (all’epoca non ancora uscito), sottratte – assieme a varie bobine di altre due pellicole allora in lavorazione, Il Casanova di Federico Fellini e un western di Damiano Damiani – in un periodo compreso tra il 14 e il 18 agosto del 1975 dagli stabilimenti romani della Technicolor in via Tiburtina. Si sarebbe trattato di una trappola – non si sa ordita da chi – per attirare Pasolini in un luogo isolato e ammazzarlo. La novità è che alla rapina partecipò, con altri individui non meglio identificati, appunto Maurizio Abbatino, in quel momento ventunenne. È vero, stando a quanto dice Abbatino, che tra gli organizzatori del furto c’era un tal Franco Conte (nel frattempo deceduto), gestore di una bisca in zona Magliana frequentata anche da Pasolini (è sempre Abbatino a sostenerlo, ma il suo racconto – a cui i lettori de La Verità possono accedere ascoltando in esclusiva sul sito del giornale un audio della conversazione con la giornalista Raffaella Fanelli, autrice nel 2018 di un prezioso libro-intervista ad Abbatino pubblicato da Chiarelettere e intitolato La verità del Freddo – appare credibile); questo tuttavia non significa in alcun modo che le bobine di Salò siano state adoperate come esca per eliminare Pasolini. Una volta per tutte: ammesso e non concesso che fosse così sprovveduto da andare a riprendersele, da solo e a notte fonda, ai margini estremi di Ostia, Pasolini non aveva nessun bisogno di recuperare quelle pizze, poiché il 1° novembre del 1975 il montaggio di Salò era già stato terminato grazie al fatto che dei nuovi negativi, identici a quelli rubati e di qualità del tutto soddisfacente, erano stati ricavati dalla produzione del film, attraverso un procedimento chimico, dai cosiddetti «positivi». Alcuni elementi inoppugnabili a riprova di ciò: il 31 ottobre 1975 una copia di Salò viene depositata in Commissione di censura per ottenere il visto per la proiezione; il giorno dopo, cioè il 1° novembre, appena tornato da Parigi dove era stato appunto per presentare Salò, Pasolini comunica all’allora caporedattore della redazione romana de La Domenica del Corriere, Norberto Valentini, che erano pronte due copie del film invitandolo a visionarlo assieme a lui; in un articolo dal titolo “Nessun riscatto per i film rubati”, uscito su La Stampa il 19 settembre 1975, si legge: «Per il film di Pasolini si è già provveduto (…) al controtipaggio dal positivo, con risultati che il regista ha definito “completamente soddisfacenti”». Potremmo continuare, ma ci fermiamo qui. Senza contare l’insensatezza di postulare addirittura una doppia esca per condurre Pasolini all’Idroscalo: difatti, se l’esca erano le bobine di Salò, non si capisce a quel punto a cosa servisse Pino Pelosi (il prostituto che per la giustizia italiana è stato l’assassino materiale di Pasolini), il quale – secondo i sostenitori della tesi delle pizze – avrebbe anch’egli svolto una funzione di esca. Peccato che Pasolini, per andare all’Idroscalo di Ostia (nel 1975 notorio luogo di prostituzione e spaccio, peraltro non così isolato visto che ci vivevano o ci soggiornavano svariate famiglie di abusivi), non avesse bisogno di esche di sorta, dato che lo conosceva a menadito da anni, se non altro per averci girato un mediometraggio (La Terra vista dalla Luna del 1967) e per essere un frequentatore abituale di una trattoria sita proprio all’Idroscalo (si confronti la testimonianza, presente negli atti dell’ultima inchiesta sul caso, resa agli inquirenti il 30 luglio 2010 da Sergio Leoni, titolare del locale suddetto). 

Sistemate definitivamente, si spera, le bobine di Salò, riserviamo queste ultime righe alla puntata sul delitto Pasolini della trasmissione Cronache criminali, condotta dal magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo e andata in onda su Rai 1 il 5 dicembre scorso. Tra errori marchiani e affermazioni imbarazzanti degli ospiti interpellati, nel programma in questione si è ancora una volta distinto in negativo il regista David Grieco, tra le altre cose autore nel 2016 del lungometraggio La macchinazione (sempre sulla morte di PPP), il quale è riuscito ad affermare che Pasolini è stato sormontato e ucciso non dalla sua Alfa GT 2000 ma da un’auto identica, tant’è vero che la macchina di Pasolini sarebbe stata trovata priva di qualsiasi taccia organica appartenente al poeta. Una balla clamorosa. Ci limitiamo, per smentirla, a trascrivere un breve passaggio della perizia effettuata sull’Alfa GT di Pasolini dall’ingegner Ambrogio Riccardo Cappuccini il 28 novembre 1975: «È stata rilevata la presenza di evidenti tracce biologiche nella parte sinistra inferiore del veicolo. Tali tracce, per lo più costituite da macchie di colore bruno scuro (…), potrebbero essere di sangue coagulato. Sono inoltre visibili alcuni frammenti solidi che potrebbero risultare porzioni di tessuti epiteliali e capelli». Sangue e capelli che di lì a poco si sarebbe accertato essere di Pasolini. Chicca finale di De Cataldo, secondo il quale sui vestiti di Pelosi non fu rinvenuta alcuna traccia di sangue. Completamente falso: sugli abiti di Pelosi (basterebbe leggere le perizie, come per l’Alfa GT) fu rinvenuto, pur in modiche quantità (anche perché nel frattempo Pelosi si era dato una pulita a una fontanella), proprio il sangue di Pasolini, prova indiscutibile, come minimo, della sua attiva partecipazione al pestaggio dell’intellettuale e smentita categorica di tutte le versioni alternative fornite da Pelosi medesimo a partire dal 2005.

Resta inspiegabile, detto tutto ciò, come mai così tanti amanti ed estimatori di Pasolini gli manchino di rispetto mentendo sistematicamente intorno alla sua orribile morte. 

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Giuseppe Pollicelli

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