La lezione del “professor Carl Schmitt”: rileggere i classici in tempi difficili

Durante il secondo conflitto mondiale, il pensatore tedesco immagina il futuro sull'esempio dei classici

Carl Schmitt

È il 1942 e tu sei Carl Schmitt, giurista e filosofo, professore di diritto pubblico a Berlino, nominato già nel 1933 consigliere di Stato prussiano; a differenza di molti altri uomini di pensiero che assieme a te avevano posto le basi per una rifondazione della Germania dopo Weimar, hai giurato fedeltà al Reich, eppure da un po’ vivi ritirato la tua vita di studioso, perché ti sei accorto che il “decisionismo” hitleriano è da tempo sfociato in puro e semplice arbitrio. Mentre là fuori l’inferno della guerra.

Più o meno in questi termini ci si immagina Carl Schmitt nel 1942, intento alla stesura della sua opera sulla storia del mondo dedicata alla piccola Anima, sua figlia, stando alle memorie di un assistente del grande giurista tedesco, come riportate nella sua postfazione di Terra e Mare, per Adelphi, dal grande quanto sfortunato Franco Volpi.

Ecco Schmitt, dunque, seduto alla scrivania nel suo eremo di Plettenberg, nella gloriosa terra di Renania, che nel Medioevo vide fiorire la più ardita mistica d’Europa, quella degli Eckhart, dei Taulero, di Ildegarda di Bingen; imperversa il secondo conflitto mondiale, e lui prova ad immaginare il futuro del mondo e in particolare della vecchia Europa, che di lì a poco sarebbe stata ridotta ad un cumulo di macerie dalle bombe degli Alleati; cercando, nel mentre, di alleviare il proprio isolamento rimeditando i classici e accostando le sue sorti a quelle di eminenti predecessori, come il “secretario” fiorentino Niccolò Machiavelli, che dopo aver smaliziato il mondo circa gli “arcani del potere”, caduto in disgrazia, ebbe a terminare i suoi giorni lontano dagli intrighi di palazzo nel rustico ritiro di San Casciano, o ad una dramatis personae come il capitano Benito Cereno, parto della mente burrascosa di Herman Melville (colui che proprio nelle pagine di Terra e mare Schmitt definisce “cantore degli oceani come Omero lo fu del Mediterraneo”), il quale nel romanzo omonimo finirà ammutinato dai suoi stessi schiavi.

Fra i temi che occupavano la mente di Schmitt al tempo, intento in una ricerca sugli elementi primordiali della realtà, in specie della realtà politica, facendone un campo di battaglia certamente meno lugubre ma sicuramente non meno avvincente di quelli esterni (superiorità delle idee sulla materia!), era la lotta fra le “elementari” coppie di opposti “terra/mare”, “amico /nemico”, ma anche fra “stato di diritto” e “stato di eccezione”, termine quest’ultimo, tirato in ballo da più parti durante la pandemia da Covid19 e che, stando all’accezione che ne dà Schmitt, distinguendo fra “legalità” e “legittimità”, consiste in un situazione in cui l’ordinaria applicazione del diritto da parte delle istituzioni preposte è sospesa. Su questa stessa linea, introduce il concetto correlato e contrario di “diritto di resistenza”, in cui è invece il popolo, legittimamente ma non legalmente, a sospendere l’ ordinaria applicazione del diritto.

Altra battaglia che impegna Schmitt è quella combattuta sul fronte della lotta tra le categorie giuridico-politiche di «Staat» (“Stato”), praticamente lo stato “Leviatano” di Hobbes, e quella, verso cui Schmitt propendeva, ritenendola migliore tanto del concetto di «Staat» quanto dell’infatuazione völkisch delle tesi di Hitler e dei nazionalsocialisti, di «Großraum» (“grande spazio terrestre”, o anche “ spazio imperiale”).

La formula del “grande spazio terrestre” era preferita da Schmitt, del resto, alla stessa Lega delle Nazioni, che, dato l’evolversi degli eventi, evidentemente, si era dimostrata incapace di dirimere con profitto le gravi questioni europee ed internazionali allora di stringente e tragica attualità, e che a maggior ragione vedeva incapace di dare nuova legge e nuovo ordine al mondo: il famoso «nomos della terra».

Giovanni Balducci

Giovanni Balducci su Barbadillo.it

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