Quanto pesano nelle urne i pensierini dei Ferragnez contro la Meloni?

Giuseppe Del Ninno: "Qui ricordiamo che negli Stati Uniti, la furibonda, analoga campagna anti-Trump del 2016 ad opera dei vari Springsteen e De Niro si dimostrò inefficace"

Ferragni contro Meloni

In questi giorni di una campagna elettorale povera di contenuti quanto mai, fra gli argomenti d’attualità c’è la tempesta mediatica che, specie sui social, hanno scatenato su Giorgia Meloni star e starlette dello showbiz italico. In proposito, è stata rispolverata – per confermarla o per negarla, a seconda degli schieramenti – l’annosa questione dell’egemonia culturale. Qui semmai sarebbe da evidenziare un altro aspetto del declino della nostra società, dove gli attacchi di una volta venivano portati da saggisti e scrittori, e non da “influencer” e cantanti, ma vale la pena di fare un paio di sottolineature sull’argomento.

In primo luogo, specie in Italia, da sempre gli artisti, dagli infimi ai sommi, hanno visto dipendere le loro fortune, se non la stessa sopravvivenza, dalla generosità dei mecenati, dapprima sovrani, principi e papi, poi leader politici e perfino cacicchi locali. Non è un caso se durante il fascismo attori e uomini di cultura, scienziati e musicisti si dichiaravano fedeli al regime, salvo cambiar casacca alla caduta del medesimo. Ho sentito dire da una bella e brava conduttrice di un talk show targato “Mediaset” che il cinema è sempre stato di sinistra. Beata ignoranza! Basti pensare al solo Festival di Venezia, fondato nel 1937 e la cui nuova edizione è in corso in questi giorni, per smentire quell’infelice battuta.

Dunque, attività creative che dipendono dalle pubbliche mangiatoie, gestite dalla sinistra fin dalla fine del conflitto mondiale. Del resto, come potrebbe essere diversamente, se i costi d’esercizio delle orchestre sinfoniche, dei teatri d’opera o di prosa e della cinematografia di qualità superano di gran lunga le entrate da botteghino? E l’accesso di artisti, intellettuali e giornalisti alle redazioni dei “giornaloni” e alle televisioni – anche solo per la promozione di un libro – non è forse riservato quasi soltanto ai “clientes” di questo o quel politico, rigorosamente di sinistra o almeno “non di destra”? Certo, ci sono le eccezioni, ma, senza voler riproporre la metafora della foglia di fico, la regola generale è quella del gradimento ai potenti. E i potenti, da decenni, stanno sotto le insegne di quello che oggi si chiama Partito Democratico.

Quanto varrà l’influenza dei Ferragnez e delle Giorgia (la cantante!) nelle urne, lo si vedrà il giorno dopo la competizione elettorale. Qui ricordiamo che negli Stati Uniti, la furibonda, analoga campagna anti-Trump del 2016 ad opera dei vari Springsteen e De Niro si dimostrò inefficace, pur essendo il potere mediatico dello schowbiz d’oltreoceano nemmeno lontanamente paragonabile a quello nostrano. Vedremo. Dobbiamo solo sapere che non basterà l’eventuale successo elettorale a far cambiare bandiera ai nostri artisti, ma sarà necessario un lavorio metapolitico di decenni, come quello abilmente intessuto dal PCI e dai suoi aventi causa in ogni campo, a partire dalla scuola e dalle università. Vorranno impegnarvisi i politici della nostra parte? Ne saranno capaci? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Giuseppe Del Ninno

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