Roma. Palazzo Merulana: un saggio restauro e un generoso mecenatismo

Dall’abbandono alla rinascita: un apprezzato polo culturale nel rione Equilino della Capitale

Palazzo Merulana

Dall’abbandono alla rinascita, tale è in sintesi il senso profondo di questo scritto e, ancora di più, della vicenda che andremo a raccontare. Fino a pochi anni fa, chi passava per via Merulana a Roma, poteva scorgere i resti di un edificio sventrato diagonalmente e in condizioni di totale rovina; quasi una epitome del degrado in cui versa da tempo la Capitale. Almeno per una volta, l’incuria che attanaglia in modo circadiano l’Urbe è stata sanata. Ci riferiamo alla apertura, nel maggio 2018, di Palazzo Merulana, che si è gradualmente inserito nel tessuto sociale del Rione Esquilino, divenendone un apprezzato polo culturale. Quella di cui stiamo parlando la si deve giustamente considerare come una storia bella, così distante da quella che ha, sventuratamente, colpito il meraviglioso Museo Nazionale d’Arte Orientale «Giuseppe Tucci» – ricordiamo che si trattava della più rilevante raccolta del genere in tutto l’Occidente – che si trovava anche esso nella medesima via, proditoriamente chiuso per precisa volontà del purtroppo ancora Ministro, Dario Franceschini. Già, da una parte abbiamo un cristallino atto di altruismo, sviluppato con acume; dall’altra, una bassissima politica, che vive di slogan mendaci, e la quale, per il proprio tornaconto ideologico, procura solo danni, noncurante del pubblico vantaggio.  

Tornando al Museo di Palazzo Merulana, cominciamo col dire che è ospitato nella struttura in stile umbertino dell’ex-Ufficio di Igiene, inaugurata nel 1929, poi parzialmente abbattuta negli anni ’60. Per decenni, gli abitanti della zona hanno osservato questo fatiscente e dimenticato edificio, arrivando persino a immaginare che il rudere fosse il risultato di un bombardamento, ma non fu così che andarono le cose, bensì pura e semplice cattiva amministrazione e, come spesso accade in Italia, ci è voluta una iniziativa privata per fare quello che lo Stato non fa! È il caso di due illustri e raffinati donatori (Claudio ed Elena Cerasi), i quali hanno recuperato questo stabile, destinandovi inoltre la loro squisita raccolta d’arte. Cosicché chi entra adesso nel Palazzo, sapientemente restaurato dalla ditta stessa dei Cerasi, la SAC S.p.A., che ha realizzato pure il MAXXI in via Guido Reni, usufruisce di spazi elegantissimi, frutto del gusto esemplare di questi due coniugi. Circa duemila metri quadrati espositivi accolgonola preziosa collezione della Fondazione Cerasi. Una raccolta, benché non vasta, che tuttavia rappresenta appieno, talora alla massima altezza, un compendio dell’arte italiana tra le due guerre, segnatamente per il gran numero di opere afferenti alla cosiddetta Scuola Romana.

Il percorso museale comincia sin dal Piano Terra, di libero accesso, ove si trovano una piccola libreria e un punto ristoro dotato di un piacevole giardino all’aperto assai frequentato anche da chi non è interessato alla visita del Palazzo; a conferma del ruolo sociale assunto da questa Istituzione. Tra libri e tavolini, si ammirano le sculture di Ercole Drei, Pericle Fazzini e Antonietta Raphaël (il Museo possiede uno dei maggiori nuclei esistenti della artista originaria della Lituania, moglie e sodale del pittore Mario Mafai).

Al Secondo Piano, si incontra il vero «cuore» della raccolta, dove riverberano i princìpi fondamentali diffusi dalla rivista Valori Plastici (1918 – 1921), fondata da Mario Broglio, i cui collaboratori invocavano potentemente un «ritorno all’ordine», in primis per mezzo della Metafisica Dechirichiana. I migliori esponenti del figurativismo italiano sono disposti nelle varie sale; tanto per menzionare quelli ampiamente noti al pubblico e alla critica, si possono citare Antonio Donghi – pitture, le sue, che lo resero il «poeta del silenzio imperturbabile» – ovviamente Giorgio De Chirico (i bagni e le cabine «misteriosi»), Duilio Cambellotti, Giuseppe Capogrossi, Arturo Martini, Fausto Pirandello (conflittuale figlio del sommo drammaturgo siciliano), Mario Sironi e un singolare quadro di Giacomo Balla, dipinto su entrambi i versi, in periodi e tecniche differenti: Vaprofumo(1926, olio su tavola) e Primo Carnera, Campione del Mondo (1933 ca., olio su tavola con rete applicata). Decisamente notevoli sono altresì la tela di Francesco Trombadori (Paura della pittura, 1942 ca.) e uno splendido Felice Casorati (Lo studio, 1934). Di forte impatto è sicuramente il grande Salone Centrale, completamente intonacato di bianco, a ricordo del travertino che connota l’Architettura Razionalista, con però alcuni rimandi decorativi a una tradizione classica come quella del ‘500 italiano: i frontoni delle porte presentano dei «timpani spezzati» di michelangiolesca memoria. Qui troneggia l’imponente, quanto kitsch, statua in bronzo silicato L’uomo che dirige le stelle (2015) di Jan Fabre, a dimostrazione di come la curiosità estetica dei Cerasi sia giunta fino all’epoca contemporanea. Infatti, il percorso museale termina al Terzo Piano, con l’esposizione a rotazione di opere ben più recenti, il «concettuale» Lucio Fontana e in particolare la Pop Art Italiana – conosciuta pure come Scuola di Piazza del Popolo – con nomi quali Tano Festa e Mario Schifano.

Abbiamo avuto occasione di assistere alla conferenza stampa che si tenne per l’inaugurazione di Palazzo Merulana, alla quale era presente Virginia Raggi. Il Sindaco di Roma, utilizzando un eloquio a nostro modesto avviso eccessivamente confidenziale, data la natura dell’evento, esordì con un: «Abbiamo donato», per correggersi prontamente in: «Avete regalato». Stendiamo un velo di commiserazione sulla inadeguatezza intellettiva dell’attuale establishment e concludiamo dicendo che la Capitale ha un altro centro culturale, un dono di gente capace, i Cerasi, alla città, o meglio al quartiere, alla insegna di quello che sogliamo definire il «Museo dietro casa». Quando ci si confronta col mecenatismo di determinati Italiani («I» rigorosamente maiuscola), a volte gli animi sensibili tendono a commuoversi. Nondimeno, tale sensazione è intrisa di nostalgia, giacché si ha la viva consapevolezza che trattasi di una generosità antica, ormai rara. A questo tipo di persone – fortuna vuole che la Nazione ne abbia avute molte – andrà sempre un doveroso ringraziamento, poiché loro compensano quello che il Ministero, le Regioni e i Comuni non fanno sostanzialmente mai: tutelare e valorizzare il Bello; anzi, verso di questo la nostra politica si rivela essere sovente apertamente ostile, si pensi alle «renziane riforme» Franceschini (2014) e Madia (2015).

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati

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