Segnalibro. Dall’Impero del Mikado all’Impero dello Zar. La vita errabonda di Luigi Barzini senior

La storia di uno dei maggiori inviati in giro per il mondo. La Oaks editrice ripubblica un classico dell'inviato del Corsera epurato nel dopoguerra per la sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana

Luigi Barzini sr

La narrativa di viaggio è molto apprezzata in Europa ma meno, molto meno, in Italia dove viene considerata letteratura di serie B. Invece, come spesso è possibile verificare, quei libri sono di particolare interesse per almeno due motivi. Il primo riguarda il fatto che nei secoli scorsi, quando non esistevano tv, radio, macchine fotografiche, telecamere, aeroplani e tutto ciò che la tecnologia ha prodotto fino a oggi, l’unico modo per conoscere le terre lontane era andarci o leggere i resoconti di viaggi di chi, da buon giramondo con tanta curiosità e un pizzico di incoscienza, partiva e passava da un continente all’altro soggiornandovi e quindi conoscendo luoghi e altri popoli, differenti per mentalità, usi, costumi, tradizioni, abitudini, religioni. Sin dall’antica Grecia e soprattutto nell’età romana questo era lo scopo di cronisti al seguito delle legioni che attraversavano le varie vie e piste del mondo allora conosciuto.
Il secondo motivo per cui in molte nazioni la letteratura di viaggio è sviluppata e in Italia meno, è perché l’Italia ha avuto una politica coloniale limitata a pochi decenni mentre gli altri popoli europei cominciarono a sottomettere e a occupare territori, popolazioni e isole fin dal 1600.
Al seguito dell’esercito che andava a colonizzare una regione, c’erano sempre mercanti, avventurieri e religiosi che dovevano evangelizzare (nel Nord America i Padri pellegrini vi andarono convinti di fondare un “nuovo Israele”); fra questi anche qualcuno che provvedeva a scrivere e narrare l’epopea della conquista. Nell’Ottocento e Novecento, gli scrittori che viaggiavano offrivano con i loro resoconti una lettura dell’avventura coloniale, fornivano la narrazione di una storia nuova, fondante rispetto a ciò che si scopriva.
Un giornalista di notevole livello, che ha un posto speciale nella storia del giornalismo italiano, Luigi Barzini senior, circa un secolo fa si avventurò nell’Asia e nell’Africa immense e pressoché sconosciute (se non per i romanzi di Kipling), e narrò ciò che vide. I suoi libri ebbero un successo straordinario e alti picchi di vendite.
Luigi Barzini (Orvieto 1874 – Milano 1947) era figlio di un titolare di un laboratorio di sartoria, viveva a Perugia e abbandonò gli studi poco prima di conseguire il diploma. Appena ventenne, rimase orfano di entrambi i genitori. Bravo caricaturista, si trasferì a Roma e ben presto, data la bravura e l’intraprendenza, entrò nelle redazioni delle riviste satiriche romane Fanfulla e Capitan Fracassa. Ben presto cominciò a scrivere articoli e fu notato dal direttore del Corriere della sera, Luigi Albertini apprezzò i suoi articoli e decise di assumerlo quando riuscì, unico cronista, ad avvicinare e a intervistare Adelina Patti, celebre cantante lirica, di passaggio nella capitale. Il “buco” alle altre testate, come si dice nel gergo giornalistico, gli garantì l’ingresso nel grande quotidiano milanese. Assunto nel 1889, dal 1900 iniziò una vita “errabonda”, con la preferenza per i luoghi dove c’erano rivolte, guerre, problemi, grandi migrazioni, per assicurare al proprio quotidiano articoli in presa diretta, al punto che nel 1904-1905 assistette alla guerra russo-giapponese e il suo pezzo sulla battaglia di Mukden (1905), alla quale era presente, fu l’unico pervenuto in Europa su quell’evento. Asia, Africa, Barzini andava in varie parti del mondo a registrare ciò che avveniva, a raccontare guerre o rivoluzioni, a spiegare le abitudini di vita di popoli poco o per nulla conosciuti, con un taglio antropologico semplice e avvincente. Partecipò al raid Pechino-Parigi e il suo resoconto fu fra le cronache più lette: si era unito all’equipaggio italiano che arrivò primo negli Champs Elysées. Le sue foto illustrarono luoghi e volti mai visti prima. Ebbe un periodo statunitense (1921-1931) durante il quale fondò un quotidiano per gli italoamericani, tornò in Italia e fino al 1943 fu uno dei massimi inviati europei. Poi, la guerra, l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana, la cattura, l’epurazione, la morte in povertà nel 1947, a 73 anni d’età.
La benemerita casa editrice Oaks, diretta da Luca Gallesi, pubblica volumi nuovi e ripropone classici. Ora ha pubblicato un libro di Barzini, fra i migliori: Dall’Impero del Mikado all’impero dello zar, libro di particolare interesse nel quale si coglie facilmente il fiuto del viaggiatore, del cronista, la curiosità intellettuale di capire e conoscere i popoli. Sorge lo stupore di fronte al mai visto, alla scoperta, alla voglia di scrivere per narrare, far capire. Non solo: Barzini traeva anche insegnamenti di carattere geopolitico dalla narrazione degli scontri fra popoli, come a esempio la battaglia Mukden, dove i giapponesi batterono i russi e Appelius comprese che stava per avvenire l’irruzione dei popoli asiatici nella storia mondiale. Terminata la guerra decise di tornare via terra in Europa. Raggiunse Vladivostok, punta asiatica estrema, per intraprendere il ritorno attraverso le steppe russe, la Transiberiana. Tornato in Italia e accolto come un eroe, dopo poco tornò in Asia e riprese a girare il mondo.
La prosa di Barzini è scarna, circostanziata, priva di orpelli, coinvolgente, da cronista insomma. Dà colore e significato a un viaggio di anni, dal Giappone alla Siberia, alla Cina, alla Corea, agli Urali, a Pietroburgo e narra la vita. In Russia, in Siberia, in Giappone, dai ristoranti al quartiere delle geishe, dalla Pasqua slava ai club russi, fino alla vita in treno così come descrive l’esistenza in ogni paese che attraversa. Un racconto che, a distanza di quasi un secolo, tuttora stupisce e attira.

Luigi Barzini, Dall’Impero del Mikado all’Impero dello Zar, (a cura di Paolo Mathlouthi), Oaks editrice, pagg. 197, euro 18.00

Manlio Triggiani

Manlio Triggiani su Barbadillo.it

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