Anniversari. Il centenario della rivista “Lacerba” e l’originalità di Papini

lacerbaCento anni fa nasceva  ‘Lacerba’, rivista-creatura  di Giovanni Papini, di un intellettuale reazionario, di un’anima irrequieta.  La cultura è tale se  suscita  scontri e, conseguentemente, cambiamenti.  E  lo strumento per trasformare la realtà  è  la scrittura  che  stronca  e  che  non  vuole essere addomesticata.

Quindi,  partire da Papini,  da ‘Lacerba’,  per non avere padroni.  Nella  cultura di questo pensatore,  il rapporto con  la realtà  è antagonistico e  l’intellettuale  rifiuta tout-court   la  mediazione come  categoria del  pensiero.

 

Papini    va  ripensato per i contenuti  storici  di ‘Lacerba’,  per  la sua  attività di critico/killer: cioè, per la sua  riflessione polemica  sulla realtà (‘Stroncature’, 1916.)  Nello stesso momento,  va  riproposta un’ analisi  sull’ uomo  vittima della sua stessa storia  intellettuale (‘Un uomo finito’, 1912).  Per queste  ansie – da individuo di destra  insieme vincitore e  vinto  – la sua vita  si conclude  con la  conversione  (‘Storia di Cristo’,  1921).  Ed  è  la  sua un’ identità che mette in  circolo l’idea per cui un percorso intellettuale di destra  non può che  essere  irto di ostacoli e di  trasformazioni; egli passa dal nazionalismo al futurismo, dall’intuizionismo  al  cristianesimo,  ma rimanendo sempre  legato al dovere culturale  di intervenire sulla realtà,  anche a  gamba tesa;  il che genera in lui  una predisposizione allo scandalo e alla naturale  creazione di nemici.

Perché ricordare ‘Lacerba’  oggi?  Qui il   ricordo storico-intellettuale coincide con il testo lacerbiano ‘Introibo’ del 1913  in  cui echeggiano frasi  che sembrano  slogans  o  fucilate di  parole  per il  risveglio delle  coscienze, “ La libertà non chiediamo altro…”, “ La vita è tremenda,  spesso. Viva la vita!”

Quel che ci affascina in una produzione editoriale di cento anni fa è la consapevolezza  papiniana di  ricercare forme di comunicazione  dirette ed  essenziali,  come  il suo ‘bozzetto’ e  il suo “aforisma  più del  trattato”, tanto da ipotizzare  un  Papini  a  proprio agio  su  Facebook  o  su Twitter.

 Per tali aspetti,  la letteratura  contemporanea abbisogna  di un bagno in acque papiniane  per rinvigorire la  cultura italiana  ormai   priva di idee.   E gli storici  dovrebbe rileggere ‘Lacerba’ e  le successive riviste  papiniane,  al fine di inquadrare  criticamente un intellettuale modernissimo, contrario ad ogni convenzionalismo e  ad  ogni  intellighenzia   tatticistica.   Oggi  quel toscanaccio di Papini  sparerebbe sul  conformismo televisivo; sul magma berlusconiano;  sulla  letteratura   pulp;  sulla vuotaggine  dei famosi scrittori di romanzi  giudiziari/polizieschi/gialli;  sul  fallimento dell’ idea di  essenzialità delle  grammatiche;  sulla  carenza   italiana di  grandi progetti;   sui pensieri deboli di un’arte liquida che oltre la  dimensione  culturale della  contaminazione dei linguaggi  non sa e  non vuole andare;  sulla pratica politica incapace di individuare  uomini  nuovi,..

 

Con lui  vive una vivacità   intellettuale “ urtante, spiacevole, personale” (‘Introibo’, ‘Lacerba’, 1913), chiara espressione di un individualismo  borghese polemico, retorico però  mai quieto.   “Devi splendere: Dice un epitaffio greco: – Fino a quando vivi, splendi.” (‘Schegge’, Corriere della Sera, 1955)

 

Un  testo  fondamentale, per  conoscere il  suo pensiero  anti-conformista,  è ‘Gog’. Opera del 1931.  Opera della  prima maturità che, attraverso interviste immaginarie, guarda dentro la finestra della storia, cioè, dentro una storia ormai corrotta ed esaurita.   In un’ intervista (‘Un imperatore e cinque re’)  si  legge la storia simbolica  di tanti piccoli re, esiliati, sconfitti, odiati;  si comprende allora che risulta inutile cercare un  nuovo re  in un  quadro storico di sfinimento morale;  purtroppo,  l’unico sovrano individuato – l’uomo “con   l’andatura di  re” –  può essere solo e grottescamente  un attore,  “un famoso attor  tragico”.

 

Vogliamo 10 100  1000  Papini!  Per  ridestare un po’ di dignità italiana. Per fischiare quei critici  comprati che, ogni mese, si inventano grandi  episodi  editoriali.  Per  beffeggiare gli incompetenti che percorrono il paese.  Per ricordare che esiste  una cultura ufficiale  di sinistra   che ignora  la possibilità di  inquadrare  il Novecento  come  il secolo della complessità  sociale e  non  della  divisione ideologica.

Invece, una  chance critica organica  è  quella di Enzo Siciliano, che,  nella prefazione a ‘Gog’, così scrive  nel 2002,   “Il  Novecento  italiano è stato attraversato da alcuni grandi irregolari che riuscirono ad incidere con  forza sull’immaginazione dei propri contemporanei.  Imparagonabili per l’altezza della riuscita espressiva individuale: ma, una trama di irregolarità accomuna d’Annunzio,  Papini  e  Pasolini.”

Papini, insomma, un  grande irregolare. Con molti  errori: suo è il furente elogio della guerra/igiene del mondo (‘Amiamo la guerra’, Lacerba 1914). Sua è la firma sul  Manifesto della razza (1938).  Però  suoi  sono anche i  grandi pentimenti: diviene terziario francescano e  si chiude  in convento.  Parliano di un geniale  inventore di riviste,  per questo carattere di molto  apprezzato da Antonio Gramsci.  Fucilatore per cultura; sparò su Boccaccio, Goethe, Croce, Gentile,..  Di sicuro un uomo libero.  Un uomo sempre in guerra “contro l’Accademia, contro l’università, contro lo scolarismo, contro la cultura ufficiale…” (‘L’esperienza futurista…’, 1919)  Ne   avremmo proprio un gran bisogno!

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Renato de Robertis

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