Il Tottenham, adesso, deve investire il denaro incassato (oltre 100 milioni di euro) e già ha fatto la spesa in Italia: un nome su tutti, l’ennesimo campionissimo in chiave futura della Roma che ha già fatto le valigie, l’argentino Erik Lamela. E già, perché mentre Spagna e Inghilterra – con la partecipazione straordinaria di Bayern Monaco in Germania e Psg e Monaco in Francia – continuano a far sfaceli sul mercato, da noi si va al risparmio. L’unico acquisto ‘pesante’ – in termini di cifre – l’ha fatto il Napoli con Higuain. Solo dopo, però, aver ceduto a cifre stratosferiche il buon Edison Cavani agli sceicchi della Senna califfi del Paris Saint Germain.
Persino un folle affetto da shopping pallonaro convulsivo come tale Massimo Moratti non ha speso (quasi) un centesimo. E anzi si è attardato in una tarantella mediatico-legale-avvocatizia tra l’Italia, gli Usa e l’Indonesia col bell’Erik Thohir per la cessione di quote dell’Inter. Ovviamente la questione è ancora aperta ma pare proprio che con il magnate asiatico finirà come è finita con i cinesi delle Ferrovie. Anche perché, finora, in Italia gli investitori stranieri hanno sempre fatto una figura meschina. Gli sceicchi arabi, i nababbi russi e i tycoon statunitensi finora non hanno esaltato le piazze e anzi, nelle loro versioni più clamorose e meno note al grande pubblico (Torino e Salerno ricorderanno un certo Joseph Cala, sedicente multimiliardario Usa titolare di alberghi persino sott’acqua, in realtà poco più che uno zio d’America senza solidità) prima hanno fatto sognare poi si sono rivelati per dei mezzi bluff. Ma la colpa non è certo loro né nostra. In Europa, si sa, riesci ad andare avanti se hai fiumi e fiumi di denaro (vedi i califfati arabi e le satrapie russe) o se lo Stato non ti massacra di tasse. E lo sapevate che, in Spagna, Real Madrid e Barcellona – che fatturano insieme più di un miliardo di euro – sono considerate, dato che son modelli di azionariato popolare, delle società senza scopo di lucro?