Gas e sovranità europea dimezzata: le ragioni degli aumenti nelle bollette degli italiani

La geopolitica e le politiche energetiche dei Paesi europei. Quanto costa l'eterna subalternità dell'Europa agli Usa

Guerra del petrolio

L’annuncio di un enorme aumento delle bollette di gas e luce ha suscitato, come è normale che sia, un vasto clamore nell’opinione pubblica e una forte irritazione tra i consumatori. Sulla stampa si è però parlato poco della questione del gas, che è fortemente cresciuto di prezzo anche perché le scorte europee sono scese intorno al 71% rispetto all’84% del periodo precedente all’inizio della diffusione del Covid. In seguito alla migliorata situazione sanitaria, l’attuale crescita della produzione e dei consumi ha generato una grande fame di gas. Ed è ovvio che quando un prodotto scarseggia il suo prezzo tende a salire.

Questa situazione di relativa scarsità non è però dettata dalla mancanza di materia prima alla produzione: c’entrano non poco le scelte di politica energetica dell’Unione Europea. Quando si dice gas, specialmente nel Vecchio Continente, si dice soprattutto Russia che ne rimane il maggior esportatore mondiale. La russofobia delle cancellerie occidentali ha fatto sì che il focus del dibattito su questa risorsa si sia concentrato, da anni, sul presunto pericolo della eccessiva dipendenza europea da Mosca. Si dice, di continuo, che tale dipendenza aprirebbe il varco a un pesante condizionamento politico russo che influirebbe sulle scelte politiche del nostro continente. Peccato che la realtà sia il contrario di quanto paventato, con la Ue che ha sottoscritto tutte le ripetute sanzioni economiche nei confronti della Russia, alla faccia del suo grande potere di condizionamento. In ogni caso, Mosca non ha assolutamente in mano tutte le esportazioni verso l’Europa, arrivando a coprire il 40% del fabbisogno, mentre la ben più piccola Norvegia, per esempio, supera il 18%.

A Putin interessa venderlo il gas, più che usarlo per fare pressioni, e se noi non apprezziamo i suoi gasdotti non ha problemi a rivolgersi in altre direzioni. Come si è visto con la creazione del Turkish Stream che ha di fatto sostituito il South Stream, che sarebbe terminato in Italia, trasformandola in un importante hub continentale dell’energia, ma non si è realizzato per il sabotaggio della Ue e anche per le pressioni, quelle sì reali, di Washington verso Bruxelles. Che di mezzo non ci siano state solo questioni tecniche, ma anche un’ossessiva ostilità verso la Russia lo dimostra il diverso trattamento riservato al Tap che trasporta gas azero, in quantità assai minore, che non ha subito tutti gli ostracismi regolatori con i quali la Ue, appellandosi al cosiddetto Terzo pacchetto energia (Tpe), ha impedito la nascita del South Stream.

La mappa del gasdotto Nord Stream dal sito Gazprom

Alla fine, fu il governo bulgaro ad annunciare che non avrebbe più concesso il suo territorio per il passaggio dei tubi a far perdere la pazienza a Mosca che decise di cancellare il progetto già molto avviato. Sarà un caso che, a Sofia, poco prima della decisione si fosse recata una delegazione del Senato Usa proprio con la richiesta di sospendere i lavori? Eravamo nel 2014 e ad accrescere l’isteria verso la Russia c’era stata da poco l’occupazione della Crimea, che è comunque in maggioranza russofona ed è legata a Mosca da profondi radici storiche. Tanto per capire come certe campagne di indignazione per i presunti diritti violati servano poi a perseguire interessi molto concreti e che la subordinazione dell’Europa agli Stati Uniti non è una mania ideologica di incalliti antiamericani, ma incide nella carne viva delle grandi scelte geopolitiche ed economiche del nostro continente.

Dal mancato avvio del South Stream, sul piano strategico ed economico, a perderci di più è stata l’Italia: basta pensare al contratto andato in fumo da 2,4 miliardi di euro della Saipem, la quale tra l’altro è un’azienda partecipata maggioritariamente dallo Stato, il che significa che, in qualche modo, ne siamo azionisti tutti noi. Ma qualcuno ricorda (all’epoca governava Renzi) se ci furono proteste nel nostro Paese o se almeno se ne sia pubblicamente discusso in modo ampio? Evidentemente c’erano cose più importanti di cui occuparsi…

Diverso è stato il comportamento del governo tedesco di fronte alle fortissime pressioni statunitensi per bloccare il raddoppio del North Stream che porterà il gas russo in Germania. La Merkel, senza alzare la voce nei confronti di Washington, ha attuato una resistenza passiva, una sorta di muro di gomma, che sembra al momento avere successo. Gli Stati Uniti per colpire il North Stream 2 ci sono andati con la mano pesante con un’imponente mole di sanzioni, prendendo di mira circa 120 società e servendosi addirittura di una legge creata per colpire gli “Stati canaglia”, con la minaccia di escludere i soggetti coinvolti dall’area del dollaro, dal fare affari negli Usa e di congelare i loro beni sul proprio territorio. Si è arrivati al punto che tre membri del Congresso hanno inviato una lettera alle autorità di due porti tedeschi, la cui proprietà è partecipata dal Land e dal municipio cittadino, minacciando “di distruggere la redditività finanziaria della loro società e di devastare il loro valore azionario”.

Di questi fatti è praticamente impossibile trovare notizia nei maggiori media del Vecchio Continente, come del resto è a pochi noto che, nel dicembre 2019, il Congresso Usa ha votato, in modo bipartisan, una legge per la sicurezza energetica in Europa in cui si stabiliscono “sanzioni che congelano i visti e i beni di qualsiasi persona la quale consapevolmente aiuti le navi posa-tubi a costruire gasdotti di origine russa con terminal in Germania e Turchia”. Incredibilmente, il parlamento statunitense in questo modo si è arrogato il diritto di divenire il legislatore della politica energetica dell’Europa. Con quale legittimità nel diritto internazionale, se non quella derivante dalla forza e dalla supremazia, è facile immaginarsi.

La contesa nel mare d’Azov

Ma perché Washington combatte con tale determinazione l’esportazione del gas russo? La Russia, nonostante il nemico principale sia diventata la Cina, continua a rappresentare per gli Stati Uniti un avversario da colpire ogniqualvolta se ne presenti l’opportunità, evitando in tutti i modi di rafforzare i suoi legami con l’Europa, anche quando, come nel campo dell’energia, soprattutto per la prossimità geografica, sarebbe invece naturale che si consolidassero. Ma non c’è solo questo, c’è anche una motivazione di immediata utilità economica. Dal 2008, negli Stati Uniti, si è fortemente intensificata la produzione del gas di scisto, ricavato dalla frantumazione delle rocce in profondità (fracking) che, sebbene sia consumato per la maggior parte in patria registra surplus crescenti a cui occorre trovare dei mercati stranieri, tra cui quello europeo è identificato come il più redditizio. A causa dei processi di liquefazione, trasporto dagli Usa e rigassificazione, il gas di scisto viene a costare il 20% circa in più di quello russo. Eppure la Germania e l’intera Unione Europea, in seguito alle incalzanti richieste di Washington, si sono impegnate ad importarne  quantità sempre maggiori.

Si tratta di una scelta non solo antieconomica, a causa del prezzo maggiore, ma che presenta problematiche significative di carattere ambientale. La produzione del gas di scisto, infatti, viene giudicata da molti esperti pericolosa non solo per la tecnica di estrazione che provoca ampi sommovimenti nel sottosuolo con il pericolo di terremoti, ma anche all’arrivo nel Paese di destinazione, per problemi di sicurezza e per i possibili danni all’ambiente marino delle acque prospicienti ai rigassificatori, per la cui costruzione, inoltre, occorre impiegare cifre importanti. Eppure, l’Europa, che ha investito enormemente nella riconversione ecologica e ha fatto di Greta un santino da venerare, decide di incrementare l’importazione di questo tipo di energia, che viene portata su nave da lontano e necessità di un processo di riconversione all’arrivo e si straccia invece le vesti per la presunta eccessiva dipendenza dal gas “facile” della vicina Russia. Tutto ciò mentre le diminuite esportazioni di gas algerino e norvegese contribuiscono alla parziale penuria attuale.

La perdita di sovranità dei Paesi europei si dimostra pure nel campo energetico, alla faccia di tutti i tromboni che inveiscono quotidianamente contro il sovranismo, cantando lodi alla santità di Bruxelles. Mentre gli Stati Uniti rimangono non solo una potenza sovrana, ma anche imperialistica nel volere imporre i propri interessi a scapito dei nostri. Le conseguenze le vedremo presto nelle bollette che ci arriveranno.

Roberto Zavaglia

Roberto Zavaglia su Barbadillo.it

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