Il racconto patriottico. Dove c’è l’Unità, c’è la vittoria (e una tradizione familiare)

Lo scritto di Giulia Malinverni che ha vinto il contest di Azione studentesca su patriottismo e unità nazionale

Unità nazionale vista da Carlo Fusca, artista barese

Pubblichiamo il racconto che ha vinto il concorso letterario promosso da Azione Studentesca Pavia sui temi del patriottismo. (Barbadillo)

Voghera, 17 marzo 2021

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Sono le 13.02 e l’ultima ora di DAD di oggi è terminata; spengo velocemente il computer e mi dirigo in cucina a passo di carica, con lo stomaco che brontola in preda ai crampi per la fame. Mentre apparecchio alla meno peggio la tavola, infilo nel microonde una generosa porzione di lasagne surgelate e, nell’attesa che diventino commestibili, accendo distrattamente la TV. La voce di Sergio Mattarella attira la mia attenzione, ricordandomi che oggi si celebra il centosessantesimo anniversario dell’Unità d’Italia e con esso la “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”. Il nostro Presidente sta rivolgendo un caloroso ringraziamento alle generazioni che ci hanno preceduto e che, superando insieme i momenti più difficili, ci hanno consegnato un Paese libero, solido e unito. Ascolto con interesse il suo discorso, che rievoca i fatti avvenuti quel lontano giorno di centosessant’anni fa, il 17 marzo 1861, quando a Torino ebbe luogo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia. Questo è stato il traguardo finale di un percorso iniziato con un’Italia divisa in sette Stati, che ha avuto come tappe fondamentali la prima guerra d’indipendenza (1848- 49), la seconda guerra d’indipendenza (1859-1861) e la spedizione dei Mille (1860). Il processo di unificazione è successivamente continuato con la terza guerra d’indipendenza (1866), con la seconda spedizione di Garibaldi verso Roma (1867) e la conseguente annessione di quest’ultima, per poi concludersi con la prima guerra mondiale (1915-1918).
Mentre il Capo dello Stato saluta le Autorità politiche presenti, lo sguardo mi cade sul ritratto del mio trisavolo Rodolfo, che fa bella mostra di sé sulla credenza in mogano di mia nonna e che tanto assomiglia a Giuseppe Garibaldi. Osservandolo, la mia fantasia inizia a galoppare…

Concorso letterario As Pavia

Marsala, 11 maggio 1860
Sono una volontaria garibaldina dei Cacciatori delle Alpi e ho seguito il grande stratega in Sicilia. Mi sono imbarcata a Quarto sul piroscafo Lombardo il 5 maggio, anniversario della morte di Napoleone, e oggi finalmente siamo sbarcati qui, a Marsala: siamo 1089 ed io sono l’unica donna della brigata. Schierata con i miei compagni, aspetto il mio idolo, che mi appare all’improvviso a cavallo e mi fa fremere per l’emozione. Indossa la camicia rossa, i calzoni grigi da generale, il suo inconfondibile cappello e un fazzoletto legato al collo; ci rivolge uno sguardo affettuoso come quello di un padre e poi, con la risolutezza che lo contraddistingue, dà il via alla marcia.
La prima parte della camminata è molto piacevole, sembriamo quasi un gruppo di vacanzieri. Lo spettacolo che quest’isola offre ai nostri occhi è indescrivibile. Passiamo in mezzo a limoneti, tra i quali s’innalzano contorti alberi di fico e ciliegi dalle fronde verdeggianti. Attraversiamo oliveti
grigio-argentei e aranceti appesantiti da frutti che iniziano a colorirsi e che fanno timidamente capolino tra il fogliame scuro e lucido. Le cicale friniscono allegre e volano tra l’erica con le loro ali trasparenti e scintillanti. Baciati dal sole e accarezzati da una brezza gentile, in tarda mattinata raggiungiamo una masseria silenziosa, circondata da ulivi secolari e con due pozzi di pietra nel cortile, dai quali possiamo attingere acqua fresca in abbondanza.
Pensavamo di essere arrivati in una specie di Eden e non avevamo idea di quanto fossimo lontani dalla realtà…
Percorsi pochi metri, lo scenario idilliaco muta drasticamente e ci ritroviamo in una distesa di terra arida e sconfinata, che non ha nulla da invidiare ai deserti africani e asiatici. Arranchiamo, passo dopo passo, sotto un sole impietoso, madidi di sudore e tormentati da un vento torrido degno del quattordicesimo canto dell’Inferno dantesco, con l’unico desiderio di trovare uno spiazzo ombroso che possa regalarci un minimo di refrigerio.
Speranza vana: passano le ore ma il panorama resta immutato. Camminiamo senza mai fermarci e se nessuno di noi stramazza al suolo è solo perché è sorretto da una forza d’animo e da una determinazione fuori dal comune. Quando cala la sera e l’aria bollente e irrespirabile inizia a rinfrescarsi, scorgiamo su un’altura un imponente castello. All’improvviso una luna enorme color vinaccia spunta al di sopra della cima frastagliata dei monti e illumina il sentiero che conduce a quella che potrebbe essere la nostra salvezza. Con uno sforzo sovrumano riusciamo a raggiungere la massiccia costruzione e ci gettiamo a peso morto sull’erba che la circonda, mentre alcuni contadini premurosi ci offrono acqua, cedrata e vino. Intanto, in sella a uno stallone nero come la pece, arriva il barone proprietario del feudo, seguito da un gruppo di uomini: sono i primi volontari che intendono unirsi a noi. La stanchezza mi vince e cado nelle braccia di Morfeo, distesa sul prato che profuma di erba appena tagliata.
Trascorsa una notte inaspettatamente tranquilla, riprendiamo a camminare. La strada è tortuosa, accidentata e per di più in salita, ma non demordiamo e dopo qualche ora raggiungiamo Salemi. Quasi mi commuovo per l’accoglienza degli abitanti, che sembrano aspettarci a braccia aperte. Le campane suonano a festa e concertano con l’allegra banda del paese, che ci viene incontro sorridendo a colpi di grancassa. Uomini, donne, bambini e persino preti e suore acclamano a gran voce il nostro generale. Una giovane mamma con il suo paffuto neonato in braccio mi si avvicina e mi chiede, alzando il tono di voce per contrastare il frastuono: – Dov’è Garibaldi? Quando arriva?
Non faccio in tempo a risponderle, che il comandante raggiunge la folla in visibilio e intanto in quella bolgia infernale si fanno largo altri gruppi di patrioti siciliani; coloro che non sono riusciti a procurarsi un fucile impugnano falci e coltelli e dai loro sguardi traspaiono coraggio e fermezza.

Tutti insieme ci dirigiamo verso Palermo, con le nostre uniformi variopinte. I garibaldini in camicia rossa sono pochi, la maggior parte è in abiti borghesi. Intanto alcuni gruppi di rivoltosi siciliani si uniscono a noi, ma per convincere la popolazione a scendere in massa al nostro fianco abbiamo bisogno di una vittoria.
In Sicilia è diffuso un forte malcontento nei confronti dei Borboni, che presidiano l’isola con 25.000 soldati. Un distaccamento si è accampato a Calatafimi, per bloccarci la strada, ma non sarà certo questo a fermarci…

Calatafimi, 15 maggio 1860
L’Ottavo Battaglione Cacciatori del maggiore Sforza, una delle migliori unità dell’esercito borbonico, procede verso sud in missione esplorativa. Noi siamo circa 1500 e i nemici più o meno 2000. I borbonici sono posizionati sulla collina chiamata “Il pianto dei Romani”, noi ci troviamo sull’altura di fronte, separati da una lussureggiante vallata. Il maggiore Sforza ci osserva, forse gli sembriamo pochi e disorganizzati, perciò decide di fare la prima mossa e avanza nella valle con i suoi uomini, ma qui li cogliamo alla sprovvista con il nostro fuoco. Risaliamo il colle, con il comandante in testa, sprezzante del pericolo. All’improvviso un lampo scarlatto squarcia la volta del cielo e una miriade di proiettili inizia a grandinare su di noi. Siamo a metà del pendio, è un momento davvero critico. Un gruppo di nemici raggiunge le retrovie e strappa il tricolore ad alcuni nostri soldati. Qualcuno invoca la ritirata, ma Garibaldi, accigliato, ribatte seccamente: – Qui si fa l’Italia o si muore! Proseguiamo imperterriti e arriviamo in cima alla collina, mentre il generale ci sprona agitando la sciabola. Rischia il tutto per tutto in prima linea, perché i volontari hanno bisogno del suo esempio e del suo entusiasmo. Lui, che ha più di cinquant’anni, riesce a tenere il passo dei suoi soldati ventenni e i borbonici, dopo ore di battaglia, gettano la spugna e si danno alla fuga.
– Abbiamo vinto, è un miracolo! – sussurro mentre calde lacrime liberatorie mi rigano il viso.
A livello materiale non abbiamo guadagnato granché: un cannone, pochi fucili e una manciata di prigionieri, ma è l’effetto morale ad essere immenso, perché i Siciliani hanno ricevuto una notevole iniezione di fiducia, mentre l’esercito nemico non può che essere fortemente demoralizzato. La via per Palermo, Napoli e Roma è spianata…

Voghera, 17 marzo 2021
Biiip! Il suono acuto e penetrante del microonde mi riporta alla realtà, ma prima di avventarmi sulle
lasagne fumanti e placare i morsi della fame non posso esimermi dal fare alcune riflessioni: da ormai un anno la nostra Italia è stata colpita duramente dall’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid 19, si è piegata senza crollare e ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità
e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere ad una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi. La celebrazione di oggi ci esorta nuovamente a condividere un impegno comune, per costruire un Paese più unito e solido, condizione che rappresenta la vera vittoria di una società democratica e civile.

@barbadilloit

Giulia Malinverno

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