Ciclismo. Sonny Colbrelli vince (anche) la Parigi-Roubaix

L’entusiasmante tripletta “Campionato Italiano, Europeo, Parigi-Roubaix” ripaga il corridore lombardo delle tante delusioni vissute

Ci sono vittorie che valgono una vita o che hanno “solo” il sapore di una rivincita. Chissà quali sensazioni, quali pensieri, siano transitati nella testa del “Cobra” Sonny Colbrelli, appena varcata la linea del traguardo nel Velodromo di Roubaix: una volata imperiosa, per andare a conquistare la prima Parigi-Roubaix della carriera (alla prima partecipazione), regolando allo sprint il belga Vermeersch, che pure aveva provato ad anticipare la volata e van der Poel, 3°.

La corsa francese, edizione 2021, si era già brillantemente colorata d’azzurro, grazie al lungo assolo in fuga di Gianni Moscon, fermato prima da una foratura e poi da una caduta, comunque stoico 4° al traguardo.

 

Merci Roubaix

La Parigi-Roubaix (s’immagini organizzarla in ottobre, al posto della classica allocazione in aprile) non è una competizione come le altre, restando fuori da ogni tempo (un po’ come Monaco e Spa per la Formula 1 o la 24 Ore di Le Mans): vedere i corridori intrisi di fango dalla testa ai piedi, sporchi della terra smossa dal lavoro nei campi limitrofi al percorso, osservare le biciclette claudicanti percorrere i tratti in pavé, l’arrivo nel Velodromo, son dinamiche che rimandano alle gesta eroiche del ciclismo dei pionieri.

È in questa cornice che si inserisce la storia di un corridore, un uomo che ha saputo trarre dalle proprie difficoltà il carburante esistenziale, la linfa vitale della sua rinascita.

 

La redenzione

È una storia di grandi sacrifici, quella di Sonny Colbrelli, classe 1990, natio di Desenzano del Garda: il lavoro alla catena di montaggio da operaio metalmeccanico, i canonici trascorsi nella categoria “dilettanti”.

Passato professionista nel 2012, non sono mancati gli inconvenienti fisici, a partire da una forte miopia (risolta), passando per i problemi di peso, ormai una variabile fondamentale dell’ipertecnologico e aereodinamico ciclismo contemporaneo: in effetti, Colbrelli ha dovuto sottoporsi ad alcune diete rigide, non senza ricadute mentali.

Velocista atipico, specializzatosi nelle classiche, la prima vittoria da “Pro” arriva nel 2014, in maglia Bardiani CSF, nella seconda tappa del Tour of Slovenia 2014.

Del 2016, tra le altre cose, vanno segnalate la nona piazza alla Milano-Sanremo e la terza nell’Amstel Gold Race vinta da Enrico Gasparotto, che bissava il primato del 2012; nel 2017 il passaggio alla Bahrain-Merida (oggi Bahrain Victorious), squadra nella quale è attualmente in forza.

Nonostante un palmares non certo esiguo, nel quale figurano belle affermazioni sia in campo nazionale (la Coppa Sabatini 2014 e 2016; la Coppa Agostoni 2016; la Tre Valli Varesine 2016; la Coppa Bernocchi 2017; il Gran Piemonte 2018) che internazionale (tappe conquistate alla Parigi-Nizza, al Giro di Romandia, al Giro del Delfinato; la Freccia del Brabante 2017), la sensazione rimaneva quello del corridore incompiuto, di un atleta che al di là di successici sporadici non riusciva ad esplodere mai del tutto.

Per di più, una infinità tra secondi posti (75!) e piazzamenti, ne avevano legittimato lo status di eterno piazzato, nomea che aveva iniziato a perseguitarlo, anche perché in diverse occasioni la vittoria era sfumata proprio quando Colbrelli vestiva i gradi di capitani, avendo l’intera squadra al servizio.

E invece, come un colpo di spugna sulle amarezze, sulle delusioni, sulle malinconie, ecco arrivare il magico 2021: Campione italiano (dopo il bronzo del 2019 e l’argento del 2020), europeo e vincitore alla Roubaix di domenica scorsa in maglia di Campione europeo (in questa classica l’ultima vittoria italiana risaliva al 1999, quando, in maglia “Mapei” tricolore, aveva vinto per distacco Andrea Tafi); insomma, una gran bella storia di sport.

Peccato solo per il decimo posto nell’ultimo Mondiale, nella Fiandre, il quale forse si sarebbe potuto correre diversamente; alla fine comunque questo insuccesso, specialmente se messo a sistema e confrontato con l’andamento stagionale, appare addirittura accettabile.

Certo: per il ciclismo nostrano non sono certo gli anni ‘90/primi 2000, quando con i vari Argentin, Bugno, Bartoli, Ballerini, Tafi, Cipollini, Petacchi, Ballan, Cunego (limitandoci alle classiche), gli italiani partivano necessariamente nel novero dei grandi favoriti, rispettando pressoché puntualmente le aspettative ma in ogni caso, al di là di ogni retorica, è bello ed emozionante che il nostro movimento ciclistico sia tornato a vivere delle giornate di gloria, come era stato per il trionfo in solitaria di Alberto Bettiol nel Giro delle Fiandre 2019, immaginandosi di nuovo “grande” e senza dover per forza sottostare alla nostalgia per i bei tempi che furono.

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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