L’Italia del futuro: luci e ombre dello Stivale nel nuovo millennio

Il saggio collettaneo, promosso dal centro studi Stato e Partecipazione è pubblicato da Eclettica: l'introduzione è di Giulio Tremonti

Tricolore strapazzato

Ce la ricordiamo tutti la mezzanotte del Duemila: il nuovo millennio doveva essere modernità, cambiamento e tecnica. Ed effettivamente esplose con tutti i fronzoli del caso e nella fattispecie italiana portò con sé grandi promesse, considerevoli mutazioni economiche, nuovi partiti politici e i soliti vecchi schemi di potere ad effetto, ma spostati leggermente oltre il confine dello stivale. Il tempo scorre ed è inesorabile ed eccoci catapultati in men che non si dica al 2021. Peccato sia arrivato il momento del conto e sia salatissimo. Il presente, infatti, offre la panoramica di errori vistosi ed incommensurabili. Tra questi spiccano ovviamente la globalizzazione coi suoi mostri di mercato, la prostrazione ad enti sovranazionali, l’incapacità di progettare, una classe politica ridotta ad un livello meno che mediocre, un’economia austera che ha già preso il posto dell’appena citata istanza politica ed ovviamente vile denaro, nuove cattive abitudini umane e una legislazione ridondante per inquadrarle tutte e male. In questo tetro spaccato di presente, c’è stata una marcata cancellazione del passato e con esso degli esempi per cui è stato illuminante: il rispetto per una Nazione e per le sue strutture intrinseche, una spiritualità recondita traslata in una cultura millenaria, un utilizzo degno della libertà sul piano interno ed estero e la considerazione che spetta al lavoro e ai suoi snodi ed organismi. Per non continuare a ferire il passato e a dormire il sonno leggero di un presente che sa di anestesia, è inevitabilmente giunta l’ora di immaginare un avvenire. “L’Italia del futuro” prova a farlo e ci riesce benissimo. Eclettica Edizioni e Stato e Partecipazione sigillano in un volume diciannove contributi che non si limitano alla riflessione e alla grande metacritica dei problemi sopracitati, ma si muovono con mani esperte per rendere palpabile e pratico lo spirito che sta dietro alla costruzione (o risurrezione, in questo caso!) di una Nazione meritevole di questo nome.

Chiaro già dalla prefazione dell’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti che per costruire un’Italia nuova c’è anzitutto bisogno di decostruire le cattive abitudini che l’hanno accompagnata nella caduta e tra queste va ovviamente menzionata non solo la fosforescente casistica di sbagli culturali, politici ed economici, ma soprattutto la tendenza dualistica che ha sempre presieduto alla parabola nazionale: dualismo Nord/Sud, dualismo universale/globale, dualismo politica/tecnica, dualismo realtà/mercato, dualismo Italia/Europa.

Giungendo all’assunto per cui “non tutto ciò che è essenziale e morale è nel PIL”, Giulio Tremonti vuole separare nettamente la sfera pratica della Nazione dalla sfera astratta e mortificante delle regole degli esperti; assunto ripreso da Francesco Carlesi che opporrà “l’ora della responsabilità” alla “legge ferrea dell’oligarchia finanziaria”. Presidente dell’Istituto “Stato e Partecipazione” e curatore del libro in questione, Francesco Carlesi, nel primo contributo del volume, insiste molto sul concetto della libertà che “va conquistata, essendo un contenitore e non un contenuto” e che si oppone ai ridicoli assunti anti-italiani di magistrati, ministeri tecnici e culture varie ed eventuali ma mai etiche e comunitarie. L’autore apre così la strada ad un percorso che vuole scandagliare “L’Italia tra passato e futuro” ed accompagnarsi ad un atto di presa di coscienza e poi rinascita. Lo affiancheranno, nella trattazione, Stelio Fergola, Daniele Trabucco e Mario Bozzi Sentieri.

Stelio Fergola si concentrerà sul futuro internazionale della penisola, rimarcando l’esigenza di un ritorno alla sovranità statale e facendosi portavoce di un modo di interpretare il Mediterraneo come luogo economico e geopolitico totalmente diverso rispetto alle ultime narrazioni sostenute dalla sottocultura dell’informazione, dell’editoria e della propaganda. 

Daniele Trabucco sviscera, invece, l’ordine neoliberista di marca artificiale e lo oppone allo stato-Nazione e alla sua dimensione popolare e valoriale, evincendo nelle decisioni UE la scellerata ossatura che ha presieduto alla trasformazione dell’uomo sociale in homo oeconomicus.

Mario Bozzi Sentieri sosterrà animatamente l’impellenza dell’“ora della Costituente”. Pena un irreversibile tramonto, la partita che si gioca è infatti istituzionalmente vitale e concerne un collegamento tra competenze e decisionalità e un controllo democratico rispetto alle cieche scelte dell’austerità sovranazionale. Col contributo di Mario Bozzi Sentieri si chiude la prima parte del volume e si apre la seconda parte dedicata al “Settore primario” trattato da Sandro Righini, Augusto Grandi e Gian Piero Joime.

Sandro Righini denuncerà l’assenza dal 1962 di una politica agricola nazionale e inviterà le Istituzioni a considerare diversamente non solo le aziende ma soprattutto il modo di disciplinarle, evincendo come i sovrabbondanti ed inutili protocolli e controlli contribuiscono a paralizzare l’imprenditoria con “balzelli burocratici” insostenibili e che non rendono l’Italia competitiva e leader. 

Sarà Augusto Grandi ad affrontare il tema dell’eccellenza agroalimentare italiana e dell’importanza di favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dell’agricoltura. Partendo dall’assunto che “territorio” è sinonimo di qualità e luogo primo dell’eccellenza, l’autore oppone la cultura aziendale del “made in Italy” agli assurdi regolamenti europei, ad una classe dirigente che non ha saputo difendere i propri prodotti e agli interessi freddi e capitalistici delle multinazionali.

Gian Piero Joime tratterà invece della sostenibilità, della necessità di una modernizzazione ecologica come fattore chiave per la competitività globale, che nel caso Italia significa non immissione nella standardizzazione che le multinazionali vorrebbero, bensì riterritorializzazione e difesa dell’identità locale.

Dal settore primario si passa poi al mondo del “Capitale e lavoro, industria e sindacato” ed affrontano la tematica Filippo Burla, Raimondo Fabbri, Ettore Rivabella e Francesco Guarente

Filippo Burla, smascherando i concetti apparentemente neutri di “libertà” e “concorrenza”, rivelerà l’esigenza di una nuova Industria Nazionale, la quale, prescindendo dal dato normativo, dovrebbe invece avere come finalità pratiche la produzione e l’equa distribuzione della ricchezza su scala nazionale.

Raimondo Fabbri si dedicherà al tema della corrispondenza auspicata tra “hard power/soft power” e geopolitica e infrastrutture, sottolineando l’importanza di una rete stradale, portuale e ferroviaria innovativa e moderna nella costruzione e sicura nell’ideologia che presiede alla progettazione.

Ettore Rivabella delineerà l’idea del sindacato del futuro, partendo dall’assunto che “libertà è partecipazione”. Alla crisi evidente del sindacato attuale, l’autore oppone la necessità di una “nuova etica” che poggi sullo spirito di servizio alla collettività, sulla ferma volontà di fare il bene delle comunità tutta e sull’eliminazione delle indegne manifestazioni di potere e scalate personali degli ultimi decenni.

Francesco Guarente, infine, si occuperà del lavoro in termini non solo disciplinari, giuridici e normativi, ma ideologicamente ascritti al concetto umanistico di “partecipazione statale” e “crescita della comunità”; il tutto riconsiderando con dovizie di particolari il rapporto giuridico tra lavoratore e datore di lavoro.

Da qui si passa alla “Politica culturale, previdenziale e sociale” e troveranno spazio gli interventi di Emanuele Merlino, Gabriele De Paolis, Daniele Scalea e Flaminia Camilletti.   

Emanuele Merlino racconterà come nelle periferie ci sia il fulcro di un’Italia creativa, culturale e piena di spunti artistici e fermenti compositi. Pullulante di istituzioni no profit che contribuiscono al successo di queste aree ingiustamente subordinate a livello economico-sociale rispetto ai centri urbani, le periferie rappresentano una ricchezza di cui la legislazione dovrebbe tener conto, investendo e sostenendo addetti alla gestione e realtà come quella di “Casale Caletto” che l’autore utilizza come caso studio.

Gabriele De Paolis tratterà invece del calo dell’occupazione, della drammatica situazione di povertà della penisola e della brusca discesa demografica in corso. Constatazioni, queste, che impongono formazione, antropocentrismo, ma soprattutto concretezza intesa come sostegno economico alle famiglie ed incentivi per la crescita ed il lavoro.

Si passa così al contributo di Daniele Scalea, il quale scandaglia la contraddizione di fondo della questione migratoria e ne conclude che “ai popoli si sono sostituite le popolazioni” col risultato irreversibile per cui si è riempito il sistema economico di lavoratori generici, senza che ce ne fosse realmente bisogno. Contributo, quest’ultimo, che sviscera anche nella differenza che si è venuta a creare tra i ceti abbienti e la classe media.

Flaminia Camilletti, invece, si dedicherà al tema dell’informazione e spiegherà come i motivi profondi che si celano dietro l’interesse per il (nemmeno così tanto florido) mercato editoriale sono la manifestazione di una forma viziata di informazione per cui il giornalista è al servizio della narrazione dominante e “confeziona un prodotto che gli arriva dalle agenzie”. Specchio, il tutto, di una società liquida così incapace di affrancarsi dal giogo del mercato e che è pertanto chiamata ad una “battaglia di libertà”.

Il volume presenta, infine, una parte dedicata a “Moneta e credito” a cura di Francesco Filini e Massimiliano Scorrano.

Francesco Filini, dopo un excursus storico sul concetto di moneta, analizzerà le mai risolte questioni “del perché la banca assume la proprietà del denaro stampato anche quando non garantisce più alcun cambio” e del “cosa dà valore alla moneta”, portando, inevitabilmente, ad una serrata riflessione sull’attualissimo principio della “sovranità monetaria”.

Massimiliano Scorrano analizzerà invece le banche popolari, la loro trasformazione da società cooperative a società per azioni e lo studio dettagliato di tutte le riforme che si sono succedute e che hanno però, ineluttabilmente, condotto al disastro per cui “dietro l’unificazione delle pratiche di controllo del sistema bancario europeo si cela lo smantellamento del sistema produttivo italiano”.

L’opera si chiude con un visionario contributo di Fabio Massimo Frattale Mascioli, il quale spiega come, sapendo anticipare le richieste, rendendosi duttili alle problematiche, condividendo una visione cooperativa ed agendo sulla base dei concetti di “Sato” e “partecipazione”, si può attuare un catartico cammino di rinascita. L’Italia del futuro è, insomma, tutta da fare; ma il fatto che sia stata scritta e pensata ne dimostra l’hegeliano, insopprimibile e già dispiegato inizio. 

Elena Caracciolo

Elena Caracciolo su Barbadillo.it

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