Il filosofo e studioso del pensiero negativo, infatti, ha dato il colpo di grazia a partire dall’assist con il quale il quotidiano di Ezio Mauro sta tentando di dettare le parole d’ordine al partito di Epifani. «Dì qualcosa di sinistra», chiede la rubrica. E Cacciari “non” lo ha fatto riprendendo proprio un suo vecchio divertissement sul significato della parola: «La parola sinistra è segnata dal marchio dell’insufficienza, condannata da un destino inscritto nella sua stessa etimologia: sinisteritas significa inettitudine». E poi giù: «Chi si dice di sinistra oggi è un perfetto conservatore». E così via, in un percorso di destrutturazione del pensiero politico della sinistra dal dopoguerra ad oggi, a partire dal “totem” di Bobbio: «Nel suo sforzo di definire le basi di un “tipo ideale” di sinistra Bobbio ricorse all’idea guida di uguaglianza. Ma era una base disperatamente povera».
Anche per Cacciari però – pur nella disamina colta e filosoficamente appropriata – come per De Gregori, l’approdo “politico” post-comunista non è ben chiaro, resta nebuloso: un “altrove” che sa tanto di terzismo irrealizzato. Perché da Mario Tronti (padre dell’operaismo) a Mario Monti (interprete della tecnocrazia) il passo è lungo: ma sembra questo l’orizzonte di una sinistra culturale stanca delle velleità di quella politica. Come si è arrivati a questo tipo di fascinazione? Di fatto, per lo meno in Italia, la “confusione” è tutta targata anni ’90: quando la sinistra dei tecnici promosse privatizzazioni (o meglio svendite) e un “euro entusiasmo” che ha portato dritti al collasso del sistema Italia. Scelta che ha portato sì alla vittoria (due volte) ma anche a una confusione programmatica e culturale che non accenna a trovare sintesi: né neolaburisti né socialdemocratici.
Questo lo si riscontra nel duello tutto interno al Pd tra Matteo Renzi e Stefano Fassina: con il primo che propone (come del resto il premier Enrico Letta ) nuove privatizzazioni, tra cui anche Eni e Finmeccanica, come pacchetto anti-crisi, mentre il secondo si oppone al fatto che il debito vada ripagato con questa “moneta”. Stesso discorso rispetto al dualismo “giustizia” e primato della politica: con il Pd “lealista” costretto a tifare Berlusconi in Cassazione per tenere in vita le larghe intese. E che dire, poi, del fronte dei “diritti”? Anche qui il duello è totale: da un lato Laura Boldrini e il terzomondismo chic, dall’altro Luca Casarini (ex leader dei No Global) che ha attaccato duramente la sinistra che misconosce «i piccoli operai con la partita Iva».
Insomma, da Cacciari e De Gregori giunge la conferma che la cinghia di trasmissione di tradizione leninista si è inceppata proprio nel punto in cui la sinistra avrebbe dovuto produrre “prassi”. Un problema di identità, per dirla con Walter Siti che denunciava «il contagio», ossia l’imbarbarimento dei ceti popolari e borghesi al contatto con «l’assenza di futuro». O forse, semplicemente, una verità antropologica: la sinistra – al potere – non è tanto meglio degli altri. Figuriamoci che sarà senza Berlusconi.
@rapisardant