Dove va Fratelli d’Italia tra von Hayek e Benedetto XVI

Una analisi da destra di contenuti, criticità o punti controversi che sono emersi nella tre giorni milanese

Giorgia Meloni

Quale futuro per Fratelli d’Italia? Quello di un impossibile partito liberale di massa o quello di una forza politica “conservatrice” dei valori identitari e della “tradizione sociale” della Destra italiana?

Si sono conclusi i lavori della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia e, con l’occhio più nitido che la distanza di qualche settimana dall’evento consentirebbe , cerchiamo di trarne un primo bilancio anche con lo scopo di delineare le linee politiche direttrici lungo le quali Giorgia Meloni intenderebbe avviare una nuova stagione politica della Destra italiana.

Nulla da eccepire circa il taglio organizzativo eccellente della manifestazione, come pure per la consistente e rilevante partecipazione a quella che Filippo Facci ha descritto come una sorta di boccata di ossigeno nel panorama asfittico e oramai solo virtuale del dibattito politico italiano. Anche la nutrita schiera di ospiti “eccellenti” e di rappresentanti delle categorie più bistrattate dai governi recenti ha contribuito a veicolare l’immagine, e non solo l’immagine, di un partito che ascolta gli altri, intende confrontarsi con essi e possibilmente arricchire il proprio bagaglio di idee e di progetti.

 Tutte le critiche provenute dal mainstream mediatico italiano mai hanno provato ad approfondire un contenuto o una proposta, hanno cercato di sminuire la portata dell’evento con il “trito e ritrito” del “doppiopetto” che un partito ancora “compromesso” con l’eredità del Ventennio oppure con l’estremismo radicale di destra indosserebbe per darsi un volto di “perbenismo” e di presentabilità.

Proviamo allora noi, da Destra, entrando nei contenuti, ad analizzare quelli che ci sono apparsi come criticità o punti controversi che sono emersi nella tre giorni di Fratelli d’Italia. Ci è sembrato che nella cornice di questo “conservatorismo” con cui Giorgia Meloni vuol connotare il partito, si stia inserendo qualche tassello che vorrebbe declinarlo in senso liberale e vetero capitalista. Ci ha francamente sorpresi che Gennaro Sangiuliano (a proposito solidarietà al Direttore del TG2, divenuto bersaglio di una polemica strumentale e speciosa per il suo intervento alla kermesse di Milano!) nel delineare il pantheon del pensiero conservatore, vi abbia inserito Friederich Von Haiek e Ludwig Von Mises i “filosofi – padri” delle teorie ultraliberiste della Scuola di Chicago e di Milton Friedmann che ispirò Ronald Reagan e Margaret Thatcher. 

La stessa posizione è stata ripresa nel tavolo tematico di “Cultura e Libertà” dal docente universitario Scanzano che, nella sua ricostruzione del pensiero “conservatore”, ha visto nei due filosofi Von Haiek e Von Mises delle vere e proprie pietre miliari ed ha individuato nella categoria della “liberazione dallo Stato” la principale categoria del conservatorismo.

Ancora più esplicito è stato Marcello Pera, l’ex Presidente del Senato che, pur avendo proferito un discorso di tono e qualità alti e, per certi versi profondi, ha esplicitamente parlato di un pensiero “liberal-conservatore” da recuperare nella realtà politica italiana. 

Contraddittoriamente però questi relatori hanno posto come punto di riferimento anche il pensiero di Benedetto XVI e di San Giovanni Paolo II, dimenticando che i due papi scrissero encicliche sociali assolutamente non compatibili con il pensiero liberale classico, rivalutato da quelle che Sangiuliano o Scanzano hanno chiamato “pietre miliari” o “filosofi padri”. La Dottrina sociale della Chiesa ha modellato più l’‹‹economia sociale di mercato›› costruita nell’Europa del secondo dopoguerra che la rigorosa e dura azione thatcheriana o reaganiana. 

Del resto se volessimo dare al termine “conservatore” un’accezione letterale, dovremmo tendere più a conservare questa nozione di “economia sociale di mercato” che non disdegna l’intervento in senso sussidiario dello Stato che “l’anarco- liberismo” della scuola di Chicago. Non a caso in quella che viene comunemente, e forse erroneamente, ritenuta l’Enciclica “più liberista” di Papa Woytila, la Centesimus annus, i riferimenti teorici erano più Viktor Vanberg, Wilhelm Ropke, Adolf Lampe che Von Haiek o Von Mises. In Caritas in Veritate Benedetto XVI mise in stretta correlazione la carità, con il suo risvolto di solidarietà sociale, con la Verità, che la santifica e la nobilita contro ogni relativismo.

Se è vero, come ha detto Marcello Pera, che ‹‹compito del Conservatore è difendere la Tradizione e l’Identità […], non rifiutare l’innovazione se essa è in linea con la Tradizione e l’Identità che sono da intendere come un Depositum Sapientiae della Nazione›› cosa ha a che fare il liberalesimo manchesteriano con la “tradizione sociale della nostra economia”? 

Ha fatto specie che, l’unico discorso con forte proiezione “sociale” della convention sia stato quello del “liberale” Paolo Del Debbio, un discorso tutto improntato sulla grave situazione che vivono le periferie urbane d’Italia, vaticinando un intervento radicale e complessivo su questi luoghi di povertà  economica, sociale, culturale ed urbanistica che sono le nostre periferie sul modello del “Piano Fanfani” degli anni ’50, scegliendo, guardacaso, il meno liberista, il più “sociale” e “corporativista” dei leader della Democrazia Cristiana.

In verità nell’equilibrato discorso conclusivo, Giorgia Meloni non sembrerebbe aver ceduto a queste sirene culturali ed “ideologiche”, abbastanza astratte rispetto alla realtà italiana. Non è quella la strada da percorre. In Italia non abbiamo mai avuto un partito liberale di massa e questo non è da addebitare ad un mero fatto casuale; è un fatto oggettivo scaturente dall’intima struttura della società italiana.

Se proprio si volesse approfondire il discorso: persino “il conservatorismo” britannico soffrì il conflitto e la contraddizione stridente tra le posizioni del vecchio partito conservatore britannico, spesso attestate su idee protezionistiche e che non disdegnava l’intervento dello Stato, almeno su questioni strategicamente importanti per gli interessi nazionali, e il “liberal conservatorismo” della Lady di Ferro. Dice lo storico Domenico Bruni:‹‹ Tuttavia, concepire la società come aggregato di individui che operano sulla base delle regole del mercato (la posizione della Thatcher n.d.r.) ha sottoposto a grandi sollecitazioni quattro pilastri del conservatorismo: la convinzione circa l’inadeguatezza dell’intelletto umano; la concezione della politica basata sullo scetticismo; l’organicismo, […]. Per un conservatore la società non è un semplice aggregato di individui, bensì un tutto organico composto da «animali sociali» che vivono in un contesto ereditato dal passato. Questo contesto fornisce loro una specifica natura. Per quanto l’individuo sia rilevante, esso non può essere estrapolato dal contesto esistenziale più ampio.›› 

Scrive Roger Scruton ancora più esplicitamente nel suo Manifesto dei Conservatori: ‹‹Ma tutto il commercio è, o dovrebbe essere, soggetto a limiti e restrizioni, e non solo nell’interesse delle condizioni locali, ma anche per rispondere a imperativi di ordine morale, religioso e nazionale. Se il libero commercio significa importare materiale pornografico nei paesi islamici, chi può difenderlo? Perché è visto come un così grande vantaggio, se significa approfittare del lavoro di sfruttati e di schiavi ‒ dove esistono ‒ o importare, dovunque sia possibile venderli, i poveri resti di animali allevati in batteria? Non è forse la più pericolosa delle linee di condotta a lungo termine se significa permettere a azionisti anonimi, ai quali nulla importa e nulla sanno dell’Ungheria, di possedere e controllare l’ente che gestisce la fornitura idrica a Budapest? La verità è che tale libero commercio non è né possibile né auspicabile. Spetta a ogni nazione stabilire un regime di regolamentazione che massimizzerà il commercio con i suoi vicini e, contemporaneamente, proteggerà gli usi e costumi locali, gli ideali morali e quelle relazioni privilegiate dalle quali dipende la lealtà nazionale.››

Questa visione del “conservatorismo” è più in linea con la battaglia culturale che Woytila e Ratzinger fecero contro il relativismo (una sorta di iper-liberalesimo delle idee e dei valori) che non quella che prende a punto di riferimento Von Haiek e Von Mises. 

Leonardo Giordano

Leonardo Giordano su Barbadillo.it

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