L’antiliberismo di Papa Francesco

Una riflessione intorno alla critica al capitalismo del pontefice argentino

Papa Francesco

Papa Francesco nella Via Cruci

Viviamo l’epoca in cui i miliardari (in euro e in dollari) diventano sempre più ricchi mentre il mondo, affamato e impaurito dal Covid, si fa sempre più povero e miserabile. L’unica voce che si alza è quella di papa Francesco che, vangelo alla mano, lancia moniti affinché ci sia più condivisione della ricchezza.

Il discorso del pontefice è chiaro e netto e difficilmente ci si può trovare in disaccordo, a patto – chiaramente – di condividere quello che il magistero della Chiesa ha espresso per lunghissimi secoli, ovvero la funzione sociale della proprietà.

A chi si rivolge il Papa?

La settimana che si è conclusa ci ha consegnato una notizia che non avremmo voluto mai sentire: i lavoratori Amazon in Alabama hanno votato per non avere una rappresentanza sindale. E meno male che, solo qualche tempo prima dell’elezione, anche i vertici della multinazionale avevano ammesso che i ritmi di lavoro imposti dall’algoritmo erano a dir poco esosi (il caso della pipì in bottiglia). Il voto, la libera decisione degli impiegati ha scelto di tornare all’800. Non è “colpa” loro ma è la deriva contemporanea: ci voleva la rutilante novità del web per tornare ai tempi di Oliver Twist.

La preghiera di Papa Francesco (foto dal profilo ufficiale del Pontefice)

Nel discorso ai fedeli di domenica, il Santo Padre è stato nettissimo e lo ha affermato chiaramente, conquistando così i titoli di agenzie e giornali: “Condivisione non è comunismo ma cristianesimo puro”. Non ha alcuna intenzione, il Papa, di sottrarre agli ultimi kulaki del mondo occidentale quel pochissimo (e sempre meno) che possono vantare di aver conquistato. Non è un mettere in discussione i patrimoni delle famiglie medie bensì rimettere in discussione le ricchezze sterminate che pochi, pochissimi, accumulano su scala planetaria.

Quindi il senso del monito è chiarissimo: a che serve accumulare miliardi se poi quei soldi non hanno alcuna ricaduta sociale o, per dirla con termini più liberali, se la redistribuzione della ricchezza diventa sempre più asfittica? Tutta l’etica cristiana si basa sul lavoro che è opera in cambio di mercede. Una sublimazione del sacrificio sinallagmatico: senza la seconda, che senso ha continuare a pretendere i primi?

Il grande equivoco

Decenni di retorica liberista non sono passati invano. E non è un caso se Thatcher e Reagan rimangono miti assoluti per certi ambienti di una “destra” che a parole si ritiene – forse per slogan, sicuramente meno per analisi e fatti – “sociale”. A differenza degli anni d’oro (di volta in volta, gli ’80 o il “boom economico”), le vie dell’ascensore sociale sono bloccate. Il precariato, vissuto come grande conquista modernizzatrice, ha profondamente inciso sulla vita di una società che, per non contemplare il fallimento di un modello percepito come l’unico e il solo (il “famigerato” there is no alternative), che resta in piedi per non passare da vecchio arnese fuori da ogni narrazione (cosa diversa dalla realtà). I giovani non hanno il coraggio di far figli: non perché dovrebbero poi rinunciare allo zenzero o al sushi del venerdì sera ma perché chi vive un presente infame non saprebbe dove prendere il denaro per garantire loro un futuro decente.

Le parole del pontefice, dunque, vanno interpretate per quello che sono non per quello che suggeriscono i titoli o l’orgoglio che è rimasta l’ultima barriera che impedisce a chi ancora s’ostina a ritenersi borghese – per quanto piccolo – di guardare in faccia la realtà del suo impoverimento materiale e di prospettive.

Papa Francesco non vuole il comunismo (e lo stigmatizza con forza nell’immagine che evoca) ma chiede a chi ha le leve del mondo economico di non indulgere più all’egoismo. Non vuole requisire gli appartamenti sfitti per darli a chissà chi ma chiede a chi è “misericordiato” di passarsi una mano per la coscienza e diventare “misericordioso”: hai avuto in sorte di essere ricco, ricchissimo, sii uomo e non permettere più che chi lavora per te sia costretto a far pipì in una bottiglia.

 

Uno schiaffo all’ipocrisia buonista

Un pontefice parla ai cuori degli uomini di fede. E li deve esortare a vivere coerenti con i valori di cui si dicono essere portatori. Da Papa Francesco è arrivato un lisciabusso all’ipocrisia che domina nel mondo degli ottimati, finissimo al punto da non essere percepito da nessuno altro al di fuori di quelli che l’hanno incassato. “Non rimaniamo indifferenti, non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono”. E dunque: “Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi. Perché se l’amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un intimismo sterile. Senza gli altri diventa disincarnata. Senza le opere di misericordia muore”.

Il Santo Padre invoca gli altri. Impone di intervenire nel reale. Se la carità si predica e non si fa, se – peggio ancora! – si “usa” a scopi commerciali (come fanno praticamente tutte le multinazionali), tutto quello che si predica altro non è (nella migliore delle ipotesi) che intimismo sterile. Cioé un’ipocrisia da beghine, chiacchiere al vento, imposizione e non disposizione verso gli altri. Che senso ha predicare o magari anche “fare” ma senza rischiare nulla del proprio? Non si può certo farsi “perdonare” la propria ricchezza (la molla “radical chic” per eccellenza) a spese della collettività, aizzando nuovi conflitti sociali anziché lenirli. Non ha senso investire centinaia di migliaia di dollari in Africa per poi speculare delocalizzando al minimo “problema”.

Papa Francesco, insomma, parla direttamente alla suocera del proverbio ma la nuora, a cui favore andrebbe un’eventuale presa di coscienza, capisce male e non perde l’occasione dell’ennesimo qui pro quo per sostenere la “sua” aguzzina. Una vecchia storia, in fondo, di equivoci e generosi slanci male indirizzati.

Alemao

Alemao su Barbadillo.it

Exit mobile version