Berto Sour. Berto Ricci icona di una visione del mondo

Lo scrittore toscano ha rappresentato una certa idea della Civiltà italiana, giusta e coraggiosa, che è esistita e si configura come modello ideale

Scrivere nel secondo giorno di febbraio una rubrica intitolata a Berto è una doverosa coincidenza. Non voluta. E per questo ricolma di passione. Perché amiamo così tanto Berto Ricci? Per la sua coerenza, sì certo, che lo spinse a morire volontario in questo giorno, ottant’anni fa. Ma cosa è la coerenza senza quella scintilla di verità che in modo archetipico s’impadronisce così dolorosamente del corpo, dell’anima e dello spirito di un uomo fino a renderlo monumento all’essenza della vita?
Amiamo così tanto Berto Ricci perché egli ebbe la forza e le qualità umane tali da poter incarnare l’Uomo Fascista così come il Fascismo regime, una volta depurato delle scorie reazionarie, borghesi, imperialiste, delle scorie della storia, avrebbe voluto fosse l’Italiano nuovo: un uomo completo, un uomo giusto, un uomo degno di reggere nella modernità il rinato concetto di Civiltà.
Berto Ricci fu il Fascista reale, vero, fatto di carne e di ossa, di quel nostro immaginifico postfascismo dentro il quale un’intera visione del mondo non si sarebbe dovuta piegare ai “maiali di Chicago”, rinnegare, svuotarsi di senso, ma avrebbe potuto e dovuto mostrarsi appieno, liberata di ogni inutile orpello. Non c’era bisogno di scrivere nulla, di fare nulla, d’inventarsi nulla: c’era stato Berto Ricci. A noi sarebbe bastato sussurrare: “Ehi, che volete, noi siamo come lui”.
In questo senso, rileggere l’Universale oggi significa per noi osservare uno specchio che proietta oltre qualcosa di irreale la nostra stessa e più vera immagine: la Firenze rinascimentale, l’Italia ghibellina, Dante, Mazzini, Roma, Nietzsche e la volontà rivoluzionaria che sale dritta verso quella Terza Via europea destinata a moderare un Impero globale. Il Fascismo come libertà, come partecipazione del popolo, contro ogni divisione di classe e burocratismo: la gerarchia naturale quale unica forma di merito e distinzione. La formula alchemica grazie alla quale si sarebbe potuta tramutare la Modernità in qualcosa di nuovo.
Se ce lo chiedete, allora potremmo dire che noi amiamo così tanto Berto Ricci un po’ come quando, sicuri di noi, ci amiamo intimamente, riconoscenti a noi stessi di saper essere noi stessi. Anarchici in Ordine. E’ un furor quasi poetico, che non si può spiegare se non fra noi che vi apparteniamo. Esso ha persino un linguaggio diverso, un italiano sonoro, più scorrevole e al contempo più contorto di quello comune, capace di ridurre le complessità e chiarificare le emozioni.
Sia chiaro, dunque, che quello di Berto non è un martirologio. Non è l’ennesima data-ricordo dentro il calendario ortodosso del bravo acculturato di sezione. Questi ottanta anni sono ottanta anni di Presente. Un Presente non urlato, non marciato, non sbracato. Un Presente reale fatto di idee vive. Fatto di quello che siamo. E di quello che potrebbe essere l’Italia tutta, l’Europa tutta se la nostra immagine reale fosse in grado di uscire centuplicata per forza dal nostro specchio, oltre la cortina fumogena della corruzione liberale e materialista.
C’è ancora tanta gente pronta a raccoglierne il senso. Gente comune come noi. Gente di popolo.
“Il Fascismo è rivoluzione e non Vandea, popolo e non casta, lavoro e non denaro”. 

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Giacomo Petrella

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