“Coefore Eumenidi” di Eschilo e Livermore: la tragedia diventa un kolossal

Ieri sera il debutto della 56 ͣstagione delle rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa con “Coefore Eumenidi” di Eschiloa regia immaginifica di Davide Livermore. L’opera sarà in scena fino al 31 luglio.

Pantagruel alla corte di Eschilo è la prima immagine che viene in mente dopo le due ore e mezzo di Coefore Eumenidi di Davide Livermore.  Filologia alla mano, Livermore traduce Eschilo in uno spettacolo d’intatta purezza. Purezza, perché di purismo con Livermore, vivaddio, non si deve nemmeno parlare. Se lo spettatore del Teatro Greco di Siracusa aveva pensato che il trionfo scenico di Elena nel 2019 fosse il climax del discorso registico in quello spazio antico, capirà ora che non può esserci un limite all’arte. Nemmeno all’ingegno. Pantagruelico allora diventa l’austero Eschilo, senza che venga intaccata né la magniloquenza dello stile né il civismo. D’altronde, sempre filologia alla mano, come non vedere nei versi di Eschilo la solennità delle immagini, l’arditezza delle metafore, il gusto del traslato? Altro che maieutica!

La messinscena.

Il genio di Livermore estrae dal ventre eschileo quell’ironia che le due tragedie contengono. Oreste diviso tra giustizia e vendetta, tra colpa e responsabilità, tra il seno della madre e il fantasma del padre non è già un rovesciamento dell’apodittico matricida del mito? E’ un abuso che diventi un Oreste freudiano, balbettante davanti alla madre, seduto sul divano con le mani sulle ginocchia e con tutto il corredo emotivo fatto di paure, rancori e timori? A suggerire che lo strappo nel cielo di carta Eschilo lo aveva visto prima di Pirandello. Sparo più che strappo, visto che lo iato tra il drammaturgo dell’Orestea nel 458 a.C. e il regista di Coefore Eumendi del 2021 sta tutto in un pam! In uno sparo, anzi in tanti spari quanti sono i momenti culminanti dell’azione che è come mostrare le cellule metriche di Eschilo, disomogenee e atomistiche, dentro un effetto sonoro di sequenza spezzata. Pam! Pam! Pam!

 

Il ricciolo d’oro di Oreste, lasciato nel prologo di Coefore di Eschilo, sulla tomba di Agamennone diventa un proiettile d’oro, nella prima delle trasposizioni simboliche. Tutti impugnano armi, revolver e mitra, tutti in “Coefore” sparano come in una continua notte dei lunghi coltelli. Pam!

Coefore Eumenidi è un ordito perfetto di moltissimi fili ora scintillanti ora cupi che creano uno spettacolo colossale. La scenografia (dello stesso Livermore insieme a Lorenzo Russo Rainaldi) è maestosa: uno schermo circolare e tridimensionale diventa Sole ghiacciato o infuocato, Terra di mille colori, occhio della Giustizia divina e umana, specchio da cui si manifesta la faccia spettrale di Agamennone (prestata da Sax Nicosia, assistente alla regia) e spezza un ponte, segno dello sfacelo di una città, di cui resta in piedi solo una torre.

Un inverno scenico  affonda nella neve un divano, un organo con le canne sfasciate, un grammofono, un lampione, un mobile, un tavolino con gli immancabili bicchieri e champagne. La scala dei grigi (insieme al gioco di luci disegnate da D-Wok e Antonio Castro) domina la scena: al centro la nera tomba di Agamennone,  da un’automobile grigia scendono Clitemnestra ed Egisto. Stessa scala cromatica per gli splendidi costumi, disegnati da Gianluca Falaschi, con due note di colore: i costumi dorati delle Erinni  e la sottana rossa della fanciulla ammazzata da Egisto, che è come citare il cappottino rosso di Schindler’s List, in perfetta sintonia con la trasposizione dalla Grecia del V secolo agli anni dei Totalitarismi. Il cinema impazza per citazioni: una strizzatina d’occhio al muto e uno a Fritz Lang e all’espressionismo tedesco, una smorfia al cinema nazista di Leni Riefenstahl e uno sguardo complice alla commedia americana anni ’50 e ancora più in là.

 

 

 

 

 

 

 

 

Livermore non poteva rinunciare al canto lirico. Dal coro delle Coefore si innalzano le magnifiche voci di Chiara Osella, Graziana Palazzo e Silvia Piccollo. Magnifico è pure il canto delle Erinni. Il canto più antico e quello più moderno: la voce delle Erinni è un misto di parole e distorsioni foniche in digitale.

 

 

 

 

 

 

Tra i due estremi ci sono il pianoforte di Diego Mingolla e la cordiera dell’altra pianista Stefania Visalli. Un trionfo di sonorità (le musiche sono di Andrea Chenna) dalla stenotipia del pianoforte al coro degli attori su Heroes di David Bowie che chiude lo spettacolo, mentre scende la neve sul teatro e sullo schermo le immagini di tutte le tragedie italiane che chiedono ancora Giustizia. E’ un suono assordante l’acclamazione di popolo per Oreste giudicato innocente, a un passo dal divenire tiranno populista mentre arringa la folla su suggerimento del dio. La legge del ghénos (il legame di sangue tutelato dalle Erinni) soccombe di fronte all’ordine della polis. L’Aeropago, dunque, può realizzare la Giustizia? Questo è l’interrogativo che Livermore pone a Eschilo.

Le tragedie di Eschilo

Nel primo stasimo di Eumenidi di Eschilo, il coro delle Erinni dormienti davanti allo spettro di Elettra, mormora; in quello di Davide Livermore la voce delle Erinni è un’eco dalla grotta sonora degli strumenti digitali. La prelingua di Eschilo e la postlingua di Livermore come cifra di un mondo non ancora regolato dalla polis. Eschilo fa nascere la vicenda tragica dall’atto di vendetta di Oreste per l’assassinio del padre Agamennone. Ma la vendetta di Oreste, suggerita da Apollo, implica l’assassinio di Egisto e Clitemnestra. Il furore vendicativo di Elettra e Oreste, nel finale di Coefore si dissolve nella sparizione di Oreste e nell’arringa di Elettra dall’alto della torre.

 

 

 

 

 

 

 

Arrivano le Erinni, invocate da Clitemnestra: caos demoniaco di creature orrende, così la Pizia le descrive nel prologo di Eumenidi. Eschilo rappresenta la nascita dell’Aeropago, il tribunale che equipara i delitti matrimoniali a quelli di sangue, così Oreste va assolto perché il suo delitto non è più grave di quello di Clitemnestra. A presiedere il tribunale è la dea Atena, cui va il voto decisivo per l’assoluzione, che brucia (letteralmente nella regia di Livermore) la giuria popolare e trasforma le Erinni in Eumenidi.

 

 

 

 

 

 

Eschilo offre agli spettatori di oggi un interessante dibattito tra populismo e antipopulismo, tra giustizia e ingiustizia, tra maternità e paternità. Livermore, allora, affida alle Eumenidi corpi maschili e femminili (citando se stesso in Elena) e fa risuonare le parole di Apollo scritte da Eschilo “il vero genitore è colui che dà il seme/ Per il nuovo venuto la donna/non è altro che una casa ospitale” e invocando Atena nata dalla testa di Zeus afferma “un padre può essere padre anche da solo”. Benvenuta ironia di Eschilo, cui speriamo non tocchi la furia della cancel culture!  Ad arginare la quale basterebbe l’intervento di Apollo interpretato da Giancarlo Judica Cordiglia, capace di restituire la ferocia ritmica e la soave eleganza del dio.

 

 

 

 

 

 

 

A proposito di ritmo. I versi tradotti da Walter Lapini diventano nelle interpretazioni degli attori di Livermore un’armonia di toni alti (Elettra e Oreste), caustici (Clitemnestra), rabbiosi (Egisto), elegiaci (Cilissa), solenni (Atena), fino alla polimorfia dei cori. Come se ogni frammento dello spettacolo muovesse incontro allo spettatore. Merito di un cast di attori straordinario.

 

La gloriosa macchina da guerra.

Un gruppo di attori che si muovono come una gloriosa macchina da guerra. Oreste è Giuseppe Sartori la cui interpretazione si impenna alle prime battute e conquista una sorta di climax orizzontale. Egisto è un grande Stefano Santospago: un Egisto violento, volgare, pazzo, sbracato.

 

 

 

 

Le tre protagoniste realizzano un trittico di femminilità e  attorialità. Anna Della Rosa è Elettra come Eschilo l’aveva immaginata: ieratica, indifesa e furente al tempo stesso. Clitemnestra non poteva che essere Laura Marinoni con la grazia scandalosa della sua presenza scenica. Olivia Manescalchi occupa prepotente la scena come solo la vera Atena avrebbe fatto. Straordinaria è l’alternanza dei cori: le coefore Gaia Aprea, Alice Giroldini, Valentina Virando  insieme alle cantanti restituiscono la desolazione  del lutto;  Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina e Turi Moricca sono Erinni al limite del burlesque, perfetti nelle coreografie roteanti. Brava Maria Grazia Solano nel doppio ruolo della nutrice Cilissa  e della profetessa Pizia. A completare il cast le guardie Gabriele Crisafulli, Manfredi Gimigliano, Lorenzo Iacuzio, Roberto Marra e Francesca Piccolo; Spyros Chamilos è Pilade; Irasema Carpinteri è la donna uccisa da Egisto e Federica Cinque, la statua di Atena.

Coefore Eumenidi è uno spettacolo scintillante, un affresco rotondo, un gioco scenico sfacciato e generoso. Fino ai saluti finali con l’immancabile passacaglia di tutti gli attori tra il suono di un carillon e il fragore degli applausi

 

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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