Alcune considerazioni in merito al percorso messianico e profetico di Padre António Vieira\1

Il sebastianismo tra Brasile e Portogallo e il ruolo di Bandarra il "Nostradamus" portoghese

Risulta difficile stabilire quando esattamente Padre António Vieira (1608-1691) iniziò a interessarsi alla materia profetica ed escatologica (1).

Riguardo al suo sebastianismo (2), tuttavia, è possibile rilevare alcune delle sue posizioni a partire dal 1634, allorquando predicò a Bahia, nella chiesa di Acupe, alla periferia di Salvador, il Sermão de S. Sebastião [cfr. VIEIRA, 1959: VI, 335-350].

Altrettanto difficile è stabilire quando e come la credenza sebastianista sia giunta e si sia propagata nel Brasile coloniale. È certo, però, che un ruolo importante lo ebbero sia molti religiosi che, facendo la spola fra il Portogallo e il Brasile, diedero a conoscere e fecero circolare le storie dei vari pseudo-sebastiani (3), sia di alcuni giudei convertiti fuggiti dal Portogallo, nel corso dell’epoca filippina, e che avrebbero portato con sé alcuni esemplari manoscritti delle Trovas di Bandarra (4).

A questo proposito, Pinharanda Gomes, nel suo Dicionário de Filosofia Portuguesa, scrive che le profezie di Bandarra

 

«sono il primo documento occidentale di trasferimento dell’esegesi di Daniele nel mondo presente (5), e che si presenta come una specie di filosofia della liberazione, motivo per cui Bandarra non merita l’epiteto di “pseudo-profeta”. Il profetismo trovadorico di Bandarra è giudaico-cristiano: giudaico perché risponde al clima di pura e semplice speranza messianica da parte dei giudei convertiti; cristiano perché s’ispira al profeta Daniele (6) e incorona Gesù Cristo quale sovrano supremo del nuovo mondo» [GOMES, 1987: 194-195].

 

Vieira potrebbe essere venuto a conoscenza delle Trovas di Bandarra quando ancora risiedeva a Bahia. Certo è che immediatamente dopo il suo ritorno a Lisbona, nel 1641, il padre gesuita fece espressamente riferimento al ciabattino di Trancoso come profeta della Restaurazione. Nel farlo mostrò non solo di conoscere già assai bene le sue strofe profetiche ma anche quelle idee di tipo messianico, di origine giudaica, che in seguito sarebbero state da lui rielaborate e adattate al canone cristiano sia nella sua famosa lettera inviata nell’aprile del 1659 al vescovo del Giappone, Padre André Fernandes – un vero e proprio trattato (conosciuto con il titolo Esperanças de Portugal, Quinto Império do Mundo) che gli valse, nel 1665-1667, un processo e una condanna per eresia (7), in quanto in esso profetizzava la resurrezione di Giovanni IV di Braganza, morto nel 1656 [cfr. VIEIRA, 1997 (Carta LXXXIII. Ao Padre André Fernandes. 1659 – Abril 29): I, 468-525] – sia nell’altrettanto famosa, ma purtroppo non conclusa, sua História do Futuro [cfr. IDEM, 1951-1954: VIII e IX].

Nel già citato sermone del 1634, tenuto il 20 gennaio – a un tempo, giorno della festa di san Sebastiano e giorno di nascita del re Sebastiano –, Padre António Vieira struttura in maniera tale la sua argomentazione che è difficile non ritenerlo un sermone sebastianista [HERMANN, 1998: 227-228].

Per meglio muoversi in tale materia, ripercorriamo brevemente la storia del più famoso fra i santi soldati martiri, presentatoci dall’iconografia cristiana come un bel giovane, legato al palo del supplizio e trafitto da frecce. La Passio sancti Sebastiani, scritta probabilmente nel corso del V secolo, riferisce che Sebastiano, nato a Milano da famiglia cristiana e trasferitosi a Roma giovanissimo nel 270 (8), divenne tribuno delle guardie pretoriane per volere degli imperatori Diocleziano e Massimiano, che molto lo stimavano mai sospettando che fosse cristiano. Di nascosto, si mise a fare proseliti fra le truppe e i cortigiani. Venne scoperto e condannato a morte. Narra la Passio che «fu legato a un palo e colpito da tante frecce da sembrare un riccio». Creduto morto, fu soccorso da una matrona romana, di nome Irene, che lo curò e guarì. Rimessosi in forze, invece di fuggire da Roma, si presentò impavido, proclamando la sua fede, di fronte a Diocleziano e Massimiano. Immediatamente arrestato, fu flagellato a morte nell’ippodromo del Palatino. Il suo corpo venne gettato nella Cloaca Massima, per poi essere recuperato da una pia cristiana, di nome Lucina, cui Sebastiano era apparso in sogno, chiedendole di essere sepolto nel cimitero ad Catacumbas della via Appia, quelle stesse catacombe che oggi portano il nome del Santo [cfr. CATTABIANI, 1993: 854-856].

Ritornando al sermone di Padre António Vieira, questi inizia con il fare una differenziazione fra beatitudine celeste e beatitudine terrena, il tutto utilizzando la dicotomia svelato / velato, al fine di introdurre la storia e la gloria del celebre Santo martire. Seguendo tale linea, il padre gesuita afferma che, mentre la beatitudine celeste è svelata (o rivelata), quella terrena è velata. Cosicché, tutti i beati che vivono sulla terra nascondono la propria condizione di beatitudine, condizione che sarà rivelata solo quando saliranno in Cielo. Partendo da questa premessa, Vieira spiega che il nascondimento, la condizione di velato di san Sebastiano si diede in quattro modi:

 

«velato nella vita e velato nella morte; velato nella fede e velato nelle opere: e a queste due combinazioni di velamento ridurremo tutta la prova del nostro argomento. San Sebastiano è stato velato nella vita, e velato nella morte: perché? Perché ha velato la realtà della vita sotto l’opinione della morte; e ha velato l’apparenza della morte sotto la realtà della vita. È stato san Sebastiano anche velato nella fede, e velato nelle opere: perché? Perché ha velato la verità della fede con la politica delle opere; e ha velato la politica delle opere con la dissimulazione della fede» [VIEIRA, 1959: VI, 337].

 

Dato che ha avuto il tronco legato e crivellato di frecce – prosegue Vieira –

 

«chi non crederà che Sebastiano sia morto? Lo credono i barbari, che già si ritirano; lo crede il tiranno, che è soddisfatto; lo piangono gli amici; lo compiange la Chiesa; lo piange e sospira la Cristianità; ma cosa importa che Sebastiano sia morto secondo le opinioni espresse, se nella realtà era vivo? Questo è essere Sebastiano il velato; perché ha velato la realtà della vita sotto l’opinione della morte: “opinione mortuum, vivum repertum”» [IBID.: 338]

 

Risulta evidente come l’argomentazione di Padre António Vieira si fondi soprattutto sulla questione che molti fatti vengono dati per veri pur in presenza di indizi che li negano. Questo quando la prudenza vorrebbe che mai una persona si accontentasse della prima versione dei fatti. Il gesuita dimostra tale suo convincimento riportando esempi specifici tratti dalla Sacre Scritture. È il caso dell’episodio del profeta Giona.

Com’è noto, racconta il libro omonimo che Giona, inviato dal Signore alla città di Ninive, in Assiria, alfine di annunciare la sua collera per la malvagità dei suoi abitanti, finì per disubbidirgli e imbarcarsi a Giaffa su una nave diretta a Tarsis. Il Signore, però, scatenò sul mare una tempesta di tal forza che la nave stava per sfasciarsi. Al che Giona disse ai marinai che la colpa di tutto era sua e che per placare quella furia dovevano gettarlo nel mare in burrasca. Così fecero e il mare all’improvviso si calmò. Ingoiato da una balena, tutti ritennero che Giona fosse morto; quando poi, in realtà – riferisce la Bibbia – fu il Signore che dispose che il profeta fosse inghiottito da «un grosso pesce», nel cui ventre restò «tre giorni e tre notti», per poi essere rigettato sulla spiaggia, da dove si sarebbe recato a Ninive per portare a termine la missione che gli era stata ordinata [cfr. Giona, 1-3].

Quando i marinai – scrive Vieira su questo episodio biblico –

 

«videro Giona inghiottito dalla balena e la balena risucchiata dal mare senza più apparire, tutti diedero Giona per morto; ma cosa importava che Giona fosse morto nel concetto degli uomini, se era vivo (sebbene velato) nel ventre della balena? Cos’era quella grande balena in mezzo al mare, se non un’isola errante, sulla quale nessuno poteva approdare, ché già appariva e subito dopo scompariva? Ma se Giona è velato in quest’isola velata, per quanto molti lo considerino morto, con il passare dei giorni e delle notti della profezia di Cristo, egli sbarcherà vivo, prodigiosamente, sulle rive di Ninive» [VIEIRA, 1959: VI, 342].

 

Una volta esauriti gli esempi volti a dimostrare come l’apparenza non sempre corrisponda alla verità dei fatti, Vieira torna alla leggenda di san Sebastiano, affermando che la morte di questi,

 

«così continua e ripetuta, […] così crudele, […] così tormentosa, […] così nota, e così realmente morta, [altro non è che] apparenza della morte; e non solo apparenza della morte, ma apparenza della morte sotto la realtà della vita. Ciò è morte all’apparenza, e ciò è vita nella realtà? Sì. Questa è l’eccellenza della morte di chi muore in Dio, e per volontà di Dio, e per Dio. [Questo perché, diversamente dalle altre morti, che sono] chiaramente ciò che sembrano, sembrano morti, e sono morti, la morte di colui che muore per volontà di Dio, e per Dio, non è quel che sembra, è un’apparenza di morte sotto la realtà della vita» [IBID.:343].

 

Tale continua alternanza fra apparenza e realtà è riproposta immediatamente a seguire da Padre António Vieira allorquando spiega il perché san Sebastiano sia stato velato anche nella fede e nelle opere:

 

«Oh che grande cristiano da dentro, oh che grande politico da fuori! Sebastiano visto da fuori, e compreso da dentro: una cosa era quel che era, e un’altra era quel che sembrava: sembrava un cortigiano del palazzo della Terra, ed era un pellegrino della corte del Cielo; sembrava un capitano che combatteva sotto le aquile romane, ed era un soldato che serviva sotto lo stendardo della croce; sembrava un grande favorito di Diocleziano, ed era il più grande confidente di Cristo» [IBID.: 346]

 

Da notare in questo sermone la presenza di una cercata e voluta – da parte del padre gesuita e nelle parole di Jacqueline Hermann – «ambivalenza del senso metaforico». La stretta somiglianza fra la storia del santo martire del cristianesimo e quella di Sebastiano, il re crociato,

 

«al di là, ovviamente, del nome, utilizzato in più passaggi senza distinguere i personaggi, può essere interpretato come un modo che, pur avendo a sua difesa l’alibi del contrappunto fra apparenza ed essenza, forma e contenuto, poteva anche significare esattamente quel che era […]» [HERMANN, 1998: 230]:

 

una sovrapposizione delle due storie. Abbiamo qui un ulteriore conferma di come questo sermone, predicato – l’ho già precedentemente ricordato – a Bahia nel 1634, possa essere ritenuto a tutti gli effetti uno scritto sebastianista.

Nel frattempo, in Portogallo, erano iniziate – e già a partire dal 1628 – le ribellioni contro l’amministrazione spagnola, la quale aveva imposto, a un Paese che sempre più sarebbe stato ritenuto una provincia del regno castigliano, un forte aumento delle tasse e altre misure molto impopolari, come quella dell’imposizione del servizio militare. Il culmine si ebbe nel 1637, ad Évora, con la cosiddetta rivolta «do Manuelinho». I moti si sarebbero d’immediato allargati a macchia d’olio per tutto il Portogallo, con un’ampia partecipazione popolare, appoggiata, pur se in maniera discreta, da una parte della nobiltà e, direttamente, dal basso clero. Quel che aggravò ulteriormente la situazione fu la circostanza che gli Olandesi avevano sottratto al Portogallo filippino la zona più ricca del Brasile, ossia, la provincia di Pernambuco, oltre ad altre aree del Nordest brasiliano, e minacciavano molto da vicino i domini in Oriente. Nelle parole di José van den Besselaar:

 

«Solo una circostanza era favorevole ai Portoghesi: la monarchia spagnola era molto indebolita e in guerra con quasi tutte le potenze europee, subendo sconfitte dopo sconfitte, sia in terra che in mare» [BESSELAAR, 1987: 89].

 

Quel mare di cui aveva perso il predominio a favore dell’Inghilterra dopo la débâcle subita dalla sua Invincibile Armata nel 1588.

Fu proprio nel corso del regno di Filippo IV (III di Portogallo) che le speranze di un riscatto nazionale iniziarono a concretizzarsi nella figura del duca Giovanni di Braganza, imparentato con la dinastia degli Avis, in quanto pronipote di Emanuele I. Per molti portoghesi, fra cui anche i padri gesuiti – che ebbero un ruolo importantissimo oltre che nello stimolare i rivoltosi anche nel promuovere la credenza messianica nel ritorno del re Sebastiano –, il momento che il Portogallo stava vivendo doveva essere visto come un segnale prodigioso annunciante la reincarnazione o trasmigrazione dell’anima del sovrano portoghese, scomparso in Al-Ksar el Kebir, in un altro sovrano e, di conseguenza, la restaurazione del regno portoghese.

Il tutto si risolse – com’è noto – appunto con la Restaurazione del 1° dicembre 1640, in cui Giovanni di Braganza venne acclamato re del Portogallo, con il nome di Giovanni IV.

Già prima che si desse questo evento, ossia, il ripristino di una linea dinastica prettamente portoghese, si era iniziato a interpretare le strofe di Bandarra in senso “bragantino”. Erano soprattutto due strofe delle Trovas – la 87.ma e la 88.ma – che suggerivano tale interpretazione [cfr. BANDARRA, 20006: questa edizione segue il testo di quella di Oporto (1866: Imprensa Popular de J. L. de Sousa), che, a sua volta, si rifaceva a quella di Nantes (1644)]. Cosicché Gonçalo Anes, questa specie di Nostradamus portoghese, detto Bandarra, veniva di diritto incluso nella lista di quei profeti che avevano preannunciato la Restaurazione e le future glorie del Portogallo. Il Paese restaurato viveva con grandissimo trasporto tale “bandarrismo giovannista”, del quale Padre António Vieira si fece il massimo portavoce.

L’entusiasmo per il ciabattino-profeta di Trancoso – sempre nelle parole di José van den Besselaar –

 

«era generale e si sarebbe prolungato per oltre un decennio. Il nome di Bandarra risuonava in sermoni e poesie; le sue profezie erano citate – in Portoghese, in Castigliano, nonché in Latino – in opere di propaganda, in trattati giuridici e perfino in petizioni ufficiali dirette alla Santa Sede. Non c’era inquisitore che osasse opporsi alla venerazione quasi religiosa del calzolaio di Trancoso. Abbiamo motivo di ritenere che anche gli Inquisitori, nei primi anni della Restaurazione, condividessero l’entusiasmo del grande pubblico» [IBID.: 95-96].

 

Una venerazione di portata tale che vennero fatte lapidi commemorative in suo nome nonché suoi ritratti poi esposti in luoghi di culto (9).

Nonostante Bandarra ricevesse tutti questi tributi postumi, ancora non esisteva tuttavia un’edizione completa delle sue Trovas. La loro prima edizione, pubblicata a Parigi, nel 1603, da João de Castro, conteneva solo una parte delle profezie, e per giunta interpretate in senso sebastianista, la qual cosa faceva sì che il libro fosse ritenuto, quanto meno dai “giovannisti”, oramai obsoleto (10). Si rendeva necessario presentare al pubblico un’edizione completa delle strofe, in cui fosse messa in risalto l’attualità di quei versi profetici. Tale nuova edizione sarebbe stata realizzata nel 1644, a Nantes, sotto il patrocinio del conte della Vidigueira e marchese di Nizza, l’allora ambasciatore di Giovanni IV di Braganza a Parigi [cfr. BANDARRA, 1644].

Tutto questo determinò uno scontro fra due opposte fazioni. Da una parte i fautori “bragantini” o “giovannisti” e dall’altra i sebastianisti ortodossi, i quali ultimi, anche se le recenti vicende sembravano dare ragione ai primi, non erano disposti a scambiare il loro Velato, Sebastiano, con una figura in qualche modo prosaica, come era da loro considerata quella di Giovanni IV.

 

Note

(1) Quanto alla biografia di Padre António Vieira, si vedano: AZEVEDO, 19923; CIDADE, 1985.

(2) Ossia, il credere nel ritorno del re Sebastiano dopo la disfatta del 1578 ad Al-ksar el Kebir, in Marocco, e la perdita, nel 1580, dell’indipendenza del Portogallo a favore della Castiglia: una vera e propria credenza di tipo messianico, quindi, che con il tempo genererà un movimento e un pensiero che si situano nel quadro dell’ideário portoghese come una teoria della speranza nel risorgimento politico, prima ancora che sociale e culturale, della Nazione. Su tale materia, fra i vari studi si vedano: AZEVEDO, 1984; QUADROS, 1982-1983; BESSELAAR, 1987; BERCÉ, 1996; HERMANN, 1998.

(3) È il caso, ad esempio, di quella dell’italiano, originario della Calabria, Marco Tullio Catizzone o Carzone, il cosiddetto «Sebastiano di Venezia», secondo la definizione di Yves-Marie Bercé: «La storia del pretendente di Venezia è quello che più turba degli episodi sebastianisti. L’avvenimento in sé, e le discussioni che lo accompagnarono, appassionarono i contemporanei, e tutte le corti d’Europa fecero in modo di essere informate circa la vicenda […]. Non attrasse mai l’attenzione di un pubblico popolare e si rivolse esclusivamente a letterati. La sua vicenda diede spunto a un’abbondantissima letteratura. La sua storia appartiene interamente al sebastianismo colto» [BERCÉ, 1996: 37-59 (37)].

(4) Il celebre «ciabattino-profeta di Trancoso», Gonçalo Anes (o Annes) detto per l’appunto Bandarra, che per le sue profezie fu accusato di giudaismo e processato, nel 1541, dal tribunale inquisitorio portoghese. Per una riassuntiva storia su tale figura, cfr. COSTA, 1991. Quanto al processo cui fu sottoposto, i principali estratti (i quali forniscono diverse informazioni sulla stessa vita di Bandarra) sono riportati in AZEVEDO, 19923: 106-111. Sul problema del testo delle Trovas, indubbiamente intricato, non sempre chiaro, soprattutto per essere stato distorto posteriormente dalla tradizione sia orale che manoscritta, cfr. SAMPAIO BRUNO, 1904: 171-180.

(5) Qui il riferimento è chiaramente al passo biblico concernente il sogno di Nabucodonosor e interpretato da Daniele come l’avvento di un quinto e nuovo regno, che succederà ai quattro precedenti (essendo quello del re di Babilonia il primo) e che – nelle parole dello stesso Daniele – «non sarà mai distrutto […]: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre» [Daniele, 2, 44].

(6) Il cui Libro – lo ricordo – è ritenuto spurio dal canone ebraico.

(7) Condanna che più tardi gli sarebbe stata amnistiata, dopo la deposizione, nel novembre del 1667, di Alfonso VI da parte del fratello Pietro, il principe reggente e futuro Pietro II, e di cui Vieira era sostenitore.

(8) Alcune tarde leggende greche e latine narrano invece che nacque a Narbona da madre milanese e da padre francese, e che si convertì al cristianesimo solo una volta giunto a Roma [cfr. CATTABIANI, 1993: 854].

(9) J. Lúcio de Azevedo, nel ricordare che l’episodio venne riferito da Padre António Vieira alla presenza dei suoi inquisitori, scrive: «Il paese non poteva, solo per uno sforzo di volontà, canonizzarlo; ma il giorno della solenne acclamazione di Giovanni IV la sua immagine era su un altare della Cattedrale, esposta come si farebbe con quella di un santo. L’Arcivescovo acconsentì e nessuno protestò, nemmeno il Sant’Uffizio, che lo aveva condannato» [AZEVEDO, 19923: 66].

(10) Cfr. Paraphrase et Concordancia de Algũas Propheçias de Bandarra, çapateiro de Trancoso. Paris, 1603 (esiste un’edizione in facsimile: Edições Lopes da Silva. Porto 1942). Su João de Castro – non solo commentatore delle Trovas di Bandarra ma anche autore di trattati manoscritti, uno dei quali dedicato a Gioacchino da Fiore – si vedano gli estratti da una sua opera originale e manoscritta (alla quale posteriormente avrebbero anteposto il titolo di Tratado dos Portugueses de Veneza, ou Ternário, Senário e Novenário dos Portugueses que em Veneza solicitaram a liberdade de El-Rei D. Sebastião) pubblicati da AZEVEDO, 19923: 116-138.

 

(continua)

 

Bibliografia di riferimento

– AZEVEDO, J. Lúcio de, 1984 [nuova ed.ne]. A evolução do Sebastianismo. Editorial Presença, Lisboa.

– AZEVEDO, J. Lúcio de, 19923. História de António Vieira. Livraria Clássica Editora, Lisboa: 2 tt.

– BANDARRA, Gonçalo Annes, 1644. Trovas do Bandarra. Apuradas e impressas, por ordem de hum grande Senhor de Portugal. Offereçidas aos verdadeiros Portugueses, devotos do Encoberto. Em Nantes, por Guillaume de Monnier.

– BANDARRA, Gonçalo Annes (Sapateiro de Trancoso), 20006. «Profecias» do Bandarra. Apresentação de António Carlos Carvalho. Veja, Lisboa.

– BERCÉ, Yves-Marie, 1996. Sebastiano di Portogallo, il re perduto. In IDEM, Il re nascosto. Miti politici popolari nell’Europa moderna [titolo originale: Le roi caché. Sauveurs et imposteurs. Mythes politiques populaires dans l’Europe moderne, Paris 1990]. Giulio Einaudi editore, Torino: 5-68.

– BESSELAAR, José van den, 1987. O Sebastianismo – História sumária. ICALP, Lisboa.

– CATTABIANI, Alfredo, 1993. Santi d’Italia. Rizzoli, Milano: 853-858.

– CIDADE, Hernâni, 1985 [nuova ed.ne]. Padre António Vieira. Editorial Presença, Lisboa.

– COSTA, Fernando Jorge Santos, 1991, Bandarra, o sapateiro que foi além da chinela. In «História», Ano XIII, Nº 140 (Maio): 4-27.

– GOMES, Pinharanda, 1981. O Sionismo Ante-Iluminista. Menasseh Ben Israel. António Vieira. Dois Messianismos Concorrentes. In IDEM, História da Filosofia Portuguesa. 1. A Filosofia Hebraico-Portuguesa. Lello & Irmão – Editores, Porto: 303-320.

– GOMES, Pinharanda, 1987. Quinto Império. In IDEM, Dicionário de Filosofia Portuguesa. Publicações Dom Quixote, Lisboa: 193-197.

– HERMANN, Jacqueline, 1998. No reino do Desejado. A construção do sebastianismo em Portugal, séculos XVI e XVII. Companhia das Letras, São Paulo.

– KAPLAN, Yosef, MECHOULAN, Henry and POPKIN, Richard H. (Edited by), 1989. Menasseh ben Israel and his world. Brill, Leiden.

– PESSOA, Fernando, s. d. [1986]. Obra em Prosa de Fernando Pessoa. Portugal, Sebastianismo e Quinto Império. Prefácio. Introduções, notas e organização de António Quadros. Publicações Europa-América, Lisboa.

– QUADROS, António, 1982-1983. Poesia e Filosofia do Mito Sebastianista. Guimarães & C.a Editores, Lisboa: 2 voll.

– ROTH, Cecil, 1975. A life of Menasseh ben Israel, rabbi, printer, and diplomat. Arno Press, New York [ristampa dell’edizione pubblicata, nel 1934, dalla Jewish Publication Society of America, Philadelphia].

– SAMPAIO BRUNO, 1904. O Encoberto. Livraria Moreira, Porto.

– SARAIVA, António José, 1992. António Vieira, Menasseh Ben Israel e o Quinto Império. In IDEM, História e Utopia. Estudos sobre Vieira. Tradução de Maria de Santa Cruz. ICALP, Lisboa: 73-107.

– VIEIRA, António, 1951-1954. Obras Escolhidas. Com prefácios e notas de António Sérgio e Hernâni Cidade. Livraria Sá da Costa – Editora, Lisboa: 12 voll.

– VIEIRA, António, 1957. Defesa Perante o Tribunal do Santo Ofício. Introdução e notas do Prof. Hernâni Cidade. Liv. Progresso Editora, Baía: 2 tt.

– VIEIRA, António, 1959. Obras completas de Padre António Vieira. Sermões. Prefaciado[s] e revisto[s] pelo Rev. Padre Gonçalo Alves. Lello & Irmão – Editores, Porto: 15 tt.

– VIEIRA, António, 1997. Cartas. Coordenadas e anotadas por J. Lúcio de Azevedo. Imprensa Nacional – Casa da Moeda, Lisboa: 3 voll.

 

[La prima versione di questo articolo – qui rivisto, attualizzato e suddiviso in due parti – venne pubblicata in portoghese vent’anni fa nella «Revista Lusitana» (Lisbona). Nova Série, 19-21 (1999-2001): 125-140.

Tutte le traduzioni dal portoghese, sia dei testi di Padre António Vieira che dei riferimenti critici, sono a mia cura]

 

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