Il punto (di G.deTurris). La pandemia del “Politicamente corretto” tra censure e conformismi

Tutto partito negli anni Ottanta dalle università americane in mano agli intellettuali radical-chic e che si sta espandendo ornai a livelli diversi e meno colti

Politicamente corretto come nuova idoleogia

Viviamo in un periodo storico grottesco e ipocrita, grottescamente  ipocrita e ipocritamente grottesco, dove il massimo  tabù è la Democrazia delle Quattro I:  intoccabile, inattaccabile, inamovibile, ma ante intollerante. Intollerante nei confronti di chi non si allinea e di chi la critica (a parole e non certo con la violenza). Contro costoro la Democrazia occidentale che si autodefinisce “liberale”, si trasforma in quella che negli Stati Uniti ha definito se stessa la Cultura della cancellazione (Cancel Culture), da intendere come l’eliminazione concreta e culturale di quanto non si conforma ai suoi standard: dall’abbattimento di monumenti al silenziamento di chi non si adegua. Sistemi come si sa tipici delle autocrazie e delle dittature, e in quanto tali condannati a priori. Tutto partito negli anni Ottanta dalle università americane in mano agli intellettuali radical-chic e che si sta espandendo ornai a livelli diversi e meno colti.

In tal modo la libertà di parola (e di dissenso dalla vulgata), che è una delle caratteristiche essenziali di una democrazia,  è stata realmente messa in pericolo al punto che il governo conservatore britannico guidato da Boris Johnson, fortunatamente ha pensato bene di porvi rimedio, e con il ministro della Istruzione Gavin Williamson ha deciso di nominare quello che è stato definito “un campione della libertà di parola” (noi diremmo un “garante”) che avrà il compito di vigilare sugli atenei pe controllare che tutti possano esprimere le loro  opinioni e opporsi alla censura del “politicamente corretto”, e se non verrà garantito questo pluralismo le università perderanno i fondi statali. Inoltre, saranno varate leggi in base alle quali coloro che sono stati discriminati per le proprie idee potranno chiedere i danni.

Che questo avvenga in una nazione che si considera la culla della democrazia europea  è allarmante. Evidentemente la situazione è andata troppo in là ed è diventata inaccettabile per un governo veramente democratico: la libertà di espressione infatti non viene impedita “dal basso”, da estremisti tipo “centri sociali”, ma “dall’alto”, dai docenti, dalle élites.

Anche il quotidiano di sinistra Il Fatto quotidiano nel mensile Millennium si scaglia contro il pol. corr.

Come scrive il Corriere della Sera del 17 febbraio 2021, “nel mondo anglosassone si è imposta una egemonia culturale che muove dall’accademia e si estende a tutta la società, da parte di una ortodossia liberal-progressista che rischia di sfociare nella intolleranza verso chi non vi si adegua”. Situazione preoccupante e inquietante, come ben si vede, ma non sembra che a casa nostra molti se ne siano accorti.

Il termine “egemonia culturale” ricorda infatti qualcosa qui in Italia? Alla sua origine da noi c’era il Partico comunista di Togliatti. Mentre nei Paesi di lingua inglese ci sono gli intellettuali che si autodefiniscono ”democratici” e “liberali” e che influenzano e condizionano non soltanto i loro allievi ma anche movimenti come quel Black Lives Matter che ha messo a fero e fuoco indisturbato molte città americane e se l’è presa con le statue, le targhe, le intitolazioni. Tutto ovviamente in nome della “democrazia”, nel sacro nome della quale si possono cancellare tutti coloro che la pensano in modo differente.

La lezione del governo britannico dovrebbe servire a qualcosa, ma chissà se sarà veramente così considerando, ad esempio, chi ha vinto le elezioni USA… Sta di fatto che la censura, l’autocensura, il conformismo di ritorno e l’intolleranza  impazzano a tutti i livelli in tutto il mondo, e non c’è giorno che non si leggano notizie in merito. 

Eccone un florilegio su piani assai diversi fra loro:

la Disney, dopo aver stabilito di porre un “avviso antirazzista” prima dei suoi classici dei cartoni animati come Peter Pan, Gli aristogatti e Dumbo, ha alla fine deciso di non trasmetterli più per gli spettatori sino a 7 anni;

la commedia (poi film con John Travolta) Grease trasmessa dalla TV inglese ha visto la BBC coperta da insulti il minore dei quali è che si è trattato di “una cosa da stupratori misogeni”;

Twitter  non solo bandisce un presidente degli Stati Uniti come all’epoca era Trump (e l’autorevole Beppe Severgnini del Corriere è perfettamente d’accordo), ma proibisce l’uso di certe parole come ad esempio “vergine”;

il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, proibisce di fumare anche per strada, e lo scrittore Antonio Scurati, che  protesta contro una simile limitazione della libertà personali scrivendo che comunque continuerà a farlo nei liniti consentiti, viene aspramente redarguito e messo alla gogna da illustri clinici;

il presidente del Comitato olimpico giapponese, Yoshiro Mori, osa affermare in pubblico che le donne parlano troppo e fanno perdere tempo. Non l‘avesse mai fato: coperto da critiche e riattato, è costretto alle dimissioni e ovviamente sostituito, quasi per sfregio,  da una signora;

una giornalista del New York Times, Lauren Wolfe, scrive un tweet alla notizia della elezione a presidente USA di John Biden (“ho i brividi”, pensate un po’): anche lei non l’avesse mai fatto, viene prontamente licenziata dall’autorevole e progressista quotidiano;

lo storico pastificio di Campobasso La Molisana viene crocifisso sui social network perché qualcuinoscopre che fa la pubblicità di alcuni suoi storici formati – “Abissini”, “Tripolini” – considerati “colonialisti”, ma definendosi un pastificio “antifascista” se ne scusa e cambierà i nomi incriminati;

l’antropologo francese Gilles Boetsch denuncia che l’elefantino Babar creato nel 1931 dallo scrittore e illustratore Jean de Brunhoff, personaggio assai popolare di libri e cartoni animati  dell’infanzia, non è altro che un pericoloso  “razzista;

e poiché si è scoperto – passando ad altro livello – essere anche l’imperatore Napoleone “uno sporco razzista e colonialista”, sono a rischio le commemorazioni del bicentenario della morte (lo avesse saputo Manzoni si sarebbe ben guardato dallo scrivere il 5 maggio);

il Principe azzurro della favola di Cenerentola è risultato  invece il prototipo del maschilismo (ovviamente);

e per bilanciare la situazione e risarcire il “sesso debole” della discriminazione sin qui subita si vuol dimostrare il contrario e ora molti eroi maschili di famosi film saranno rifatti con  protagonisti femminili, da Zorro a James Bond, da Hulk a Peter Pan a Sherlock  Holmes;

la Corte Costituzionale ha affermato che l’attribuzione del cognome del padre al neonato è “il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, di “una tramontata potestà maritale non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”;

nel film The Hunt di Craug Zobel, si descrive la caccia del titolo da parte di cacciatori che rappresentano le élites intellettuali progressiste ad un gruppo di dodici persone rappresentanti invece un campione di tutti coloro che ad esse sono invisi;

le femministe organizzate americane hanno coniato neologismi in cui i termini man e men, uomo e uomini, viene usato cona prefisso o suffisso in parole dispregiative.

Ma il caso più clamorosamente grottesco, ed emblematico, di ignoranza e conformismo nei confronti del nuovo totem della “parità di genere” è quello di un deputato democratico che a inizio anno per la riaperta del Congresso degli Stati Uniti ha concluso una preghiera pubblica con la seguente formula: “Amen and Awoman”! Il fatto è che questo poveraccio di nome Emanuel Cleaver da Kansas City non è uno qualsiasi ma un pastore metodista che quindi il latino direbbe masticarlo, e invece pare che ritenga che l’inglese sia una lingua universale e sempre esistita e quindi che man (uomo) per la ossessiva “parità di genere” dovesse venire al giorno d’oggi ornai affiancato da woeman (donna) per apparire del tutto politicamente corretto, mentre tutti sanno che è un termine latino deriva dall’ebraico che vuol dire “così” (“ e così sia”). Non si esagera a dire che la politically correctness sfocia nella follia…  

Un indigesto minestrone di notizie disparate messe insieme a caso, di ambiti diversissimi e di vari livelli cultuali? Solo in apparenza, dato che il minimo comun denominatore è constatabile sulla base di quanto si è in precedenza illustrato e analizzato. Tout se tient grazie al conformismo del politicamente corretto e alla sua censura che ha pienamente realizzato le profezie che settanta anni fa George Orwell aveva fatto circa la “neolingua” e la fine della libertà di espressione.

Gianfranco de Turris

Gianfranco de Turris su Barbadillo.it

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