Il commento. Dal Conte Bis a Draghi: la prova (tutta politica) dell’esercizio del potere

Il prof. Andrea Venanzoni: "Esercitare il potere significa saper incidere, costruire reti (o network), saper sorridere e nominare le persone giuste"

La metafora del torero per descrivere il rapporto tra l’uomo e il potere

Il potere si dà unicamente a colui il quale osa chinarsi a raccoglierlo, ha scritto Fedor Dostoevskij. E in quel gesto, nell’abbassarsi, si scorge il profilo più vero, più genuino, più crudele di un totale rovesciamento di senso; infatti siamo soliti pensare a immagini rigorosamente verticali, quando ci confrontiamo con i riti crudeli e latamente bizantini dei palazzi del potere, tra consultazioni e nomine in società partecipate. Alte, slanciate, turrite, immagini montuose e celestiali, il potere sembra quasi sempre ergersi sulla sommità di un monticello – e invece se ne sta chino e raggomitolato in qualche vicoletto.

Questa verticalità, spesso più immaginifica che non davvero reale, si è incistata talmente tanto nel profondo di una certa parte politica, oggi variamente, e vagamente, rubricata come conservatrice, sovranista, da aver fatto smarrire per via qualunque senso del reale: ed è così che nelle concitate fasi del tramonto del Conte-bis, tra gli stucchi e i lucori cerimoniali del Quirinale e di Palazzo Chigi, mentre sui social e negli studi televisivi opinionisti, politici, costituzionalisti celebrano il de profundis del governo e cercano di spiegare il qui ed ora della crisi, nelle sedi dei partiti si consuma il dramma genuino del potere.

Assenza del e lontananza dal potere, principalmente.

A sinistra la tragica prospettiva di veder scivolare via quella rendita di posizione costruita faticosamente cercando in ogni modo di svicolare la tappa elettorale, fastidio che di tanto in tanto si frappone tra la Presidenza del Consiglio e i partiti di sinistra.

A destra invece la altrettanto tragica idea di dover rinunciare alla comoda prospettiva della opposizione eterna, perché governare è una arte crudele, faticosa, servono gli uomini giusti, ‘e noi li abbiamo davvero gli uomini giusti?’ sembrano chiedersi in quelle stanze agghindate più a funerale che non a festa.

A destra scrutano l’Olimpo, timorosi. Quel potere azzurrognolo e scintillante che discende salvifico, lo temono, lo bramano e al tempo stesso ne hanno paura, e si perdono con gli occhi al cielo invece di capire che dovrebbero chinarsi a raccogliere gli scampoli del governo rimasto in frantumi a terra.

Il coraggio di esercitare il potere

 Già un primo passo sarebbe il capire che il potere va raccolto e non lasciato fluttuare in aria, alla mercè degli altri. I sondaggi sono frizzantini ma evanescenti, e ti fanno felice, in assenza di elezioni, come quando ti sei comprato Parco della Vittoria a Monopoly; ne esci soddisfatto, ma non pensi ,se hai il cervello collegato alla realtà, di esserti fatto davvero la villa nella zona più bella della città.

Correre dietro al vento in poppa dei sondaggisti è come condannarsi al destino degli indovini nella Commedia dantesca, avanzare sempre ma col capo ritorto verso l’indietro. Pronti a schiantarsi.

Bisognerebbe prendersi in mano, modello breviario della sera, il volume ‘Io sono il potere’ (Feltrinelli) e leggersi quelle laocoontiche configurazioni di capi di gabinetto, segretari generali, direttori altrettanto generali, magistrati, incontri, conclavi: come fare le nomine, quando farle, chi nominare e dove, intrecci alchemici stordenti ma essenziali per gestire davvero il potere, in maniera attiva, e non limitarsi a subirlo.

Esercitare il potere significa saper incidere, costruire reti (o network), saper sorridere e nominare le persone giuste: per ‘giusto’, intendo non il figlio o l’amante di, ma la persona che ne sappia, che abbia studiato, vissuto, lavorato, maturato esperienze e che abbia, lo metto in fondo alla lista, anche qualche simpatia per la agenda setting che si vorrebbe implementare, di modo da mandarla davvero avanti. Perché così si evita l’inceppamento furtivo e doloso attuato da certe dirigenze di segno opposto che bravissime nel lato tecnico si metteranno però, come i Gremlins, a rallentare o bloccare tutta l’azione del nuovo padrone di casa. Perché davvero andreottianamente, il potere logora e sfianca chi non lo ha. E con il non averlo considero pure il non saperlo gestire, il detenerlo solo episodicamente, il non capirlo.

Non governare è facile, consolatorio, poco eroico se vogliamo metterla sul campo della semantica, un po’ trita ma mitopoietica, che sembra cara a una certa parte. Fatemelo dire, per esercitare il potere ci vogliono mente e palle. Una grossa dose di coraggio serve, altrimenti è solo fuffa, pantomima. E’ sondaggio, soldi del Monopoly appunto.

E per questo, per la capacità di saper esercitare l’arte crudele del governare, vengono in mente le parole che William S. Burroughs utilizzava per descrivere la dolorosa ferocia del saper scrivere, distinguendo il coraggio del vero torero che nell’arena sfida la furia del toro dallo smerda-tori che in una comoda stanza d’albergo si diverte a imitare le mosse della corrida.

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Andrea Venanzoni

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