Passato e futuro del mondo arabo (visti da Massimo Campanini)

Dobbiamo esser grati a uno studioso onesto, anticonformista, instancabile come Massimo Campanini: incurante di conformismi e di carrierismi, concentrato su una ricerca che non teme di dover sostenere anche tesi scomode o impopolari

Il saggio di Massimo Campanini

Quando ci vuole, ci vuole. E lo si fa con soddisfazione. Chiunque eserciti con onestà il “mestiere”, magari a part time del recensore, sa che non è per fortuna poi così facile trovarsi davanti a un libro che meriti una totale “stroncatura” (i killeraggi “su ordinazione” sono altra cosa: e gli onesti non vi si prestano). Ma più difficile ancora è il poter senza riserve formulare un giudizio pienamente positivo, se non addirittura poter esprimere una lode.
Ebbene: è quanto in tutta onestà mi sento – e lo faccio con gran piacere – di dover fare nei confronti di un libretto dell’orientalista, arabista e islamologo pp. 173, 15 euri), che non solo ci propone una visione sintetica ma molto chiara e circostanziata della vita e delle opere del grande filosofo e fenomenologo della storia arabo-tunisino Abd al-Rahman Ibn Khaldun (1332-1406), ma che alla luce della meditazione sulla storia di quel grande pensatore – che ha anticipato spesso, in modo impressionante, alcune tesi di Nicolò Machiavelli e di Karl Marx – ci presenta per non dire tout court che ci rivela una lunga, impressionante galleria di filosofi e di sociologi appartenenti al mondo arabo e musulmano gli scritti dei quali mostrano un’originalità, una libertà e spesso un’attualità sorprendenti. Al punto da obbligarci a chiedere a noi stessi se quanto è stato negli ultimi due-tre secoli detto in Occidente a proposito della “stanchezza”, della “immobilità”, della “mancanza di spirito laico” del mondo musulmano non sia stato semplicemente frutto della nostra disinformazione, magari mischiata a una buona dose di malafede.
Diciamo la verità: molti di questi dubbi erano già affiorati – ed erano già stati espressi da studiosi seri e addirittura da specialisti – in seguito ai lavori di un’orientalistica e arabistica anche italiana più moderna e aggiornata, che spregiudicatamente si era allontanata da modelli interpretativi venerabili ma alquanto antiquati come quelli proposti ad esempio da Bernard Lewis. A questa pattuglia d’innovatori appartengono studiosi come il purtroppo immaturamente scomparso Giorgio Vercellin o come Paolo Branca, Bianca Maria Scarcia Amoretti, Claudio Lo Jacono e Renzo Guolo, che ci hanno da tempo introdotti alla prospettiva di pensatori e anche di politici musulmani in grado di affrontare con originalità i temi del rapporto con la Modernità e della globalizzazione. In un prezioso lavoro di sintesi giunto ormai alla quinta edizione, Storia del Medio Oriente contemporaneo (Bologna, Il Mulino, nuova ediz. 2017), Campanini non ha esitato ad affermare, lucidamente dimostrandolo, come il luogo comune secondo il quale l’Islam sia teocratico e incline alla perenne confusione tra le dimensioni del potere politico e di quello religioso sia profondamente errato e come i casi “fondamentalisti” dell’Iran khomeinista e dell’Arabia saudita wahhabita corrispondano a forme di modernismo del tutto controcorrente rispetto all’Islam “classico”. E’ ancora, merito di Campanini e di altri suoi colleghi della pattuglia di studiosi anticonformisti ancora relativamente giovani l’averci fatto conoscere pensatori come Muhammad Mahmud Taha, pur da tempo tradotto anche in italiano, che ne Il secondo messaggio dell’Islam (Bologna, Emi, 2002), ha sostenuto che nel Corano è presente, dopo la prima fase propriamente rivelata, una “seconda stratificazione” più aderente alla storia del suo tempo che rende possibile una continua evoluzione del pensiero islamico sino alle forme più aperte alla libertà individuale e al rinnovamento politico e sociale.
Ma le idee innovatrici di Taha non nascono dal nulla: al contrario. Nel suo Ibn Khaldun, Massimo Campanini dimostra appoggiandosi all’analisi di studiosi quali A, Laroui, Islam e Modernità (Genova, Marietti, 1992) che in pensatori quali Sahid Qutb, al-Jabiri o Abu Rabi, in modo diverso, sia presente la possibilità di un pensiero musulmano proiettato addirittura nel futuro. L’analisi di Ibn Khaldun e in particolare la Muqaddima (“Introduzione”) a un suo saggio che oggi potremmo definire di world history, incentrata sul rapporto dialettico tra civiltà nomadiche e civiltà sedentarie e sul valore fondamentale della ‘asabyya, lo “spirito di corpo” fonte di valori comunitari e di energie dinamiche, finisce con il dar luogo a riflessioni che possono condurre anche a una maggior comprensione del nostro stesso presente. Di tutto ciò dobbiamo esser grati a uno studioso onesto, anticonformista, instancabile come Massimo Campanini: incurante di conformismi e di carrierismi, concentrato su una ricerca che non teme di dover sostenere anche tesi scomode o impopolari.
Quanto abbiamo fin qui detto riveste importanza tanto più intensa e pregante in quanto Massimo Campanini ci ha purtroppo da poco immaturamente lasciati, dopo aver lottato con energia e coraggio esemplari contro una lunga malattia: anche se non è stata essa, almeno direttamente, ad aver alla fine ragione della sua fibra. Questi mesi sono stati tremendi sotto molti aspetti: anche per gli ingegni che si sono portati via, talora precocemente. Il lavoro di Campanini aspetta di esser continuato, e senza dubbio lo è. Ma il suo coraggio, la sua energia, la sua dottrina sono una perdita insostituibile, un vuoto che sarà impossibile colmare.

*Ibn Khaldun e la Muqaddima. Passato e futuro del mondo arabo, di Massimo Campanini, Viareggio, La Vela, 2019

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Franco Cardini

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