Perché leggere “Pioggia di stelle” di Matila Ghyka, un gioiello del primo Novecento

La trama straborda di principesse e di principi innamorati, di gentiluomini alle prese con il loro destino e d’inganni degni delle fiabe dei Grimm, richiama quasi un “Ivanhoe” moderno

Il romanzo di Matila Costiescu Ghyka

Come per i protagonisti del romanzo, invita invidia (vale a dire “nonostante gli invidiosi”), Atlantide Edizioni firma una delle riscoperte più interessanti del 2020 nel campo della narrativa novecentesca. Edito da Gallimard nel ’34 e poi sostanzialmente scomparso, “Pioggia di stelle”, l’unico romanzo di Matila Costiescu Ghyka, altrimenti dedito alla filosofia della scienza e alla cosiddetta “matemagica”, è un gioiello dalle molte sfaccettature, anzi, una Wunderkammern: la trama, nella sua parte avventurosa e romantica, che straborda di principesse e di principi innamorati, di gentiluomini alle prese con il loro destino e d’inganni degni delle fiabe dei Grimm, richiama quasi un “Ivanhoe” moderno, ma le mille descrizioni di opere d’arte, spettacoli teatrali, abiti, oggetti di lusso, sale da ballo e perfino pietanze tipiche dei vari paesi in cui di volta in volta i personaggi si muovono, leggeri e vivaci – talora perfino fatui – come bollicine di champagne, in quell’illusorio intervallo di quiete tra le due guerre mondiali, sono godibili in sé e per sé, perfino “autarchiche”, se non dipendessero invece così tanto dalle influenze culturali che le informano. 

E infatti davvero non stupisce che Ghyka piaccia a Eliade, peraltro suo conterraneo, e a Guido Ceronetti, nonché a Paul Morand e a Salvador Dalì, che ne chiese la collaborazione per realizzare la sua “Leda atomica”, dal momento che subisce l’evidente influenza di Proust, ma anche quella di Meyrink e di Mallarmé, solo per citarne alcuni. 

Meno evidente ma altrettanto interessante e giustamente esplicitata nella postfazione è la coincidenza quasi perfetta tra le vicende personali dell’autore – anche successive alla redazione del romanzo! – e quelle dei suoi personaggi, specialmente Napoleone di Maleen-Louis e, in seconda battuta, Danthérieu: di nobili natali, come loro e come molta parte dell’aristocrazia mitteleuropea di cui “Pioggia di stelle” fornisce un quadro perfetto fino all’ultima, minuziosa pennellata, Ghyka sarà sballottato tra la Romania, Londra, Parigi e Vienna, ma poi trascorrerà gli anni ‘50 in ristrettezze economiche, arrabattandosi tra traduzioni e lavoretti da studente precario, in un mondo che ormai non era più quell’ostrica accogliente che aveva dato il titolo all’edizione inglese della sua autobiografia (The World Mine Oyster, appunto). Ci rimane però di sperare, complice il fatto che gli ultimi anni della sua vita sono sprofondati quasi completamente nell’oscurità e nell’anonimato, che anche Ghyka come il suo Maleen-Louis, alter-ego quasi perfetto, abbia conosciuto una nuova età d’oro, e finito i suoi giorni in pace, nella dimora di Jermyn Street che tanto amava. 

Spiace solo di notare, a mo’ di riflessione conclusiva generale, che nemmeno il personaggio d’un romanzo degli anni ’30 (personaggio, peraltro, descritto spesso come una donna demoniaca e ferina dagli occhi violetti e dagli abiti rosso fiamma…) ha più il diritto di descrivere Hitler, nel contesto storicizzato di un discorso sui tratti caratteriali distintivi dei popoli slavi, come un “sognatore ad occhi aperti” in ragione dell’origine ceca di sua madre, e che questa opinione, nonostante all’interno della narrazione sia già ampiamente compensata dalla risposta datale dal personaggio più autorevole di tutta la vicenda, il professor Moessel – il quale paragona la vicenda tedesca ancora in fieri alla fiaba del pifferaio di Hamelin – vada ulteriormente “neutralizzata” dedicandovi un apposito spazio nella prefazione/nota del traduttore, ma purtroppo questo è lo Zeitgeist dei nostri tempi, e l’art for art’s sake è andata a farsi benedire da un bel po’. 

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Camilla Scarpa

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