StorieDi#Calcio. Benzema “Pallone d’oro del popolo”

"Il pallone è una istanza sociale, non solo un passatempo ma soprattutto come dice Armando Nogueira «un patrimonio sentimentale del popolo», che unisce e rende sopportabile quello che per molti è insopportabile: il quotidiano. A volte un gol salva, e ti permette di arrivare a fine mese, come dice il postino di Ken Loach a Éric Cantona"

Karim Benzema

Ha dovuto dribblare la cattive amicizie dell’infanzia, diversi processi, l’esclusione dalla nazionale francese, il tempo che passava e l’ombra di Cristiano Ronaldo, ma poi, a trentaquattro anni, Karim Benzema, ha vinto il Pallone d’oro, e s’ è anche ricordato che quel pallone è d’oro perché c’è la gente intorno, e la gente intorno è perlopiù povera, e per questo ha detto che il suo era «il Pallone d’oro del popolo».

C’è arrivato passando per l’infanzia e i sacrifici, la famiglia e le squadre che gli hanno dato una maglia, un campo e un pallone da mettere in porta, e le sue parole serviranno di più del film, Ouistreham, di Emmanuel Carrère sulla precarietà del lavoro francese raccontato da una scrittrice in incognita. Benzema mentre diceva «Pallone d’oro del popolo» sembrava stesse contando tutti quelli che erano diventati la sua provvisoria e traballante famiglia per qualche stagione, unendosi a quella biologica.

Forse a istinto, e con un pensiero da corso di fiume, Benzema ha ribadito un concetto che in molti sembrano dimenticare, soprattutto il suo presidente al Real Madrid, Florentino Pérez, che il calcio è una istanza sociale, non solo un passatempo ma soprattutto come dice Armando Nogueira «un patrimonio sentimentale del popolo», che unisce e rende sopportabile quello che per molti è insopportabile: il quotidiano. A volte un gol salva, e ti permette di arrivare a fine mese, come dice il postino di Ken Loach a Éric Cantona.

Se anche la frase di Benzema può suonare a molti populista, per moltissimi altri, che siano ragazzini algerini o camerunensi che stanno in periferia a Lione come Karim e rischiavano pure di perdersi o vecchi tifosi dell’Olympique Lione, diventa un salvagente post-ideologico. E se Benzema recita da rapper alla cerimonia sembrava evocare Tupac ma anche un gioielliere del Cairo esibendo costosi capi d’abbigliamento e auto di lusso, sembra conservare attraverso un sottile filo di lana il legame con quello che l’ha generato: la povertà.

Allo stesso tempo divide video e canzoni con la scena rap francese Rohff, Big Ben, Booba, 2Scratch, Lacrim sposandone non solo l’estetica ma anche l’essere sul confine tra un corpo avvolto dalle griffe e i ricordi e l’anima inchiodati alla periferia. Non è solo il più forte calciatore dell’anno, è anche un ragazzo che ha tenuto duro, sopportando la subalternità, le ingiustizie spesso autocausate , e il non essere visto, perché è innegabile che sono anni che è un protagonista da Victor Hugo del calcio che conta: regista offensivo e punta prolifica.

Appena entra in area tira, non aspetta nessuno, portandosi dietro quell’essere fuoriposto, che ha trasformato in forza. Ha sempre fretta di segnare per ribadire che esiste. Appena varca la linea dell’area avversaria tira, e spesso segna. È tutto lì. È rimasto un calciatore Selvaggio, nell’era dei calciatori Assoluti, sembra un vecchio pugile che arriva al titolo dopo mille avventure, ma ci arriva senza dimenticare nessuno, portandosi gli acciacchi e gli errori, a differenza di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo che in questi anni sono diventati collezionisti di Palloni d’oro, fino a farne una ossessione, perdendo l’infanzia.

Benzema, pur sognandolo dai sedici anni, ha saputo aspettare, e la sua storia sembra dire rockyanamente agli altri Selvaggi, anomali, laterali, periferici: potete farcela. E subito il pensiero è andato a chi sta spostando la geografia del calcio europeo, Khvicha Kvaratskhelia, che dribbla e ride, segna e si diverte, come faceva e fa Karim Benzema. Chissà. (da Il Mattino)

@barbadilloit

Marco Ciriello

Marco Ciriello su Barbadillo.it

Exit mobile version