La serie-tv ceca “Prima Repubblica” e le assonanze tra Sudeti e Donbass

Definire První Republika una soap opera sarebbe riduttivo e non vero. Come noto, una soap opera, o soap, è un dramma nato per la radio negli Anni '30 e diventato poi un programma televisivo

První Republika

L’attuale Repubblica Ceca nasce il 1º gennaio 1993, assieme alla Slovacchia, dalla pacifica scissione della Cecoslovacchia, che dal 1990, con la crisi del sistema sovietico e del Patto di Varsavia, aveva assunto il nome di Repubblica Federale Ceca e Slovacca. 

La prima Repubblica Cecoslovacca era sorta il 28 ottobre del 1918, dalla dissoluzione dell’Impero austro-ungarico alla fine della Grande Guerra. Il principale artefice dell’operazione fu il suo fondatore e primo Presidente, il filosofo Tomáš Masaryk. Proclamata la Repubblica, nel 1920 fu approvata la Costituzione e si svolsero le prime elezioni politiche. Tuttavia, la millenaria separazione tra Cechi e Slovacchi, e le profonde differenze economiche, sociali e culturali fra le regioni occidentali e quelle orientali, resero difficile l’edificazione del nuovo Stato. La nascente nazione consisteva negli attuali territori della Repubblica Ceca, della Slovacchia, e della Rutenia subcarpatica oggi Ucraina. Il territorio del nuovo Stato comprendeva alcune delle regioni più industrializzate del precedente Impero austro-ungarico, e dell’intera Europa, con un tasso di occupati nell’industria che raggiungeva il 40%. Fino alla Seconda Guerra Mondiale fu una repubblica parlamentare, caratterizzata da contrasti etnici più che da lotte politiche.

Le difficoltà erano dovute al fatto che il secondo ed il terzo dei maggiori gruppi etnici del Paese (tedeschi e slovacchi) non erano soddisfatti del dominio economico e politico dei cechi. Inoltre, molti appartenenti alle comunità tedesca ed ungherese (a proprio agio nell’Impero svanito, cancellato) non accettarono mai realmente la creazione del nuovo Stato. Tedeschi, Ungheresi e Polacchi (ed anche molti Slovacchi) avevano la percezione di essere svantaggiati, poiché nel Paese era stato introdotto un governo centralizzato e non fu permessa alcuna autonomia politica (e neppure di tutela dell’identità culturale) ai gruppi etnici minori. Il nuovo Stato si caratterizzò, infatti, per una decisa lotta alle minoranze etniche, non tanto quella tedesca, che era troppo forte per essere facilmente schiacciata (anche numericamente, con oltre 3 milioni di unità), quanto quella magiara. 

In violazione delle clausole di protezione delle minoranze decise dagli Alleati con la Pace di Saint-Germain, nel 1919, la Cecoslovacchia provvide subito – come, per la verità, gli altri Stati sorti dopo la WWI, o come in parte l’Italia – a ‘ripulire etnicamente’ il Paese, o sue parti, soprattutto nei settori chiave della politica, dell’amministrazione, della cultura ed istruzione, della Chiesa, confiscando terre agli ungheresi, creando un nuovo sistema elettorale per ostacolare l’elezione dei loro rappresentanti, chiudendo le loro scuole, licenziando i loro funzionari, deportando i religiosi, abolendo l’uso ufficiale della lingua ungherese, chiudendo le associazioni culturali e l’università di Presburgo, l’antica capitale dell’Ungheria. Quest’azione aiutò nel breve periodo a forgiare l’identità nazionale della nuova Cecoslovacchia, il cui principale problema era quello di amalgamare le anime prevalenti del nuovo Stato, quella ceca e quella slovacca, rurale e più arretrata, diverse per storia, tradizioni religiose, culturali, realtà sociali. La Rutenia subcarpatica era ancor più arretata della Slovacchia, praticamente senza industrie. Ma nel medio periodo tale decisione fu letale, portando allo smembramento della repubblica ed allo stabilimento di una Slovacchia indipendente da Praga, nel 1939 e poi nel 1993, ed alla perdita della Rutenia. 

I confini della Cecoslovacchia indipendente, nel 1918 erano: i Regni di Baviera, di Sassonia, la Slesia (divenuta in gran parte prussiana ai tempi di Federico il Grande, a metà del secolo XVIII, ed oggi polacca), la Slovacchia, la Rutenia Subcarpatica, ora dell’Ucraina. A nord della Slovacchia la Galizia, polacca dopo la WWI. Austria, Ungheria, Romania a sud. Il vecchio Regno di Boemia corrisponde all’odierna Repubblica Ceca, che include la Moravia ed una parte della Slesia. La Boemia non aveva mai fatto parte dell’Impero Tedesco sorto nel 1871 (sì del vecchio Sacro Romano Impero) o di uno Stato tedesco importante. Per secoli fu dominio asburgico,”Terra della Corona dell’Impero Austriaco”. La nuova nazione aveva una popolazione di circa 13,5 milioni di abitanti, ma ereditò oltre il 70% delle industrie dell’Impero austro-ungarico. Pertanto, la Cecoslovacchia divenne una delle dieci nazioni più industrializzate al mondo. Gran parte delle industrie si trovava nei Sudeti; esse erano possedute da tedeschi e finanziate da banche germaniche. Tedeschi dei Sudeti (Sudetendeutsche) è la denominazione delle popolazioni tedesche, fino alla WWII, che popolavano la zona del Sudetenland lungo i monti Sudeti, zone di confine dell’attuale Repubblica Ceca, a forte presenza germanofona. 

A partire dal tardo Medioevo (XIII e XIV secolo) la regione a cavallo dei Sudeti fu colonizzata da popolazioni tedesche, che varcando le montagne da tre lati del quadrilatero boemo s’installarono, facendo arretrare l’elemento ceco verso la zona collinare, e mescolandosi in matrimoni misti, piuttosto frequenti soprattutto dal secolo XIX. La massiccia presenza tedesca in Boemia per lungo tempo non fu causa di forti attriti nella regione. Solo a metà del XIX secolo si cominciò a porre la “questione boema”. Alle spinte nazionaliste ceche, tendenti ad una autonomia linguistica e politica, fece da contrappeso una rigida politica di germanizzazione a Praga e nelle principali città boeme e morave, nelle quali pure vivevano forti minoranze tedesche, decisa da Vienna. Fu in questo contesto che si cominciò a parlare di Tedeschi dei Sudeti, per designare la popolazione germanofona sparpagliata lungo le fasce di confine della Boemia e della Moravia. In realtà, il cosiddetto territorio dei Sudeti non era altro che una sottile ed irregolare fascia di confine, priva di alcuna tradizione politico-amministrativa e tanto meno di un capoluogo culturale di riferimento. Si trattava di un insieme di frange protrudenti dalle rispettive regioni confinanti di lingua tedesca. 

La nuova nazione aveva una popolazione di circa 13,5 milioni di abitanti, ma ereditò oltre il 70% delle industrie dell’Impero austro-ungarico. Pertanto, la Cecoslovacchia divenne una delle dieci nazioni più industrializzate al mondo. Gran parte delle industrie si trovava nei Sudeti; esse erano possedute da tedeschi e finanziate da banche germaniche. Tedeschi dei Sudeti (Sudetendeutsche) è la denominazione delle popolazioni tedesche, fino alla WWII, che popolavano la zona del Sudetenland lungo i monti Sudeti, zone di confine pure dell’attuale Repubblica Ceca, a forte presenza germanofona. 

Assai conosciuta, e rilevante, ad esempio, era la produzione di autoveicoli dalla fine dell’800. Nel 2018 circa il sessanta per cento della produzione ceca era riconducibile alla Škoda Auto, casa automobilistica del gruppo Volkswagen, dalla quale erano uscite circa 886.000 vetture. Hanno oggi sede nella repubblica varie filiali di grandi produttori esteri, europei, giapponesi, coreani. Oltre alle famose Škoda e Tatra ci furono vari marchi diffusi fino alla Seconda Guerra Mondiale:  Aero, Avia, Karosa, Praga, Jawa, Zbrojovka. 

(https://www.treccani.it/enciclopedia/cecoslovacchia; https://1000marche.net/marche-auto-ceche).

La distribuzione della popolazione germanofona nel periodo interbellico entro i confini della Repubblica Ceca. 

(Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Monaco; https://it.wikipedia.org/wiki/Cecoslovacchia;

https://it.wikipedia.org/Storia_della_Cecoslovacchia; https://it.wikipedia.org/wiki/Cecoslovacchia).

Dove lo scrivente risiede, in Uruguay, le emittenti via cavo stanno riproponendo, un giorno la settimana, lo sceneggiato První Republika (Prima Repubblica), ribattezzato Ambición, con sottotitoli in spagnolo, prodotto dalla Televisione Ceca dal 2014 al 2018. Una saga familiare in 48 episodi, durante 3 stagioni, diretta da Biser A. Arichtev e Johanna Steiger Antošová, con un cast comprendente Ján Koleník, Markéta Plánková, Jiří Vyorálek, Veronika Arichteva, Svatopluk Skopal, Robert Urban e Jan Vlasák. Nomi e volti che compaiono in varie altre serie televisive ceche, presentato da Eurochannel, un canale via cavo e satellite, creato a San Paolo del Brasile nel 2004 dal Grupo Abril – e fondato nel 1950 dall’italiano Victor Civita, esule per le Leggi Razziali del 1938 – che trasmette in 86 Paesi produzioni europee, film e primetime serials sottotitolati, generalmente di buona qualità, con il dichiarato proposito di diffondere la cultura europea e lo stile di vita composito degli europei, di ieri e di oggi. 

Definire První Republika una soap opera sarebbe riduttivo e non vero. Come noto, una soap opera, o soap, è un dramma nato per la radio negli Anni ’30 e diventato poi un programma televisivo (sceneggiato). La soap opera per la televisione rappresenta un genere della fiction, strutturata in un 

numero ampio di puntate, definita fiction a lunga serialità’, che dal punto di vista narrativo si propone come un’unica storia suddivisa in un numero elevato di puntate, con scene girate soprattutto in interni, ricche di primi piani, valorizzando budget limitati. Il termine soap opera deriva dal tipo di prodotti pubblicizzati nelle prime produzioni statunitensi, detersivi e saponi di aziende che si rivolgevano al pubblico femminile quale destinatario principale della soap opera, trasmessa in orari pomeridiani. Non è neppure il classico feuilleton televisivo o una prime time serial, tipo Dallas, Dynasty, Falcon Crest, Beautiful, con le relazioni umane e sentimentali ed i rapporti professionali come assi tematici fondamentali. O, meglio, in parte lo è, essendo comunque molto di più: un’accurata ricostruzione di ambienti, guardaroba, trucco, interni ed esterni variati e suggestivi, fino alla sontuosità estetica, un’operazione di ricostruzione storica (non un mero fondale, anche se di parte) e psicologica; un appassionante dramma colmo di misteri, tradimenti, sfide al conformismo, nostalgie, rancori, manipolazioni, filosofie di vita opposte. Colorato e dinamico.

První Republika si presenta come un succedersi affascinante di segreti torbidi, conflitti laceranti, delitti oscuri ed incomprensibili, sensibilità acute, ricostruzione ed approfondimento di etiche individuali e sociali, scandali, affari e forti ambizioni, sesso (sempre etero) ed amore, in un’epoca (dal 1920 al 1931) segnata da vari elementi contraddittori, progresso tecnologico, cambi notevoli nella condizione femminile (soprattutto nell’alta società), morale alquanto rilassata, poco rispetto per le nuove autorità della repubblica, percepite dai meno giovani come ‘molli’ ed inefficienti, rispetto a quelle asburgiche – che riuscivano a far convivere diversi popoli ed etnie che non si amavano, ma senza conflitti armati – contenuta violenza e diffidenza nei rapporti interpersonali, diffuso alcolismo ed uso delle armi, eredità del conflitto, in ispecie negli Anni ’30 con l’arrivo della Great Depression, importata dal crollo di Wall Street del ’29, ed i riflessi nefasti del nazismo emergente. Accuratezza formale, sobrietà della sceneggiatura e dei dialoghi, ottima ed accattivante fotografia, qualità della recitazione, contrassegnano il dignitoso sceneggiato. Spiccano tra gli interpreti l’anziano Jan Vlasák e Ján Koleník. 

 Quando la famiglia Valenta si trasferisce in un nuovo quartiere di Praga, in una sontuosa residenza alto-borghese alla fine della Grande Guerra, il ritorno dal fronte del figlio ‘legionario’ innesca una serie di eventi e contrasti con conseguenze fatali. Questo Period Drama conduce lo spettatore ad un’epoca di profondi cambi sociali e morale ambigua. La famiglia Valenta è, tra l’altro,  

proprietaria di una impresa di trasporti/piccola fabbrica di automobili che affronta tempi incerti nel quadro di conflitti tra i fratelli Jaroslav, Vladimir, Freddy. Conflitti che convivono, bene o male, con un forte senso di appartenenza familiare. Jaroslav, il primogenito, è pragmatico, machiavellico, spregiudicato. Vladimir, già ufficiale della Legione, non condivide le grandi ambizioni e la filosofia aziendale del fratello, è onesto, coraggioso. Amano entrambi la stessa donna, Clara. Freddy è un bon vivant, amante di feste, donne, gioco, senza sforzarsi molto. Il padre Alois è di origini contadine, un uomo vedovo, onesto e rispettato da tutti, che incarna i valori dell’Impero asburgico. Una personalità retta, gran lavoratore, che si sacrifica sempre per la famiglia. Egli ammira Masaryk (meno Beneš, si evince) e sotto-sotto, come buon ‘uomo d’ordine’ rimpiange la vecchia Monarchia. Gli avvenimenti si succedono, attraversati dalle vicende della grande storia; il ritmo narrativo di 

První Republika (forse disponibile in Italia in streaming) è sempre sostenuto. 

La visione dello sceneggiato ha suscitato in me una sensazione gradevole, curiosità, il desiderio di approfondire alcuni temi. A partire dalla lingua ceca, non conosciuta ed assai difficile. 

Il nazionalismo linguistico, che irrompe in varie parti d’Europa nella seconda metà del XIX 

secolo, fu un criterio dapprima intellettuale e romantico, successivamente ideologico. Esso tendeva alla secessione politica; la rivendicazione di uno Stato independente sembrava esigere una lingua propria. Il nazionalismo linguistico fu opera di coloro che scrivevano e leggevano una lingua, non 

di quelli che la parlavano. Le lingue nazionali, che dovevano riflettere i caratteri fondamentali della 

rispettiva Nazione, erano spesso una creazione artificiale, a tavolino: dovettero essere compilate e standardizzate per il loro uso moderno a partire dal rompicapo di testi ecclesiastici e dei cento dialetti locali che costituivano le lingue parlate non scritte. Gli idiomi scritti delle grandi Nazioni-Stati erano passati da quella fase di “normalizzazione” molto prima: il tedesco con la Bibbia di Lutero, il russo all’epoca di Pietro il Grande, il francese e l’inglese nel secolo XVII, il castigliano e l’italiano/toscano prima e pur mancando l’Italia di una unità nazionale, se non quella rappresentata dall’essere capitale della cristianità cattolica. La maggioranza delle lingue minoritarie fissarono il loro vocabolario e l’uso grammaticamente corretto nel secolo XIX. Nel caso del catalano, basco, gaelico, ebreo, lingue baltiche ecc. verso fine secolo.  

Nel caso del ceco, le più vetuste espressioni letterarie di rilievo si situano a metà del XIX secolo. Dopo la guerra austro-prussiana dei Sette Anni e le prime riforme del governo di Maria Teresa d’Austria, si intensificarono gli studi filologici, risvegliando nel popolo ceco la coscienza delle proprie tradizioni. L’abolizione della servitù della gleba nel 1781 causò la migrazione di numerosi abitanti delle campagne verso le città e ciò stimolò le idee di un rinascimento della lingua ceca. Per la verità più che rinascimento fu una codificazione in gran parte ex-novo (simile, per certi versi, a quella dei gesuiti del Paraguay con il guaraní), partendo dai dialetti in uso e libricini di preghiere. Massimo esponente è Josef Dobrovský, gesuita, considerato il padre della slavistica: nel 1809 egli redasse un’opera sulla letteratura ceca ed è autore di una grammatica giudicata fondamentale. Nel 1822 raccolse gli studi sulle lingue paleoslave in Institutiones linguae slavicae dialecti veteris. Nel 1820 egli era stato nominato membro dell’Accademia Russa delle Scienze di San Pietroburgo. Joseph Jungmann, dal canto suo, nel 1830 pubblicò il Dizionario della lingua ceca; tra il 1834 e il 1839 si dedicò alla stesura del Dizionario ceco – tedesco, includendo neologismi e termini dialettali cechi, slovacchi, russi e polacchi. Gli uomini si scienza sommarono il loro contributo in materia.  

Il “ceco standard”, lingua ufficiale, viene oggi usato raramente. Accanto ad esso, esiste una forma della lingua parlata più o meno comune a tutto il Paese. Questa forma parlata viene più o meno influenzata da vari dialetti locali. Più largamente adoperato è il “ceco comune”, specialmente in Boemia. Ha alcune differenze rispetto al ceco “standard”, specialmente nella pronuncia. Un po’ quel che succede in Svizzera tra il “tedesco standard” e lo Schwitzerdütsch, sempre più usato come lingua parlata, anche dalla televisione ufficiale.

Tomáš Masaryk (1850 – 1937) sociologo, filosofo e politico, fu deputato al Parlamento di Vienna per il Partito Popolare, con il concorso dei voti socialdemocratici. Allo scoppio della guerra scelse l’esilio in l’Italia. Quindi partì alla volta di Ginevra, Parigi e Londra, dove, come convinto sostenitore del cecoslovacchismo, continuò la sua attività per la creazione di uno Stato cecoslovacco. Edvard Beneš (1884 -1948) fu suo stretto collaboratore e poi continuatore della sua opera per l’indipendenza cecoslovacca; assertore fermo del ‘cecoslovacchismo’, che postulava l’esistenza di una comune nazionalità cecoslovacca. Allo scoppio della prima guerra mondiale B. svolse opera di agitazione fra i giovani perché disertassero dall’esercito asburgico. Organizzò il gruppo ribelle ceco Maffie (dall’italiano mafia), assieme a Tomáš Masaryk e Milan Rastislav Štefánik (slovacco) in Svizzera. Nel 1916 Beneš lavorò per la formazione della Unità Nazionale Cecoslovacca, della quale fu segretario generale. Con Stefánik B. organizzó le brigate dell’Esercito Cecoslovacco, origine della Legione d’Indipendenza in Francia, Russia ed Italia, che partecipò a vari combattimenti della Prima Guerra Mondiale. M. nel 1917 si recò in Russia per chiedere il sostegno della Legione cecoslovacca, che avrebbe dovuto essere impiegata sul fronte occidentale, ma poi di fatto divenne il primo nucleo delle forze controrivoluzionarie contro i bolscevichi. Da Vladivostok, via Tokyo, M. raggiunse gli Stati Uniti, dove entrò in contatto con il presidente Woodrow Wilson e gli prospettò le ragioni della sua causa. Il 30 maggio 1918 M. firmò a Pittsburgh l’accordo che sanciva la nascita di uno Stato comune dei cechi e degli slovacchi con parità di diritti. In America, ottenne il riconoscimento del governo provvisorio cecoslovacco e preparò la Dichiarazione di Washington come dichiarazione di indipendenza dello Stato cecoslovacco. B. al prodursi tale Dichiarazione, il 28 agosto 1918, fu nominato Ministro degli Esteri del governo provvisorio di Karel Kramář. Dopo la caduta dell’Impero Austro-ungarico, l’Assemblea Nazionale provvisoria, il 14 novembre 1918, elesse Masaryk primo Presidente della Repubblica Cecoslovacca. Venne successivamente confermato nel 1920, nel 1927 e nel 1934. Si dimise nel 1935 per ragioni di salute e gli succedette il suo migliore allievo e collaboratore Edvard Beneš, anch’egli massone.

Col Trattato di Pace di Saint-Germain (1919) l’intera Boemia e la Moravia vennero assegnate allo Stato cecoslovacco: le potenze vincitrici preferirono, quindi, salvaguardare l’unità storica e amministrativa della regione (i cui confini erano immutati da secoli) anziché procedere ad una divisione territoriale secondo il principio delle nazionalità, tanto caro a Wilson. Il concetto della nazione cecoslovacca era, ciò non di meno, alquanto fittizio, ma necessario all’epoca per giustificare l’istituzione della Cecoslovacchia al mondo. Il nuovo governo fu dapprima caratterizzato dalla stabilità, i cui fautori furono soprattutto i partiti politici (socialdemocratici, socialnazionalisti, popolari poi progressisti, che emersero come centri del potere). Precedentemente, nella industrializzata Boemia, lacerata tra cechi e tedeschi, entrambi attratti dai sindacati operai, erano sorti movimenti “nazionalsocialisti” (i cechi “socialisti nazionali” giunsero successivamente ad essere il partito più votato nella Prima repubblica Cecoslovacca).

Tomáš Masaryk ed Edvard Beneš svilupparono una politica di accentuata amicizia con la Francia ed il Regno Unito, tese a costituire un blocco antiaustriaco ed antitedesco, la Piccola Intesa, formato da Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania, devota allo spirito ginevrino della Società delle Nazioni. Per quanto riguarda le minoranze etniche presenti nel nuovo stato cecoslovacco, Masaryk e poi soprattutto Beneš non rispettarono le clausole dei Trattati di Pace di Parigi e condussero, secondo vari storici, una politica alquanto suicida di assimilazione forzata di ungheresi e tedeschi. La politica di Praga – assieme alla crisi della Grande Depressione, alla crescente propaganda del nazismo diffusa nella regione industriale di prevalente lingua tedesca – irrigidì il nazionalismo ceco; essa portò poi ad un sempre maggiore disagio nella popolazione non ceca. La Repubblica pareva ogni giorno di più il sogno generoso di intellettuali che non avevano fatto pienamente i conti con la realtà e le forze in campo. Anche così si spiega la passività del pur notevole esercito nel 1938 di fronte alla minaccia germanica d’invasione.

La prima Repubblica andò in crisi nel 1935, a causa della depressione economica più che non dei separatismi, comunque. La politica britannica di appeasement verso la Germania hitleriana, convenzionalmente iniziata nel 1935 con l’accordo anglo-tedesco, che legittimava il riarmo navale di Berlino, seguito dalla rimilitarizzazione della Renania nel ’36, ebbe il proprio culmine tra il marzo ed il settembre 1938, secondo la maggioranza degli storici. Per altri, il premier britannico Chamberlain, alla Conferenza di Monaco (29-30.IX.1938) cedette, appoggiato dal francese Daladier, solo perchè la Gran Bretagna nessitava tempo per il riarmo in vista di un conflitto con il Reich, considerato ormai inevitabile. Nel settembre 1938 l’abbandono da parte di Francia e Inghilterra consentì a Hitler di annettere al Terzo Reich la fascia di frontiera della Boemia e della Moravia; contemporaneamente la Polonia annetteva il distretto di Těšin e l’Ungheria la fascia meridionale della Slovacchia e della Rutenia Subcarpatica (annessa totalmente nel 1939). 

Nel novembre 1938, Emil Hácha successe a Beneš e fu eletto Presidente della Seconda Repubblica, rinominata Ceco-Slovacchia e consistente di tre parti: Boemia e Moravia, Slovacchia e Ucraina carpatica. A causa della mancanza di frontiere naturali e avendo perso tutto il costoso sistema di fortificazioni di confine, il nuovo Stato era militarmente indifendibile. Nel gennaio 1939 i negoziati tra Germania e Polonia giunsero a uno stallo. Hitler, che puntava alla guerra con la Polonia, necessitava eliminare prima la Cecoslovacchia. Egli pianificò un’invasione tedesca di Boemia e Moravia; nel frattempo, negoziò con il Partito Popolare Slovacco e con l’Ungheria per preparare lo smembramento della Repubblica, ancora prima dell’invasione. Il 13 marzo, invitò Jozef Tiso a Berlino, per offrirgli l’opportunità di proclamare lo Stato slovacco, separandosi dalla Cecoslovacchia. Così facendo, la Germania sarebbe divenuta protettrice della Slovacchia e non avrebbe permesso agli ungheresi di pretendere altri territori slovacchi. Il 15 marzo 1939 i Tedeschi occuparono la parte restante di Boemia e Moravia (diventato un Protettorato) e la Slovacchia fu proclamata indipendente: la prima Repubblica Slovacca, con monsignor Jozef Tiso come Presidente del Consiglio e Capo dello Stato (poi impiccato nel 1947, con studiata, lunga agonia), ma di fatto satellite della Germania. In seguito alla sconfitta tedesca nel secondo conflitto mondiale il Sudetenland verrà restituito alla Cecoslovacchia e la popolazione di lingua tedesca dei Sudeti espulsa in massa. In questo modo quasi tre milioni di profughi, definiti ‘traditori’, si riversarono nella martoriata Germania postbellica e furono rimpiazzati da cechi e slovacchi. 

La cifra sulla popolazione tedesca stimata in 3.477.000 persone in base al censimento del maggio 1939 – ed alle tessere annonarie per il razionamento in Boemia e Moravia – fu utilizzata dallo Statistisches Bundesamt quando stimò in 273.000 le perdite civili per l’espulsione dalla Cecoslovacchia.  Civili assassinati, spesso seviziati in modo orrendo. Da ricerche più recenti, una commissione congiunta tedesca e ceca di storici, nel 1995, ha valutato la stima demografica precedente eccessiva, basata su informazioni errate, ed ha concluso (?) che il numero effettivo delle vittime civili tedesche ammonterebbe ad una cifra minore, compresa tra 15.000 e 30.000 morti. Durante l’occupazione tedesca della Cecoslovacchia, soprattutto dopo le rappresaglie a seguito dell’attentato al Reichsprotektor Reinhard Heydrich (27.V.1942), i gruppi della resistenza ceca  chiesero che il “problema tedesco” fosse risolto con espulsioni. Queste richieste vennero adottate dal governo in esilio della Cecoslovacchia, a Londra, che cercò l’appoggio degli Alleati per la proposta. L’accordo finale per il trasferimento dei tedeschi non venne, tuttavia, raggiunto fino alla Conferenza di Potsdam, nell’agosto 1945.

Sul piano legale e ideologico l’espulsione fu preparata tramite i cinque decreti Beneš. Presentati da Edvard Beneš, tra il maggio e l’ottobre del 1945, concernettero la confisca, senza indennizzo, di tutti i beni dei tedeschi e degli ungheresi sul suolo cecoslovacco, nonché la revoca della cittadinanza. Tuttavia, circa 150.000 tedeschi poterono sfuggire alle espulsioni, in quanto lavoratori specializzati indispensabili, senza i quali molte industrie nazionalizzate non avrebbero potuto continuare l’attività. L’espulsione dei tedeschi comportò pure la fine della Chiesa evangelica tedesca in Boemia, Moravia e Slesia. Secondo dati del 2001, 39.106 cittadini cechi e 5.405 cittadini slovacchi si dichiaravano di etnia tedesca. A Monaco di Baviera ha sede un’organizzazione, la Sudetendeutsche Landsmannschaft, che rappresenta i rifugiati dei Sudeti. Molti reclami di discendenti di tedeschi, per secoli residenti nei Sudeti, di case, castelli, terre, proprietà sono tuttora all’esame di tribunali cechi e corti giurisdizionali dell’Unione europea.

(https://it.wikipedia.org/wiki/Espulsione_dei_tedeschi_dopo_la_seconda_guerra_mondiale#Cecoslovacchia; 

https://it.wikipedia.org/wiki/Espulsione_dei_tedeschi_dall%27Europa_orientale;

L’interesse di Beneš nel mantenere relazioni amichevoli con Stalin e l’URSS (intesa del 1943) era motivata anche dal suo desiderio di evitare l’incoraggiamento sovietico ad un successivo colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia. Beneš fece ai comunisti notevoli concessioni, tra cui la nazionalizzazione dell’industria pesante e la creazione di comitati popolari locali, al termine del conflitto. Fin dal marzo 1945, con la Wehrmacht ancora salda in tutto il territorio del Protettorato, Beneš diede posizioni di rilievo nel governo a comunisti cecoslovacchi esiliati a Mosca. Del tutto invano, come ben noto. Nel 1946 gli Alleati vietarono agli esuli dall’est di dare vita ad associazioni e partiti politici per far valere le proprie rivendicazioni. 

Forse non ci sono molti punti di contatto, in fondo, tra le vicende dei tedeschi dei Sudeti ed i russi di Crimea e del Donbass, all’onore delle cronache di questi mesi… Almeno, si può sperare in un diverso e migliore finale per questi ultimi.

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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